Angela Merkel e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

L'urgenza di cambiare governo

Claudio Cerasa

Può essere credibile un governo la cui credibilità dipende dalla non realizzazione delle sue promesse? Il dialogo esilarante tra Merkel e Conte spiega perché il 2019 può essere un anno bellissimo solo stracciando il patto che sta affondando il paese

Se ci si pensa bene, la meravigliosa chiacchierata tra Angela Merkel e Giuseppe Conte registrata a Davos dai cronisti di “Piazza Pulita” è la perfetta fotografia dello stato surreale dell’Italia di oggi, in cui un presidente del Consiglio in carica non appena i microfoni si sono spenti si affretta giustamente a trasmettere ai principali partner europei un messaggio insieme esilarante e rassicurante: non vi preoccupate, my friends, quei due sembrano seri ma in realtà, fidatevi, non fanno mica sul serio. A prima vista, a voler ascoltare senza schermi ideologici le risposte date da Giuseppe Conte ad Angela Merkel di fronte a un caffè, si potrebbe tirare un sospiro di sollievo pensando che in fondo a Palazzo Chigi c’è un presidente del Consiglio che quando Salvini dice che i porti sono chiusi risponde di essere pronto a mandare aerei a prendere donne e bambini in mare.

  

Ma in realtà l’allegro e grottesco siparietto tra il premier italiano e la cancelliera tedesca ha la forza di mostrare a chi li voglia vedere tutti gli elementi che fanno dell’Italia la grande barzelletta d’Europa e il vero malato dell’Eurozona. Il primo elemento è legato a quello che è il senso paradossale e surreale della missione di Giuseppe Conte: non tanto mediare tra due scalmanati alleati di governo, ma fare di tutto per spiegare che l’Italia è credibile semplicemente perché il governo non farà tutto quello che promette di fare. Il ragionamento, naturalmente, non vale solo quando si parla delle simpatiche dichiarazioni di guerra recapitate da Balconaro e Cialtronaro alla corte di Macron, sono ragazzi, Angela, c’è la campagna elettorale, non crederai mica a quello che stanno dicendo, ma vale anche quando si parla di quello che è il vero innesco della nuova crisi italiana, ovvero il contratto di governo. Giuseppe Conte sa perfettamente che la credibilità dell’Italia è inversamente proporzionale alla possibilità che venga realizzato il contratto ed è per questo che periodicamente è costretto a trovare di fronte ai partner europei e agli investitori internazionali interlocuzioni per dimostrare che l’Italia populista non sarà così populista come sembra. Ma quello che deve aver pensato tra sé e sé Angela Merkel di fronte all’amico Giuseppi è come diavolo possa essere credibile un governo la cui credibilità dipende dalla non realizzazione delle sue promesse. E questo spunto di riflessione ci riporta rapidamente di nuovo in Italia, e al dramma vissuto oggi da un paese governato da un gruppo di incapaci che, senza rendersi neppure conto di cosa ha combinato, è riuscito a portare l’Italia in recessione dopo quattordici trimestri consecutivi di crescita (ieri l’indice Pmi dei direttori degli acquisti del settore manifatturiero italiano è sceso a gennaio a 47,8 dal precedente 49,2, l’intero comparto manifatturiero è ai minimi da cinque anni, lo spread tra Btp e Bund è schizzato fino a 263 punti base, il rendimento del titolo del Tesoro a 10 anni è andato in rialzo al 2,76 per cento, l’indice Ftse Mib ha fatto segnare un meno 0,78 per cento, ed è possibile che gli investitori internazionali abbiano capito, come ha sospettato ieri Renato Brunetta, che con i nuovi dati di crescita l’Italia non sia in grado di raggiungere gli obiettivi di deficit e debito concordati con la Commissione europea lo scorso dicembre, quelli necessari per avere il via libera alla legge di Bilancio).

 

Un paese che non riesce a crescere ma che discute se sia giusto o no aprire i negozi la domenica. Un paese che non riesce a crescere ma che discute se sia giusto o no portare a termine le grandi opere. Un paese che non riesce a crescere ma che non fa nulla per raccogliere le idee offerte ogni giorno dalle imprese, dai sindacati, dai costruttori, dagli agricoltori, dai commercianti, dagli artigiani, che chiedono all’unanimità di trovare un modo per ridare fiducia all’Italia, per rimettere il debito pubblico su un sentiero sostenibile, per non aumentare la spesa pensionistica, per decentrare la contrattazione salariale, per dare più flessibilità alle imprese, per abbassare le tasse, aiutare a ogni costo l’innovazione non solo dando agevolazioni agli imprenditori ma scommettendo sulla ricerca, la scuola, l’università. Il 2019 potrà essere un anno bellissimo, come ha detto ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che per qualche strana ragione sembra pensare che una recessione annunciata sia meno grave di una recessione a sorpresa, a condizione che in Italia accadano le uniche tre cose che possono permettere al nostro paese di non essere ancora a lungo la barzelletta d’Europa: cambiare il contratto, cambiare il governo, cambiare la legislatura. Matteo Salvini, ieri, visitando i cantieri della Tav in Val di Susa, ha detto che l’Italia non si può permettere incertezze. Il giorno in cui Salvini capirà che la più grande incertezza dell’Italia è legata alla non credibilità del suo governo potremmo forse dire tutti insieme con la nostra amata Angela che sì: sarà un anno bellissimo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.