Matteo Salvini (foto LaPresse)

Matteo Salvini, Walter Chiari, Luciana Castellina. Tutto in una notte

Adriano Sofri

Anche a starsene appartati, si vede gente

Anche a starsene appartati, si vede gente. Giovedì sera ho guardato un Salvini sbracato a Pescara, incapace di venire a capo di un solo pensiero che non fosse il piacere di togliere ai parlamentari le loro spiagge appena inaugurate – alzino il culo e tornino a Roma! Detto e ridetto da un simile tipo da spiaggia, che per riuscire ad accomiatarsi dal popolo e dal palco imbarazzante non ha trovato che di commuoversi, sinceramente direi, nominando i suoi figli, quelli suoi davvero, non gli altri 60 milioni, si è commosso di sé, pronto a dare la vita – Dio e gli uomini gliela conservino – per l’Italia, non come quegli altri, e giù dal palco ha completato l’opera dicendo, sbracatissimo, di volere “i pieni poteri”. Anzi no, “i Pieni Poteri”.

 

Pescara, odore di mare. D’Annunzio diceva delle tremende enormità, ma almeno aveva un modo tremendamente enorme di dirle. Sono rimasto là, senza tornare alle mie cose, stramazzato, dopotutto c’era la crisi di governo, di quel governo. Il teleschermo ora aveva una gran bella faccia, felicemente vecchia, che parlava di Walter Chiari, la faccia di Tatti Sanguineti. Sono restato lì, un premio di consolazione. Presentava pezzi di repertorio di Walter Chiari, già giovane marò repubblichino e grande amico del sessantottaro Sanguineti (così lui stesso). Non so se prevalga l’amnesia, a me Walter Chiari piaceva (scrivendone mi viene in mente che non si può dire “Chiari” o, non so, “Annichiarico”, bisogna ripetere tutto intero Walter Chiari, come col Libro Cuore). Bene, a un certo punto si è ricordato che Walter Chiari era stato incarcerato, nel 1970, per spaccio, e Lelio Luttazzi con lui.

 

Luttazzi stette dentro un po’ più di un mese, in una cella col bugliolo qualche foglio e matite, disegnò, ne uscì devastato. Walter Chiari ci stette due mesi e dieci giorni, e quando uscì, dice Sanguineti, “faceva flessioni. Per un anno e mezzo fece flessioni. Era l’unica cosa che poteva fare in cella, e continuò a fare flessioni anche fuori”. Questo fanno, fisicamente o moralmente, quelli che vengono fuori dalla galera ingiusta – la galera giusta, mai lo scriverei – a meno che vogliano uccidersi o uccidere, fanno flessioni. Sono tornato ai fatti miei, a scrivere e leggere, fare le mie flessioni. Si faceva giorno e ho letto sul Manifesto un articolo di Rossana Rossanda che faceva gli auguri a Luciana Castellina, e a se stessa, alla loro lunga amicizia, a Luciana che è uno schianto e dice “Meraviglioso” e fa l’elenco delle giornate felici e a lei che borbotta e fa l’elenco delle occasioni mancate. E tutte e due che non vorrebbero aver avuto – avere – una vita diversa.

 

Tutto in una notte.

Di più su questi argomenti: