La festa del M5s sul balcone di Palazzo Chigi (foto LaPresse)

Cosa rischia l'Italia se il coraggio di Salvini diventa una finanziaria in deficit

Luciano Capone

Il leader della Lega si trova oggi nei panni che ha vestito Di Maio lo scorso anno

Roma. Le manovre di avvicinamento alla prossima legge di Bilancio ricalcano ciò che si è visto lo scorso anno, solo a parti invertite: nel ruolo di chi festeggia la vittoria di Pirro contro l’Europa sul balcone di Palazzo Chigi, che era di Luigi Di Maio e del M5s, si sta posizionando Matteo Salvini con lo stato maggiore della Lega. La linea l’ha data il vicepremier venerdì scorso, intervistato dal Corriere: “Serve una manovra coraggiosa o il coraggio lo chiediamo agli italiani”, ha dichiarato Salvini. Ma cosa vuol dire? Che coraggiosamente si taglierà la spesa corrente e si rispetteranno le regole o che coraggiosamente si farà più deficit e si andrà allo scontro con Bruxelles? Qualche indicazione l’ha data al Foglio il viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia, quando ha fatto capire che di tagliare la spesa non se ne parla: “La spesa pubblica non è enorme: tolte le pensioni, la sanità e il costo del personale, non resta molto da aggredire”. Non resta che fare la manovra in disavanzo: “Che non necessariamente vuol dire fare sfracelli, ma neppure adottare mezze soluzioni che non servono a niente”, ha detto Garavaglia. Più esplicito è Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, che al Messaggero ha spiegato chiaramente come la Lega intende finanziare la cosiddetta flat tax: “Faremo sano deficit per far ripartire l’economia”.

 

Ci troviamo nelle stesse condizioni dello scorso anno, con la forza trainante della maggioranza (allora era il M5s e ora è la Lega) che punta a finanziare le promesse elettorali in deficit e il ministro dell’Economia che tenta di tenere i conti in ordine e rispettare le regole europee. Anche quest’anno, con una credibilità ridotta visto come sono andate le cose 12 mesi fa, Giovanni Tria rassicura i mercati e la Commissione europea sul raggiungimento degli obiettivi fiscali fissati con l’ultimo Def e ribaditi nelle raccomandazioni dell’Ecofin che servono a scongiurare di nuovo la procedura d’infrazione: “Assicurare una riduzione in termini nominali della spesa pubblica primaria netta dello 0,1 per cento nel 2020, corrispondente a un aggiustamento strutturale annuo dello 0,6 per cento del pil”. Al momento questo consolidamento fiscale è in gran parte coperto dall’aumento dell’Iva, pari a 23 miliardi, già previsto per il 2020. A queste bisogna aggiungere altre risorse. Vuol dire che prima di impostare la manovra, se non intende aumentare l’Iva, il governo parte con un buco di 30 miliardi. A cui poi deve sommare le coperture per finanziare lo “choc fiscale”, ovvero il taglio delle tasse. Il tutto in un contesto di crescita zero (quindi senza maggior gettito proveniente dalla dinamica dell’economia) e con un debito pubblico in aumento (quindi con la necessità di metterlo, quantomeno, su una traiettoria di stabilizzazione).

 

Pertanto Tria, per rispettare gli impegni assunti dal governo, fa filtrare l’impostazione di una legge di Bilancio fatta di tagli alle “tax expenditures” per evitare l’aumento dell’Iva e di ridenominazione del “bonus 80 euro” per poter, insieme a qualche altro miliardo, consentire alla Lega di rivendicare la realizzazione della “flat tax”. Il problema è che il taglio delle tax expenditures equivale a un incremento della pressione fiscale: è cioè un modo per evitare l’aumento dell’Iva, ma non l’aumento delle tasse. Allo stesso modo cambiare nome al bonus Renzi non corrisponderà a un reale taglio delle tasse. E’ evidente che i progetti della Lega sono diversi da quelli di via XX Settembre, ma il vero ostacolo di Salvini non sarà piegare le resistenze di Tria bensì la reazione dei mercati finanziari all’ennesima forzatura dei gialloverdi. 

 

E’ un po’ la stessa situazione in cui si era trovato l’anno scorso il governo, quando doveva scegliere tra sfidare l’Europa e i mercati oppure ridimensionare le promesse elettorali e rispettare le regole: affacciandosi al balcone Di Maio scelse la prima strada, ma poi il governo è stato costretto a fare marcia indietro e imboccare la seconda. I danni economici per il paese sono stati ingenti e quelli politici per il M5s anche maggiori. Forse Salvini ritiene di poter ottenere risultati diversi dallo stessa manovra in deficit, magari cambiando location dell’annuncio: dalla spiaggia del Papeete anziché dal balcone di Chigi.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali