Sea Watch attracca a Catania, in attesa della prossima favola sui “porti chiusi”

Danilo Toninelli assicura che "i porti italiani sono sempre aperti" e smentisce la martellante campagna lanciata dal collega Matteo Salvini

Luca Gambardella

Roma. Dopo 12 giorni la nave umanitaria Sea Watch 3 con a bordo 47 migranti ha avuto finalmente l’autorizzazione ad attraccare al porto di Catania. Secondo fonti del Viminale “la scelta è determinata dalla presenza di centri ministeriali per l’accoglienza di minori. I maggiorenni saranno immediatamente trasferiti all’hotspot di Messina”. La drammatica attesa dei naufraghi, lasciati per giorni in precarie condizioni sanitarie, è valsa un accordo con altri sei paesi europei (Francia, Portogallo, Germania, Malta, Lussemburgo e Romania) che si sono impegnati ad accoglierli. E mentre Salvini esulta per la redistribuzione dei migranti e chiede un’ennesima indagine sull’ong, ci si interroga ora sul futuro, su quale sarà la prossima querelle diplomatica costruita sull’invenzione dei “porti chiusi”.

 

“Ma però mi sono stancato di rispondere a questa domanda. Se vuole che le dica che i porti sono chiusi le dico che i porti sono chiusi. I porti italiani però sono sempre aperti. Io non ho firmato un decreto. Sa perché? Perché non è necessario firmare alcun decreto”. Martedì sera, durante la trasmissione “Di Martedì”, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha provato a spiegare con una grammatica sui generis cosa sta succedendo nei porti italiani. D’altra parte, per Toninelli non è semplice rispondere alla martellante campagna dei porti chiusi lanciata dal collega Matteo Salvini. Dal caso della nave Diciotti dello scorso agosto fino a quello più recente della Sea Watch 3 è evidente che le divisioni tra Lega e M5s all’interno del governo abbiano alimentato la confusione generale. Che il ministro delle Infrastrutture abbia una posizione molto più sfumata rispetto a quella del ministro dell’Interno è storia nota.

 

Lo scorso 20 giugno 2018 – quando Salvini aveva già lanciato la sua campagna mediatica sui porti chiusi – Toninelli aveva ammesso durante una discussione alla Camera dei deputati che “non è stato adottato nessun atto di chiusura dei porti italiani”. La frattura era culminata un paio di mesi dopo col caso della Diciotti, ferma al molo di Catania per cinque giorni con a bordo 177 migranti. In quell’occasione – come confermato anche dal Tribunale dei ministri che ha chiesto l’autorizzazione a procedere contro Salvini –, mentre Toninelli aveva indicato Catania come scalo tecnico, il Viminale aveva imposto lo stop. Nella domanda di autorizzazione a procedere presentata dai giudici al Senato, si legge che Salvini ha “abusato delle funzioni amministrative attribuitegli […] ponendo arbitrariamente il proprio veto all’indicazione del Pos”. In sostanza, Salvini ha impedito ai migranti di sbarcare e di completare in tempi brevi l’operazione di salvataggio dei naufraghi.

  

La questione dei porti chiusi ha assunto aspetti paradossali. Li ha fatti notare l’avvocato Salvatore Di Pardo che, parlando al Foglio.it, ha spiegato l’approssimazione, anche giuridica, con cui il governo gialloverde ha impedito lo sbarco dei naufraghi. “È assurdo. E se ci fosse in difficoltà un’imbarcazione con a bordo degli italiani? Anche per loro vale la storia dei porti chiusi del ministro Salvini?”, si chiede il legale che fece ricorso al Tar sul caso della Diciotti. Prima ancora, erano stati i presidenti delle Autorità portuali italiane a chiarire la situazione. “I porti italiani non sono chiusi” semplicemente perché non esiste alcun provvedimento del governo in tal senso, aveva precisato al Foglio.it Pietro Spirito, presidente dell’Autorità portuale del Tirreno centrale. Secondo l’avvocato Di Pardo, “dire che i porti sono chiusi non ha senso in uno stato di diritto, perché ciò imporrebbe una limitazione alla libertà di movimento che è un diritto umano fondamentale”.

  

Insomma, se i porti sono chiusi non ci sono documenti ufficiali, decreti, circolari, nulla di nulla che possa certificarlo. E questo vale sia per il caso della Sea Watch 3 (“Se esiste qualcosa allora vogliamo visionarlo. Tutto qui”, ha spiegato l’avvocato Di Pardo), sia per quello della Diciotti (l’atto con cui i giudici catanesi hanno chiesto l’autorizzazione a procedere contro Salvini parla solo di “precise direttive del ministero dell’Interno”). Lo scorso dicembre, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione aveva avuto accesso agli atti del ministero delle Infrastrutture ma non aveva trovato alcun decreto.

  

La responsabilità giuridica e politica della campagna dei porti chiusi sembra quindi ricadere sul Viminale. Ieri, la Giunta per le immunità del Senato che deve decidere sul procedimento a carico di Salvini per il caso della Diciotti ha vissuto ore di ordinaria schizofrenia. Il M5s è spaccato tra chi vuole portare il ministro dell’Interno al giudizio dell’Aula e chi invece rivendica una responsabilità in solido di tutto il governo. Sul primo fronte si è schierato il sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia. “Se il caso andrà in Aula voteremo sicuramente sì”, ha detto il grillino. Ma mentre la Giunta era ancora riunita un altro senatore del M5s, Michele Giarrusso, ha sostenuto una linea opposta. “Conte, Di Maio e Toninelli – ha detto – depositeranno una memoria, spiegando che sul caso Diciotti ci sia stata una decisione che coinvolge tutto il governo”. Una tesi debole che crea perplessità anche all’interno del Movimento, come ha ammesso il senatore espulso del M5s, Gregorio De Falco: “Atto collettivo? Non mi pare che ci sia stata nessuna delibera dell’esecutivo”.

  

Video di Stefano Campera  

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.