Franco Roberti e Nicola Zingaretti

Nello scontro tra correnti della magistratura ci finisce anche il Pd

David Allegranti

Lotti va da Zingaretti a chiarire, Roberti chiama in causa Renzi e Orlando (che risponde)

Roma. La recente vicenda del Csm, nata da un’inchiesta per corruzione su un magistrato romano, ha aperto un caso non solo tra i giudici ma anche nel Pd. Alle riunioni con Luca Palamara, organizzate pare allo scopo di mettersi d’accordo su nomine e promozioni, hanno partecipato anche Luca Lotti, ex ministro dello Sport nonché sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Renzi, e Cosimo Maria Ferri, già sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni. La segreteria del Pd ha cercato di tenere un basso profilo sulla vicenda, Nicola Zingaretti ha detto che “va fatta al più presto chiarezza e le indagini dovranno accertare la verità e le responsabilità individuali”. Ieri il governatore-segretario ha incontrato Lotti per chiedere “chiarimenti” e sentire la sua versione dei fatti. Altri esponenti del Pd sono stati meno diplomatici. Uno di questi è Franco Roberti, già procuratore nazionale antimafia, ex assessore alla Sicurezza della giunta di Vincenzo De Luca, appena eletto alle elezioni europee (era capolista nella circoscrizione dell’Italia meridionale, a indicare il suo nome è stato l’ex segretario Maurizio Martina), che ha aperto il fuoco contro i suoi compagni di partito: “Nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni”.

  

Secondo Roberti c’era un disegno ben preciso: “Quella sciagurata iniziativa era palesemente dettata da un duplice interesse: 1) liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti (in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica); 2) tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più ‘sensibili’ di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico. Il disegno è almeno in parte riuscito perché da allora, mentre il Csm si affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della ‘decapitazione’, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle procure”. Il caso Palamara, ha detto Roberti, “ne è, dopo cinque anni, la prova tangibile, sebbene temo sia soltanto la punta dell’iceberg”.

      

Ora, è impossibile non leggere nelle parole di Roberti un attacco non solo all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ma anche all’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, oggi vicesegretario del Pd. La ricostruzione dell’ex magistrato, peraltro, trova il sostegno di Vincenzo De Luca, di cui Roberti come detto è stato assessore. Per il governatore campano, Roberti “sull’inchiesta Csm ha espresso una valutazione del tutto ragionevole. E’ una vicenda grave sulla quale non si può tacere e bisogna fare chiarezza nella maniera più rigorosa possibile”. Nel Pd, intanto, segue dibattito. “Ho massima stima per Roberti. Mi sono anche adoperato per la sua elezione. Ma rispetto alla sua ricostruzione mantengo un aperto dissenso, per diverse ragioni”, dice Orlando al Foglio. “Anzitutto, l’esigenza di uno svecchiamento della magistratura era reale. Ricordo che la norma per far andare in pensione i giudici a 75 anni fu voluta da Berlusconi, all’epoca si diceva per orientare gli assetti della Corte di cassazione. Questo però ha prodotto un forte invecchiamento dei vertici di tutti gli uffici”.

   

Nel 2014 l’età di pensionamento fu abbassata dal governo Renzi da 75 a 70 anni e, dice Orlando circoscrivendo il dibattito interno all’esecutivo di centrosinistra, “io ero un sostenitore della gradualità, ma poi alla fine fu presa un’altra decisione, scegliendo un intervento più radicale che sembrava maggiormente in linea con l’impostazione che il governo provava a dare. D’altronde, all’epoca vigeva la parola d’ordine della rottamazione, applicata peraltro dappertutto. Quindi escluderei che quella nostra norma fosse finalizzata ad allontanare i magistrati più ‘arcigni’ come dice lui. Certo, una maggiore gradualità, come io avevo proposto, avrebbe consentito di gestire meglio il percorso ma fra tenere tutto com’era e cambiare penso sia stato più giusto cambiare”. Orlando, nel proporre il decreto legge, si era ispirato al precedente delle università, dove avevano utilizzato un décalage più graduale, ma poi fu Renzi a spingere per un abbassamento dell’età pensionabile più marcato. Tuttavia, nel complesso, la ricostruzione di Roberti, osserva l’ex ministro della Giustizia, è sbagliata a partire dalla tempistica. “Roberti retroproietta un clima che nel 2014 non c’era; all’epoca, il rapporto tra quel governo e la magistratura si doveva ancora strutturare, Renzi non aveva legami né buoni né cattivi con i magistrati”. Roberti fa anche un riferimento ai “cinquantenni rampanti” inseriti “in ruoli di fiducia di ministri” proprio grazie al decreto legge del governo Renzi. Non lo cita ma parla di Giovanni Melillo, napoletano come Roberti, già capo di gabinetto di Orlando al ministero della Giustizia, che però, osserva l’attuale vicesegretario del Pd “scrisse proprio con me la norma sulla gradualità. E’ anche per questo che la sua ricostruzione è sbagliata”. Che oltre alla guerra fra correnti del Pd ce ne sia anche una, tutta napoletana, dentro la magistratura?

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.