Giuseppe Conte con Paolo Scudieri all'assemblea dell'Anfia a dicembre. Foto LaPresse

“Il 2019 sarà un anno bellissimo”. Così Conte va contromano

Maria Carla Sicilia

Altro che ripresa. A gennaio le immatricolazioni di auto calano del 7,55 per cento. Ecco come l'andamento dell'automotive svela molto dello stato di salute dell'economia italiana 

La conferma dell'Istat che il paese è andato in recessione dopo sei mesi di crescita negativa – ampiamente prevista – dovrebbe aver suggerito al governo che le stime di istituzioni e centri studi vanno ascoltate, invece che respinte e bollate come attacchi contro le proprie politiche. Il premier Giuseppe Conte ha dato prova di non aver imparato la lezione, quando, registrando un'intervista per la trasmissione Povera Patria, ha detto che “ci sono tutte le premesse per un bellissimo 2019 e per gli anni a venire” perché “l'Italia ha un programma di ripresa incredibile”. L'intervista, girata dallo stesso programma televisivo che ha realizzato il contestato servizio sul signoraggio, andrà in onda stasera (1 febbraio ndr), e vedremo in che modo Conte argomenterà la sua tesi. Ricorrere a fattori quali “l'entusiasmo e la fiducia dei cittadini” e “la determinazione del governo”, come anticipano i dispacci delle agenzie, non sembra sufficiente per controbattere ai dati forniti dalla nota congiunturale del centro studi di Confindustria, secondo cui per il 2019 “è alta la probabilità di una crescita annua poco sopra lo zero”. E questo ammettendo che il pil torni a crescere nel secondo semestre dell'anno. A riguardo, i motivi di incertezza sono legati anche a fattori globali come le tensioni commerciali e le incognite sulla Brexit, ma il contesto italiano mostra segnali interni di debolezza che si sono accentuati negli ultimi mesi: dal calo della fiducia delle imprese, che si riflette in prospettive poco incoraggianti per gli investimenti, all'occupazione stagnante, i consumi timidi e l'export che rallenta, anche a causa della produzione tedesca che da noi attiva la domanda di semilavorati. Tra i beni che hanno subito una forte flessione delle vendite ci sono le automobili: secondo i dati del ministero dei Trasporti a gennaio le immatricolazioni state il 7,55 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, una flessione importante che non è però inaspettata.      

   

Osservare l'andamento del settore può svelare molto dello stato di salute dell'economia, sia dal punto di vista dei consumatori sia delle imprese. Da una parte, infatti, le immatricolazioni di vetture rivelano l'umore di imprese e famiglie, mostrando se sono disposte a fare acquisti di beni durevoli, dall'altro ci informano sulla dinamica di produzione industriale. Al momento, in Italia, le cose non vanno molto bene e Conte dovrebbe saperlo, visto che ha incontrato le aziende italiane dell'automotive lo scorso dicembre, all'assemblea annuale dell'Anfia. 

  

Nel 2018 si è registrato un calo del 3,1 per cento delle immatricolazioni, concentrato nella seconda metà dell'anno, e anche i dati sulla produzione nazionale sono accompagnati dal segno meno. L'ultimo rapporto diffuso da Anfia a gennaio e relativo ai primi 11 mesi del 2018 dice che la produzione di autovetture registra una flessione del 9,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017, mentre quella di parti e accessori cala dell'1,8 per cento. Calano anche gli ordinativi, sia sul mercato interno sia estero, e il fatturato dell'intero settore. Di fronte a questi dati è utile inquadrare le dimensioni del comparto: 5.767 imprese, 253mila addetti, 100 miliardi di fatturato. Numeri che valgono quasi l'8 per cento del manifatturiero. Trascurare questi segnali non è un passo furbo da parte del governo.

  

Dietro a tutto questo, come nota Confindustria in accordo con diversi altri centri studi, ci sono le nuove regole internazionali per testare le emissioni che stanno stressando soprattutto le case automobilistiche tedesche e di riflesso le imprese italiane, “dati i profondi legami industriali”, con la Germania “che assorbe il 22 per cento dell'export nazionale di componentistica”. Sicuramente c'entrano anche i comportamenti di chiusura commerciale di alcuni paesi, tra gli altri la Cina che spinge per aumentare la sua produzione nazionale e ridimensionare l'import. Ma non mancano anche fattori interni. Lo ha già raccontato al Foglio Paolo Scudieri del gruppo Adler-Pelzer Group, dicendo che “non c’è mai stata un’accoglienza così fredda da parte di un governo verso l’impresa e l’imprenditoria italiana”. Lo suggerisce anche Confindustria, ricordando che il bonus malus varato con la legge di Bilancio per dirottare gli acquisti sulle auto elettriche e ibride “rischia di deprimere le vendite di vetture tradizionali, anche di produzione nazionale”. Già nel 2018 le immatricolazioni di marche nazionali sono crollate (-10,1 per cento). Con queste premesse incerte, le previsioni di Conte sono ben oltre l'ottimismo, soprattutto se il primo a remare contro è proprio lo stesso governo.

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