Antonio Di Pietro (foto LaPresse)

Di Pietro contro gli incapaci dell'anticasta

Annalisa Chirico

“Il M5s? Per guidare un paese non basta essere onesti: bisogna essere capaci. Salvini? Si veste come il Duce ma non va processato e il Senato lo deve salvare”. Una pazza chiacchierata con il padre del grillismo

“Salvini non va processato”, il verdetto porta la firma di Antonio Di Pietro, ex poliziotto e toga simbolo di Tangentopoli, già onorevole senatore e ministro, di recente youtuber bucolico-agreste (nel format “La terra è uguale per tutti”, canale 224 del digitale terrestre). “Alla fine i grillini voteranno contro l’autorizzazione a procedere”, preconizza l’ex toga d’assalto. Il no pentastellato alla richiesta togata, di per sé un ossimoro, potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol per i paladini della supremazia giudiziaria. “Questi ingoiano qualunque cosa”, scandisce Di Pietro. Per non far cadere il governo, intende? “Lei è sin troppo generosa. I grillini perseguono un unico scopo: restare incollati alla poltrona. Quando gli ricapita? Se perdono il seggio, dai banchi del Parlamento passano a vendere gelati al banco di fronte a Montecitorio”.

Il vicepremier Luigi Di Maio si risentirà delle sue parole. “Ce ne faremo una ragione”.

 

Ma questi grillini non le piacciono più? Proprio lei, il pioniere dell’antipolitica, l’antesignano del grillismo prima di Grillo? “I Cinque stelle fanno la politica degli annunci, non dei fatti. Di questo passo non andranno da nessuna parte. L’unico serio è Alessandro Di Battista, uno che dice quel che fa e fa quel che dice”.

Lei ce l’ha proprio con Di Maio. “Io dico che non basta essere onesti in politica. Bisogna essere pure capaci”.

 

“I grillini perseguono un unico scopo: restare incollati alla poltrona. Quando gli ricapita?
Se perdono il seggio, dai banchi del Parlamento passano a vendere gelati al banco di fronte
a Montecitorio. I Cinque stelle fanno la politica degli annunci, non dei fatti.
Di questo passo non andranno da nessuna parte”  

 

A differenza di Salvini che, truce o non truce, almeno crede in qualcosa, Di Maio ci ha abituato a repentine inversioni di rotta. Forse, negli anni Settanta, il vicepremier grillino sarebbe stato, indistintamente, un modesto esponente Dc o Pci. “Soltanto Dc, dia retta a me”.

 

Tornando al caso Diciotti, lei dice che Salvini non va processato. “Il tribunale dei ministri di Catania ha chiamato il Parlamento a una sacrosanta assunzione di responsabilità. I senatori devono stabilire se quella decisione fu atto politico o per fini politici, a me pare evidente che il caso rientri nella prima fattispecie. Il M5s deve votare non in base a una regoletta generale per cui bisogna dire sempre sì a ogni richiesta dei giudici, ma deve esprimersi sulla vicenda specifica, possibilmente dopo aver letto le cinquantadue pagine dell’atto. Ammesso che i senatori sappiano leggere e comprendano ciò che leggono…”.

 

Sul fronte immigrazione lei ha detto che esiste un problema a livello europeo: l’Italia è stata lasciata sola. “Prima di tutto, vorrei dire che i parlamentari che si sono recati in pellegrinaggio sulla Sea watch, o come accidenti si chiama, hanno strumentalizzato i migranti peggio di Salvini. Lei lo sa che la sera sono tornati a casa, si son fatti la doccia e hanno mangiato il bisteccone? Con la coscienza pulita, ovviamente. Una sceneggiata vergognosa. Cinquanta persone in mezzo al mare vanno salvate, senza se e senza ma; poi, una volta tratte in salvo e portate a terra, devi sapere dove accompagnarle perché non possono restare tutti qui”.

Una posizione, direi, salviniana: l’obiettivo è coinvolgere l’Europa nei ricollocamenti. “Non condivido nulla dell’operato del ministro, e quelle divise che indossa… vuole assomigliare al Duce?”.

 

Di Pietro, io ho ancora impressa la fiera immagine di lei a bordo del trattore, nella tenuta a Montenero di Bisaccia: l’arte della trebbiatura, una scena da Istituto Luce. “I contadini trebbiano il grano e raccolgono le olive. Scimmiottano il Duce quelli che si travestono da poliziotto per mera propaganda”.

Salvini ha spiegato che intende omaggiare donne e uomini che guadagnano 1.300 euro al mese. Spirito di corpo, nessuna giunta militare all’orizzonte. “Se così fosse, si dovrebbe autorizzare chiunque a indossarla. Per fortuna, non è così. Lo spirito di corpo si testimonia fornendo alle forze dell’ordine risorse adeguate”.

Non fa una piega. Mi domandavo: quale appellativo lei preferisce tra onorevole, dottore, procuratore? “Io, dentro, mi sento pm. La toga ti resta addosso”.

 

Ne avevamo avuto un vago sentore. Lei è stato il pioniere del giustizialismo eretto a programma politico. “Una falsa leggenda. Hanno fatto credere all’opinione pubblica che ci fosse una guerra tra magistrati e politica. Invece era tra guardie e ladri. Non è colpa mia se qualcuno commetteva illeciti”.

Lei ha ammesso di aver cercato consenso sulla “paura delle manette, del ‘sono tutti criminali’”. Una confessione tardiva? “Io non ho mai rinnegato il mio lavoro di magistrato. Hanno strumentalizzato le mie parole, intendevo dire che chi fa politica non dovrebbe brandire gli atti giudiziari per interessi di partito, tutto qui”.

 

“Uno stato che continua a indebitarsi se ne frega del destino dei figli. Il conto, prima o poi, arriva. Se la Banca d’Italia, l’Fmi, le agenzie internazionali ti dicono che così vai a sbattere,
devi ascoltare, non puoi pensare di sapere tutto. Anche perché tu non sai niente.
Il reddito di cittadinanza? E’ l’ultima cosa che serviva”  

Il magistrato che decide di cambiare mestiere deve rinunciare alla toga? “Io sono contrarissimo a quei magistrati che si mettono in aspettativa per candidarsi e vedere come va. Che furberia è questa? Se ti candidi scegli di fare il giocatore e dici addio alla maglia dell’arbitro. Chi si candida deve dimettersi dalla magistratura, una volta per sempre”.

Basta porte girevoli, giusto. “Nella mia vita mi sono dimesso tre volte: da magistrato, da politico e da ministro. Ogni volta mi hanno mosso accuse infondate, e i miei detrattori sono stati condannati per calunnia e diffamazione”.

 

In effetti, lo scandalo dei “56 appartamenti”, acquistati con i soldi dell’Italia dei valori, era un tantino gonfiato. Ma una certa gestione familistica era arcinota, il passo indietro appariva inevitabile. “Giunto alla soglia dei settanta, la vita un po’ la conosco. Non tutto è come sembra, mi creda. Dalla magistratura però mi sono dimesso con la morte nel cuore”.

 

Pure il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, con lei tra i massimi fomentatori dell’antipolitica ai tempi del salotto tv di Michele Santoro, ha battuto un percorso simile: toga ipermediatica, dimissioni e, a seguire, carriera politica, con minor fortuna della sua. A un certo punto, le vostre strade si sono separate… “Oggi lui fa il sindaco, io l’avvocato. La metterei sul piano del ricambio generazionale, opportuno e necessario. De Magistris è più giovane, è bene che segua la sua strada”.

 

Gianroberto Casaleggio è stato il suo primissimo spin doctor, l’uomo che si è inventato da zero la comunicazione web targata Di Pietro. “Il nostro rapporto è sempre stato improntato a riconoscenza e rispetto reciproco, per questo doso ogni parola quando si tratta di lui”.

Con i discepoli pentastellati, invece, non è affatto tenero. Si è sentito rottamato, dica la verità. “Alla mia età ho ricoperto tutti i ruoli a cui potevo ambire, non nutro rancore verso nessuno. Al M5s riconosco il merito di aver veicolato la rabbia delle persone verso le urne invece che a sfasciare le vetrine. Hanno organizzato un’opposizione democratica ma, una volta al governo, non ne hanno azzeccata una”.

Neppure mezza? “Continuano a comportarsi come se fossero all’opposizione. Fanno l’opposizione contro se stessi. Non si assumono la responsabilità di governare. Dicono sempre ‘farò’, ‘dirò’… Quando governi devi dire domani quello che fai oggi, invece loro ci informano quotidianamente su quello che faranno domani: sono bravi a far sognare. La loro è la politica degli annunci senza fatti, così alimentano speranze e delusioni”.

 

A proposito, Di Maio ha promesso pubblicamente l’abolizione della povertà, i numeri invece certificano la recessione tecnica, due trimestri consecutivi con il segno meno. “Il programma economico è radicalmente sbagliato, tuttavia da cittadino mi auguro che le ricette messe in campo funzionino, non sono uno che gufa. Un governo deve agire da buon padre di famiglia, non può spendere e spandere. Le confesso che, quando ho visto Di Maio, insieme a quegli altri, esultante dal balcone, con la faccia indiavolata, sono rimasto allibito. Ma che c’azzecca?”.

 

Non lo chieda a me. “Uno stato che continua a indebitarsi se ne frega del destino dei figli, delle future generazioni. Il conto, prima o poi, arriva. Se la Banca d’Italia, il Fondo monetario, le principali agenzie internazionali ti dicono che così vai a sbattere, devi ascoltare, non puoi pensare di sapere tutto. Anche perché tu non sai niente. Il reddito di cittadinanza è l’ultima cosa che serviva. Gliela metto semplice: se avessi mille lire, settecentottanta le darei non a chi sta a casa ma all’impresa che assume. Dicono che puoi rifiutare fino alla terza offerta: ma chi ti chiama? Ma chi ci crede? Ma dove ci stanno ’ste offerte di lavoro? Gli unici assunti sono i diecimila designati per il ruolo di ‘navigator’, come diamine han detto. Ché poi pure ’sta moda di ricorrere sempre all’inglese. Parlino l’italiano, se sono capaci”.

Li prende pure in giro sul congiuntivo? Lei è spietato. “Se ti laurei in Medicina, non sei chirurgo. Se ti laurei in Filosofia, non sei filosofo”.

Lei sa bene che i gialloverdi, della laurea, se ne infischiano. “Essere ignoranti non è una colpa. Quando però all’ignoranza si sommano saccenza e supponenza, non c’è via d’uscita”.

 

Dopo anni di una campagna, non priva di retorica, sul merito e il valore dello studio, oggi l’incompetenza viene ostentata, quasi fosse il tassello di una più vasta vendetta contro la casta. “La cosiddetta casta non è per forza il male assoluto. A un certo punto, io dico, bisogna diventare adulti. In questi giorni è venuto a mancare Giuseppe Zamberletti, il padre della Protezione civile, democristiano doc. Lui è l’esempio di come si possano combinare, nella stessa persona, onestà e capacità. Nella Prima Repubblica c’era del marcio, va bene, ma c’era pure del buono. Fare di tutta l’erba un fascio è profondamente sbagliato”.

 

A Strasburgo leghisti e grillini si sono astenuti sulla mozione che ha riconosciuto Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela. Nel 2017 proprio Di Maio proponeva il dittatore Nicolás Maduro nel ruolo di mediatore nella crisi libica. “In un caso come questo, all’imputato vanno riconosciute le attenuanti generiche perché non sa quel che dice. Prima di spararla grossa, uno dovrebbe fermarsi e studiare perché magari una tale baggianata può avere contraccolpi concreti sulla vita di migliaia di italiani che risiedono lì e patiscono la fame. Quando ho letto il comunicato ufficiale del premier Giuseppe Conte, ho tirato un sospiro di sollievo. Finalmente una presa di posizione un filo ragionata”.

 

Non mi ha ancora parlato del suo successore al ministero delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. “Lui andrebbe assolto perché incapace di intendere e di volere. A distanza di poche ore dal crollo del ponte Morandi, il ministro ha dichiarato, testualmente, che si sarebbe costituito parte civile nel processo. Uno che parla così non ha la minima idea del posto dove sta seduto, del fatto che al ministero esiste una direzione generale preposta alla vigilanza sulle concessionarie autostradali. Gli manca l’abc”.

Al netto delle gaffe ministeriali, emerge un dato: la “cultura del no”, contraria a ogni opera, marca un divario crescente tra le due forze di governo. “Anch’io vorrei svegliarmi tutti i giorni in campagna con il sole che mi scalda la pelle...il problema è che certi giorni piove. Quelli che fanno la guerra a un gasdotto, il Tap, sono gli stessi che la sera tornano a casa e si accendono il fornello per cuocere l’uovo. L’alta velocità tra Roma e Milano ha migliorato la vita di milioni di persone: qualcuno può forse negarlo? Da ministro mi sono adoperato attivamente perché le infrastrutture si realizzassero, a dispetto degli innumerevoli ostacoli, della burocrazia, delle risorse carenti... Le opere è meglio farle che non farle, e quando le fai devi pensare non all’oggi ma al domani, alle opportunità che si dispiegheranno nel futuro e che oggi non sei neppure in grado di immaginare. Posso essere brutale? Se dici sempre no, i figli non li fai”. A Di Maio ditelo piano.

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