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Il giusto processo contro un ministro nemico dello stato di diritto

Claudio Cerasa

Non saper cambiare le regole e dunque violarle. I due fallimenti di Matteo Salvini nascosti dietro ai casi Diciotti e Sea Watch 3

L’autorizzazione a procedere richiesta dal Tribunale dei ministri di Catania contro il ministro dell’Interno per il caso Diciotti è stata trasformata da Matteo Salvini in un referendum sulla propria leadership e ha probabilmente ragione chi sostiene che, in caso di frattura all’interno della maggioranza, il voto della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato può offrire elementi utili per capire in anticipo cosa succederà in Parlamento dopo le elezioni europee.

 

La lettera inviata ieri da Matteo Salvini al Corriere della Sera indica che il Truce ha scelto di usare l’arma del se-volete-sfiduciatemi-pure per nascondere la paura di essere condannato per ciò che ha fatto con la nave Diciotti ma è sufficiente dare una lettura attenta al testo consegnato dal ministro al direttore Luciano Fontana per capire che la difesa di Salvini è in realtà una clamorosa ammissione di colpa. Sul caso Diciotti, perfettamente speculare al caso Sea Watch 3, Salvini dice di aver “agito al fine di verificare la possibilità di un’equa ripartizione tra i paesi dell’Ue degli immigrati a bordo della nave Diciotti” e nel farlo ammette due questioni importanti.

 

La prima è che Salvini considera ciò che è stato oggetto di una promessa elettorale più importante di ciò che è considerato lecito dalla legge, dal diritto del mare, dai trattati internazionali, ed è questa la ragione per cui a settembre, suscitando poi una reazione indiretta da parte del presidente della Repubblica costretto a ricordare che “nessun cittadino è al di sopra della legge”, il ministro disse che la notizia dell’indagine nei suoi confronti era grave perché era “la certificazione che un organo dello stato indaga un altro organo dello stato, con la piccolissima differenza che questo organo dello stato, pieno di difetti e di limiti, per carità, è stato eletto, altri non sono eletti da nessuno”. Sintesi del ragionamento: se gli elettori mi hanno dato il mandato di bloccare l’immigrazione io la blocco anche a costo di violare le regole.

 

La seconda questione non meno rilevante riguarda un passaggio successivo della lettera in cui il ministro dell’Interno offre elementi utili per mettere in evidenza l’inadeguatezza, l’incapacità e l’impotenza del suo governo. “Il governo italiano – scrive Salvini – ha agito al fine di verificare la possibilità di un’equa ripartizione tra i paesi dell’Ue degli immigrati a bordo della nave Diciotti e questo obiettivo emerge con chiarezza dalle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno del 2018”. Il ministro ammette dunque di aver utilizzato esseri umani come moneta di scambio per trattare con Bruxelles ma in realtà citando il Consiglio del 28 giugno ci permette di ricordare un dato che varrebbe la pena tenere bene a mente: le ragioni per cui Salvini ha bloccato la Diciotti e ora la Sea Watch 3 corrispondono a due grandi fallimenti italiani. Ed entrambi i fallimenti sono scritti nero su bianco in alcuni passaggi delle conclusioni di quel Consiglio europeo. “L’Ue accrescerà il suo sostegno a favore di rimpatri umanitari volontari, della cooperazione con altri paesi di origine e di transito, nonché di reinsediamenti volontari. Nel territorio dell’Ue coloro che vengono salvati dovrebbero essere trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli stati membri, unicamente su base volontaria. Tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino”. In altre parole – accettando di far propria la posizione di Polonia, Austria e Ungheria, impegnando l’Europa a essere solidale nei confronti di paesi come l’Italia unicamente su base volontaria e promettendo di non toccare la riforma del trattato di Dublino che fa dei paesi di primo approdo i luoghi in cui i migranti sono costretti a richiedere asilo – il governo Conte-Salvini-Di Maio ha scelto di scaricare sui migranti in mare il costo politico della sua incapacità a ottenere risultati in Europa. E il meccanismo innescato con il caso Sea Watch 3 e con il caso Diciotti in fondo è simile a quello tentato qualche settimana fa con il deficit della legge di Stabilità: provare a violare le regole non essendo capaci di cambiarle.

 

“Nel caso della Diciotti – ha detto Salvatore Di Pardo, gagliardo avvocato molisano che ha presentato ricorso al Tar contro il ministro dell’Interno sul caso Diciotti – l’intervento di Salvini è stato politico. L’applicazione delle regole di diritto non avrebbe potuto comportare né il caso Diciotti né il caso Sea Watch 3. Per derogare ci sono state valutazioni di carattere politico che prescindono dal rispetto delle regole. Siamo in una situazione di assenza di stato di diritto”. Di fronte a una scelta chiaramente politica con la quale si è deciso di sfidare il diritto del mare il ministro dell’Interno avrebbe il dovere di andare fino in fondo, di usare per una volta in modo sensato l’amato hashtag #nonmollare e di rinunciare alla sua immunità. Garantisti sì, scemi no.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.