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Salvini, l'autorizzazione a procedere e la trappola per il M5s

Massimo Bordin

Cosa c'è dietro alla lettera a firma del ministro dell'Interno pubblicata ieri dal Corriere della Sera

“Devo pensarci. Ci dormirò sopra”. Così aveva detto Salvini a proposito dell’atteggiamento che dovrà prendere al momento della votazione al Senato sul processo che lo vuole sul banco degli imputati. Mentre riposava qualcuno deve aver scritto la lettera a sua firma pubblicata ieri dal Corriere della Sera. Qualcuno che ha colto perfettamente la peculiarità del voto cui sono chiamati i senatori. L’unica autorizzazione a procedere sopravvissuta alla falcidie degli anni Novanta, relativa ai ministri e non ai parlamentari, punta direttamente al cuore del problema: il rapporto fra la politica che ha il mandato di perseguire l’interesse pubblico e le regole della legge. Chi ha scritto la lettera propone l’interpretazione più netta del compito del Senato che “non si sostituisce alla autorità giudiziaria bensì è chiamato esclusivamente a verificare la sussistenza di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante o di un preminente interesse pubblico”. Impostata la questione da questo profilo non si tratta più di contestare il merito del processo ma di negarne la semplice possibilità. La negazione, nel ragionamento messo in pagina ieri, si sostanzia in una premessa perfino brutale quando Salvini proclama di avere agito “nella ferma volontà di mantenere gli impegni della campagna elettorale”. Il voto dunque secondo l’estensore della lettera produce istantanea intoccabilità per chi lo mette in pratica. Poco conta che le cifre citate all’inizio della lettera, a dimostrazione dell’operato del ministro, siano per così dire diversamente interpretabili. Quel che conta è il ragionamento, così rozzo da poter essere apprezzato anche dal M5s che da ieri comincia a intuire di essere in trappola.

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