Il ministro dell'Interno Matteo Salvini in piazza a Sabaudia (foto LaPresse)

Abbiamo già visto tutte le illusioni della manovra propagandata da mago Salvini

Veronica De Romanis

La nuova legge di Bilancio farà più deficit, più condoni e meno tasse a costo zero

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha delineato in questi giorni la sua proposta di legge di Bilancio. Lo ha fatto in occasione del secondo incontro con le parti sociali avvenuto al Viminale. Lo schema è semplice: fare crescita con il debito. Nulla di nuovo, in realtà. Anche con la scorsa legge di Bilancio il governo aveva sperato di ottenere sviluppo spendendo soldi che non aveva. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il paese è fermo, i giovani vanno all’estero (quelli che restano sono senza lavoro), mentre i sessantenni vanno in pensione. Nonostante questo fallimento, Salvini intende replicare la stessa ricetta. A cominciare dai tre ingredienti che considera indispensabili: più deficit, più condoni e meno tasse a costo zero. Andiamo con ordine.

 

Primo, il deficit. Salvini vuole un deficit ben superiore a quello contenuto nel Documento di Economia e Finanza (Def) approvato dal governo (e, quindi, anche da lui) nel mese di aprile: sotto il “due per cento non si può stare”, ha spiegato. A supporto di questa affermazione, non ha fornito né studi, né analisi. Si è limitato a quantificare il limite inferiore del rapporto deficit/pil e a delineare una dinamica crescente del saldo. Del resto, nel modello economico che ha in mente, l’entità di questo saldo conta poco. Il maggiore deficit serve a creare ricchezza e quindi, a aumentare il denominatore del rapporto debito/pil così da ottenere – nel medio termine – una riduzione (e non un aumento) del rapporto stesso. In altre parole, fare più debito oggi consente di ridurre il debito (in rapporto al pil) domani. Eppure, i dati sull’economia italiana forniti dall’Istat dovrebbero indurre il ministro a rivedere questo modello che non ha mai funzionato altrove ma che, in particolare, non può funzionare nel nostro paese. L’Italia, infatti, è l’unica economia con un costo medio del debito superiore al tasso di crescita nominale. Pertanto, per riportare il debito/pil su una traiettoria decrescente, è necessario avere un avanzo primario (ossia il saldo tra entrate e uscite al netto della spesa per interessi) superiore al 2 per cento. Nel Def, il governo ha seguito il “modello Salvini”: l’avanzo primario scende (invece di salire) dall’1,6 per cento del 2018 all’1,2 per cento dell’anno in corso. Non deve, quindi, stupire se il rapporto debito/pil è previsto crescere dal 132,2 al 132,6 per cento (percentuale che, peraltro, al netto dei 18 miliardi di euro di privatizzazioni solo annunciati sarebbe ben più elevata). Nonostante l’evidenza, Salvini propone di continuare sulla strada di una riduzione dell’avanzo primario in linea con ciò che aveva suggerito in campagna elettorale. Va, infatti, ricordato che il quadro macroeconomico dalla Lega prevedeva un avanzo primario pressoché nullo. 

 

Secondo, i condoni. La Lega non è il primo partito (e non sarà neanche l’ultimo) a ricorrere ai condoni. Lo strumento piace ai politici perché consente di incrementare le entrate e, nel contempo, rafforzare il proprio consenso. Il trucco consiste nel trovare ogni volta un nome nuovo (cosi da confondere i contribuenti) e una storia da raccontare (cosi da introdurre un elemento di giustizia sociale). Il nome “pace fiscale” (davvero eloquente) Salvini lo aveva già pensato prima di andare al governo, la storia l’ha illustrata quando è diventato ministro: l’obiettivo è aiutare i cittadini in difficoltà. Una storia perfetta che mette tutti d’accordo: lo stato che dispone temporaneamente di maggiori risorse, i cittadini che fanno finalmente pace con l’erario. Questa storia, però, non considera i cittadini onesti che con il duro lavoro – e nonostante i mille problemi – pagano sistematicamente le tasse. E’ ragionevole pensare che una parte sempre maggiore di loro smetterà di essere in regola visto che il governo offre tutele a chi non è. Aumenteranno, quindi, le persone in “guerra” con il fisco in attesa della prossima “pace”. Il risultato finale sarà quello di un calo dell’entrate per lo stato, l’opposto di quello sperato. Eppure, per la prossima Legge di Bilancio, Salvini propone lo stesso schema, ovviamente con un nome nuovo: pace fiscale 2.0.

 

Terzo, le tasse a costo zero. Salvini lo aveva promesso – e non lo ha fatto – lo scorso anno, lo promette ancora quest’anno: bisogna introdurre la flat tax al 15 per cento per i redditi sotto i 55 mila euro perché in questo modo si “aiutano tutti gli italiani”. Ma è davvero così? I dati rivelano una realtà diversa. Una tassa piatta al 15 per cento avvantaggerebbe solo una piccola parte dei contribuenti visto che una grande parte già paga un’aliquota effettiva inferiore a questa soglia ma, nel contempo, penalizzerebbe (e di molto) le donne. Una flat tax sul reddito familiare – come voluta dalla Lega – scoraggerebbe, infatti, il lavoro del secondo coniuge, presumibilmente quello delle mogli. Eppure, in un paese come il nostro, dove il tasso di occupazione femminile è quattordici punti sotto la media europea, il governo dovrebbe andare in direzione opposta incentivando (e non penalizzando) il lavoro delle donne. L’esperienza delle altre economie dimostra, peraltro, che solo attraverso il rafforzamento dell’occupazione femminile si riesce a cambiare la tendenza del calo demografico, senza dubbio la sfida più urgente che deve affrontare il nostro paese. Sempre in base al “modello Salvini”, la flat tax deve essere finanziata in deficit. Del resto “è impensabile fare una manovra a costo zero”; altrimenti, ha spiegato, “sei mago Merlino”. Secondo Salvini, solo un mago potrebbe trovare le coperture per finanziare le politiche economiche della Lega che includono la tassa piatta ma anche quota 100, che va ricordato, consente alle persone (per la maggior parte dipendenti pubblici) di andare in pensione a 62 anni a spese della collettività. La prossima manovra deve necessariamente passare per la creazione di nuovo debito. Sarà, quindi, necessario aprire un dialogo (leggi scontro) con la nuova Commissione di Ursula von der Leyen. Questo film, però, lo abbiamo già visto quando nella scorsa legge di Bilancio il governo giallo-verde ha provato a violare le regole, annunciando di voler sforare i parametri fiscali. Dopo due mesi di turbolenze sui mercati finanziari – con lo spread salito oltre 300 punti base – il governo ha deciso di scendere a compromessi. Ha, quindi, implementato una manovra correttiva a fine dicembre, intervento replicato anche a luglio scorso per oltre 7 miliardi di euro. Il costo di questa strategia (alzare la voce prima per cercare l’accordo dopo) gli italiani lo stanno ancora pagando sia in termini di stretta creditizia sia in termini di maggiore spesa per interessi. E, allora, perché infliggere loro la replica di un brutto film? Del resto, non è difficile capire che non si possono spendere soldi che non si hanno. Salvini può chiedere conferma di questa regola elementare ai tanti che sono in vacanza con lui al Papeete Beach di Milano Marittima. Probabilmente, nessuno dei presenti può permettersi di finanziare le proprie vacanze a debito: devono usare i risparmi dell’anno. Seguendo la ricetta del “più deficit”, il rischio è che arrivi il momento in cui Salvini chiederà loro di usare questi risparmi anche per finanziare la sua legge di Bilancio: del resto, non a caso gli economisti della Lega continuano a ripetere che dato l’elevato risparmio privato, il debito pubblico non è un problema. Questa stessa domanda la fece la cicala alla formica nella favola di Jean de La Fontaine. La risposta potrebbe essere la stessa: “Finora hai cantato. Bene, adesso balla”. Purtroppo, a ballare non sarebbe solo Salvini, ma tutti gli italiani, inclusi ovviamente i vacanzieri del Papeete Beach.