Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella mentre pronuncia il tradizionale discorso di fine anno (Foto LaPresse)

Così governa un presidente

Salvatore Merlo

Il gran discorso di Sergio Mattarella gli italiani lo hanno capito. Lo pubblichiamo, con qualche nota interpretativa di Salvatore Merlo, affinché lo capiscano anche al governo

Roma. Circondato da un cosmo in cui politici afflitti dall’ansia dell’esistere si affacciano anche più volte al giorno dal virile balcone di Facebook per eruttare parole come comignoli, Sergio Mattarella ricorda invece il vecchio pudore, riporta alla luce il sorriso dolente della ragion di stato, forse lo stile morbido e solenne della Dc. Parla infatti per circa quattordici minuti. E nel discorso di fine anno il presidente della Repubblica dice che la sicurezza non sono i manganelli ma “un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune”. Parla quindi di competenze “necessarie” e di difficoltà che non vanno nascoste, di approfondimento e d’impegno di fronte alle difficoltà dell’economia e del lavoro. Ricorda alle forze di governo la “grande compressione dell’esame parlamentare” nell’approvazione della legge di Bilancio, ribadisce la “dimensione europea” in cui l’Italia è chiamata a muoversi, rammenta a Matteo Salvini che le divise di polizia, carabinieri e vigili del fuoco non sono felpacce da campagna elettorale ma “il simbolo di istituzioni al servizio dei cittadini”.

 

E insomma più il presidente della Repubblica parla, più mette in dubbio che il modello vincente sul proscenio pubblico della politica debba per forza essere quello del piacione, del gradasso, del Brancaleone, del truce e del castigamatti. Mattarella ama stare sottovento, il suo è il ritmo dello studioso, ma pure coniuga l’equilibrio con la tenacia del non mollare, perché il suo discorso tutto politico è rivolto ai malumori e alle sgrammaticature del populismo. E forse il segreto che questo anziano presidente persegue è la semplicità, quell’armonica semplicità che nel marasma sbracato della politica italiana sbalordisce in misura maggiore della più intricata magia. 

 

Care concittadine e cari concittadini, siamo nel tempo dei social, in cui molti vivono connessi in rete e comunicano di continuo ciò che pensano e anche quel che fanno nella vita quotidiana. 

(Le uova con pancetta di Salvini, i centrifugati macrobiotici di Di Maio, le spremute di umanità di Di Battista, le espressioni di concentrazione di Toninelli, gli annunci epocali e le dichiarazioni solenni. Un formicolante palcoscenico)

 

Tempi e abitudini cambiano ma questo appuntamento – nato decenni fa con il primo Presidente, Luigi Einaudi – non è un rito formale. Mi assegna il compito di rivolgere, a tutti voi, gli auguri per il nuovo anno: è un appuntamento tradizionale, sempre attuale e, per me, graditissimo.

(“Non è un rito formale”. E infatti il discorso di Mattarella è tutto politico)

 

“La sicurezza parte da qui: da un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune”

Permette di formulare, certo non un bilancio, ma qualche considerazione sull’anno trascorso. Mi consente di trasmettere quel che ho sentito e ricevuto in molte occasioni nel corso dell’anno da parte di tanti nostri concittadini, quasi dando in questo modo loro voce. E di farlo da qui, dal Quirinale, casa di tutti gli italiani. Quel che ho ascoltato esprime, soprattutto, l’esigenza di sentirsi e di riconoscersi come una comunità di vita. La vicinanza e l’affetto che avverto sovente, li interpreto come il bisogno di unità, raffigurata da chi rappresenta la Repubblica che è il nostro comune destino. Proprio su questo vorrei riflettere brevemente, insieme, nel momento in cui entriamo in un nuovo anno. Sentirsi “comunità” significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa “pensarsi” dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese. Vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri. Vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e nel battersi, come è giusto, per le proprie idee rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore.

(In televisione e in politica, persino su certi giornali, prospera una grammatica fuori controllo che ha liberalizzato il ricorso a parole eccessive, per forzare nella direzione dello sdegno emotivo e del rifiuto morale situazioni, luoghi, comportamenti e persone, che non è più lo sberleffo spiritoso di Totò – “a proposito di politica, non è che ci sarebbe qualcosina da mangiare?” – ma è invettiva, compiacimento nell’eccesso, tumulto da curva sud, odio, ricerca di un nemico e paura usati come leve di conenso)

 

So bene che alcuni diranno: questa è retorica dei buoni sentimenti, che la realtà è purtroppo un’altra; che vi sono tanti problemi e che bisogna pensare soprattutto alla sicurezza.

(Gli stessi che s’inventano l’attico a Manhattan di Roberto Saviano)

 

Certo, la sicurezza è condizione di un’esistenza serena. Ma la sicurezza parte da qui: da un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune. La domanda di sicurezza è particolarmente forte in alcune aree del Paese, dove la prepotenza delle mafie si fa sentire più pesantemente. E in molte periferie urbane dove il degrado favorisce il diffondersi della criminalità. Non sono ammissibili zone franche dove la legge non è osservata e si ha talvolta l’impressione di istituzioni inadeguate, con cittadini che si sentono soli e indifesi. La vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza.

(In Friuli Venezia Giulia, il presidente leghista Massimiliano Fedriga è riuscito a impedire che gli immigrati, anche quelli che avevano teoricamente diritto, concorressero all’assegnazione delle case popolari. Il sindaco di Lodi, anche lei leghista, ha copiato l’escogitazione: per avere diritto al servizio della mensa scolastica le famiglie immigrate di Lodi devono procurarsi nei paesi d’origine la documentazione sulla propria condizione reddituale. Se non integri, se non assimili, crei ghetti e banlieue. Tensioni sociali, razziali, religiose. Altro che sicurezza. Ancora un po’ di salvinismo, di apartheid nelle mense scolastiche, di migranti esclusi dal diritto alla casa e al lavoro, e non saranno i nostri ospiti a diventare come noi, bensì noi a diventare come loro)

 

Sicurezza è anche lavoro, istruzione, più equa distribuzione delle opportunità per i giovani, attenzione per gli anziani, serenità per i pensionati dopo una vita di lavoro: tutto questo si realizza più facilmente superando i conflitti e sostenendosi l’un l’altro.

(Da un lato c’è il reddito di cittadinanza, dall’altro l’idea revanscista del taglio alle cosiddette pensioni d’oro. La cultura dell’odio sociale e della rivalsa, italiani contro italiani)

 

“Il modello di vita dell’Italia non può essere – e non sarà mai – quello degli ultras violenti degli stadi di calcio”

Qualche settimana fa a Torino alcuni bambini mi hanno consegnato la cittadinanza onoraria di un luogo immaginario, da loro definito Felicizia, per indicare l’amicizia come strada per la felicità. Un sogno, forse una favola. Ma dobbiamo guardarci dal confinare i sogni e le speranze alla sola stagione dell’infanzia. Come se questi valori non fossero importanti nel mondo degli adulti. In altre parole, non dobbiamo aver timore di manifestare buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società. Sono i valori coltivati da chi svolge seriamente, giorno per giorno, il proprio dovere; quelli di chi si impegna volontariamente per aiutare gli altri in difficoltà.

(Fu Mattarella, con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a chiudere in maniera dignitosa la vicenda della nave Diciotti, permettendo lo sbarco dei migranti, sciogliendo così il pasticcio propagandistico nel quale si era incastrato il ministro dell’Interno Matteo Salvini)

 

Il nostro è un Paese ricco di solidarietà. Spesso la società civile è arrivata, con più efficacia e con più calore umano, in luoghi remoti non raggiunti dalle pubbliche istituzioni. Ricordo gli incontri con chi, negli ospedali o nelle periferie e in tanti luoghi di solitudine e di sofferenza dona conforto e serenità. I tanti volontari intervenuti nelle catastrofi naturali a fianco dei Corpi dello Stato. È l’“Italia che ricuce” e che dà fiducia. Così come fanno le realtà del Terzo Settore, del No profit che rappresentano una rete preziosa di solidarietà. Si tratta di realtà che hanno ben chiara la pari dignità di ogni persona e che meritano maggiore sostegno da parte delle istituzioni, anche perché, sovente, suppliscono a lacune o a ritardi dello Stato negli interventi in aiuto dei più deboli, degli emarginati, di anziani soli, di famiglie in difficoltà, di senzatetto. Anche per questo vanno evitate “tasse sulla bontà”.

(Luigi Di Maio e Giuseppe Conte hanno assicurato che il raddoppio dell’Ires per gli enti no profit sarà cancellato. Chissà. Intanto è già in vigore. Ed è legge. La sottosegretaria all’Economia Laura Castelli aveva infatti spiegato che la tassa è giusta. Ovviamente a modo suo: “Noi tassiamo i profitti delle no profit, mica tassiamo i soldi della beneficenza!”)

 

È l’immagine dell’Italia positiva, che deve prevalere. Il modello di vita dell’Italia non può essere – e non sarà mai – quello degli ultras violenti degli stadi di calcio, estremisti travestiti da tifosi.

(Ci sarebbero le fotografie di Salvini allo stadio di San Siro che abbraccia un capo ultras pregiudicato. E poi c’è quel famoso scatto, del 2016, durante un derby Milan-Inter in cui il futuro ministro dell’Interno, come Vittorio Gassman nel film “i mostri”, si alza in piedi, urla, e fa il gesto dell’ombrello)

 

Alimentano focolai di odio settario, di discriminazione, di teppismo. Fenomeni che i pubblici poteri e le società di calcio hanno il dovere di contrastare e debellare.

(“I pubblici poteri”, tipo il ministro dell’Interno di cui sopra)

 

“La grande compressione dell’esame parlamentare richiede adesso un’attenta verifica dei contenuti della legge di Bilancio”

Lo sport è un’altra cosa. Esortare a una convivenza più serena non significa chiudere gli occhi davanti alle difficoltà che il nostro Paese ha di fronte. Sappiamo di avere risorse importanti; e vi sono numerosi motivi che ci inducono ad affrontare con fiducia l’anno che verrà. Per essere all’altezza del compito dobbiamo andare incontro ai problemi con parole di verità, senza nasconderci carenze, condizionamenti, errori, approssimazioni.

(E insomma, dice Mattarella, siamo un grande paese, ma abbiamo dei problemi. Questi vanno guardati in faccia e affrontati senza abbandonarsi alla scorciatoia del vittimismo che è sempre l’alibi degli inadeguati che scaricano le colpe della loro incompetenza su entità inafferrabili come la finanza, l’euro, l’Europa…)

 

Molte sono le questioni che dobbiamo risolvere. La mancanza di lavoro che si mantiene a livelli intollerabili. L’alto debito pubblico che penalizza lo Stato e i cittadini e pone una pesante ipoteca sul futuro dei giovani. La capacità competitiva del nostro sistema produttivo che si è ridotta, pur con risultati significativi di imprese e di settori avanzati. Le carenze e il deterioramento di infrastrutture. Le ferite del nostro territorio. Dobbiamo aver fiducia in un cammino positivo. Ma non ci sono ricette miracolistiche. Soltanto il lavoro tenace, coerente, lungimirante produce risultati concreti. Un lavoro approfondito, che richiede competenza e che costa fatica e impegno. Traguardi consistenti sono stati raggiunti nel tempo. Frutto del lavoro e dell’ingegno di intere generazioni che ci hanno preceduto.

(I miracoli li fa San Gennaro e non San Giggino. La povertà non si abolisce per legge, il lavoro non si crea con un decreto, la corruzione non si spazza via con un pasticcio sulla prescrizione. Il governo ai tempi del populismo non fa mai una cosa normale ma chiara, sussurrata ma seria, in punta di piedi ma lasciando l’orma sul terreno: urla e pernacchie, rullio di tamburelli e bandiere, esagerazioni ed esagitazioni. E poi?)

 

Abbiamo a esempio da poco ricordato i quarant’anni del Servizio sanitario nazionale. È stato – ed è – un grande motore di giustizia, un vanto del sistema Italia. Che ha consentito di aumentare le aspettative di vita degli italiani, ai più alti livelli mondiali. Non mancano difetti e disparità da colmare. Ma si tratta di un patrimonio da preservare e da potenziare. L’universalità e la effettiva realizzazione dei diritti di cittadinanza sono state grandi conquiste della Repubblica: il nostro Stato sociale, basato sui pilastri costituzionali della tutela della salute, della previdenza, dell’assistenza, della scuola rappresenta un modello positivo. Da tutelare. Ieri sera ho promulgato la legge di bilancio nei termini utili a evitare l’esercizio provvisorio, pur se approvata in via definitiva dal Parlamento soltanto da poche ore. Avere scongiurato la apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea per il mancato rispetto di norme liberamente sottoscritte è un elemento che rafforza la fiducia e conferisce stabilità.

(Tradotto: ve la ho approvata solo per evitare la procedura d’infrazione)

 

La grande compressione dell’esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali richiedono adesso un’attenta verifica dei contenuti del provvedimento.

(Ovvero: la manovra è piena di cose abbastanza scritte male ed eterogenee, se non persino sbagliate e forse pure incostituzionali. E me ne sono accorto benissimo)

 

Mi auguro – vivamente – che il Parlamento, il Governo, i gruppi politici trovino il modo di discutere costruttivamente su quanto avvenuto; e assicurino per il futuro condizioni adeguate di esame e di confronto.

(In sostanza: la forzatura è stata inaccettabile, non si deve mai più ripetere, mi avete messo di fronte a un bivio: non firmare portando l’Italia all’esercizio provvisorio, o firmare una mezza schifezza che però evitava guai nel breve periodo)

 

La dimensione europea è quella in cui l’Italia ha scelto di investire e di giocare il proprio futuro; e al suo interno dobbiamo essere voce autorevole.

(Insultare le istituzioni europee, indebolire la Bce, aggredire gli alleati e tutti i paesi con i quali dovremmo invece esercitare l’arte politica della mediazione è un’attività insensata e spiazzante che equivale a segare il ramo sul quale siamo tutti seduti)

“La dimensione europea è quella in cui l’Italia ha scelto di investire e giocare il proprio futuro; dobbiamo essere voce autorevole al suo interno”

Vorrei rinnovare un pensiero di grande solidarietà ai familiari di Antonio Megalizzi, vittima di un vile attentato terroristico insieme ad altri cittadini europei. Come molti giovani si impegnava per un’Europa con meno confini e più giustizia. Comprendeva che le difficoltà possono essere superate rilanciando il progetto dell’Europa dei diritti, dei cittadini e dei popoli, della convivenza, della lotta all’odio, della pace.

(Qui Matterella si augura forse che Di Maio apra un libro di storia ogni tanto, ma il vicepremier appartiene a un gruppo umano che ha evidentemente un conto aperto con la società e a ben guardare anche con l’istruzione)

 

Quest’anno saremo chiamati a rinnovare il Parlamento europeo, la istituzione che rappresenta nell’Unione i popoli europei, a quarant’anni dalla sua prima elezione diretta. È uno dei più grandi esercizi democratici al mondo: più di 400 milioni di cittadini europei si recheranno alle urne. Mi auguro che la campagna elettorale si svolga con serenità e sia l’occasione di un serio confronto sul futuro dell’Europa.

(Qui il presidente spera che i verdi e i gialli non contrappongano le loro paure e i loro complessi all’Unione europea. Spera)

Sono rimasto colpito da un episodio di cronaca recente, riferito dai media. Una signora di novant’anni, sentendosi sola nella notte di Natale, ha telefonato ai Carabinieri. Ho bisogno soltanto di compagnia, ha detto ai militari. E loro sono andati a trovarla a casa portandole un po’ di serenità. Alla signora Anna, e alle tante persone che si sentono in solitudine voglio rivolgere un saluto affettuoso. Vorrei sottolineare quanto sia significativo che si sia rivolta ai Carabinieri. La loro divisa, come quella di tutte le Forze dell’ordine e quella dei Vigili del fuoco, è il simbolo di istituzioni al servizio della comunità. Si tratta di un patrimonio da salvaguardare perché appartiene a tutti i cittadini.

(C’è un tipo strano che gira l’Italia travestito da poliziotto o da vigile del fuoco. Dice di essere il ministro dell’Interno)

 

Insieme a loro rivolgo un augurio alle donne e agli uomini delle Forze armate, impegnate per garantire la nostra sicurezza e la pace in patria e all’estero. Svolgono un impegno che rende onore all’Italia. La loro funzione non può essere snaturata, destinandoli a compiti non compatibili con la loro elevata specializzazione. In questa sera di festa desidero esprimere la mia vicinanza a quanti hanno sofferto e tuttora soffrono – malgrado il tempo trascorso – le conseguenze dolorose dei terremoti dell’Italia centrale, alle famiglie sfollate di Genova e della zona dell’Etna. Nell’augurare loro un anno sereno, ribadisco che la Repubblica assume la ricostruzione come un impegno inderogabile di solidarietà.

(Speriamo bene. Non si ricostruisce con le chiacchiere. Ricordando sempre che al ministero delle Infrastrutture c’è un tale Toninelli che spiega a fisici e ingegneri come si fa a collegare Torino e Lione con… una pista ciclabile)

Auguri a tutti gli italiani, in patria o all’estero. Auguro buon anno ai cinque milioni di immigrati che vivono, lavorano, vanno a scuola, praticano sport, nel nostro Paese. Rivolgo un augurio, caloroso, a Papa Francesco; e lo ringrazio, ancora una volta, per il suo magistero volto costantemente a promuovere la pace, la coesione sociale, il dialogo, l’impegno per il bene comune. Vorrei concludere da dove ho iniziato: dal nostro riconoscerci comunità. Ho conosciuto in questi anni tante persone impegnate in attività di grande valore sociale; e molti luoghi straordinari dove il rapporto con gli altri non è avvertito come un limite, ma come quello che dà senso alla vita. Ne cito uno fra i tanti ricordando e salutando i ragazzi e gli adulti del Centro di cura per l’autismo, di Verona, che ho di recente visitato. Mi hanno regalato quadri e disegni da loro realizzati. Sono tutti molto belli: esprimono creatività e capacità di comunicare e partecipare. Ne ho voluto collocare uno questa sera accanto a me. Li ringrazio nuovamente e rivolgo a tutti loro l’augurio più affettuoso. A tutti voi auguri di buon anno.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.