Sergio Mattarella (foto LaPresse)

La lezione di Mattarella è che i mercati hanno sempre ragione

Claudio Cerasa

Il capo dello stato ci ha ricordato che non sono nemici del popolo ma il termometro che misura il grado di fiducia che ha il mondo nei confronti di un paese. Vale la pena ricordarlo, anche quando si tornerà a parlare di Consob

Tra le molte ragioni che ci hanno portato a scegliere Sergio Mattarella come il nostro uomo dell’anno ce n’è una particolare che non abbiamo messo a fuoco a sufficienza ma che merita di essere approfondita e che riguarda un dato culturale, prima ancora che economico o politico, legato ad alcune scelte fatte negli ultimi mesi dal presidente della Repubblica. Mattarella può essere elogiato per la sua capacità sobria ma decisa di far rispettare, nei limiti del suo mandato, la Costituzione, la ragion di stato, il buon senso, i trattati internazionali, l’interesse nazionale, lo stato di diritto, la democrazia rappresentativa, ma meriterebbe di essere elogiato anche per qualcosa di meno scontato che riguarda un punto che anche grazie al capo dello stato oggi è diventato un dato di fatto.

 

 

#GrazieMattarella, due pagine di tweet e commenti dei nostri lettori a sostegno del capo dello stato 

 

In modo un po’ brutale, ma niente affatto impreciso, potremmo metterla così: i mercati possono far male ma hanno sempre ragione. Per quanto ci si possa girare attorno è indubbio che alcune delle più importanti scelte politiche fatte dal governo italiano negli ultimi mesi, sotto la pressione e la moral suasion del Quirinale, siano strettamente legate ad alcune indicazioni ricavate dall’osservazione dell’andamento dei mercati. Sono stati i mercati, a maggio, a segnalare la pericolosità di avere un ministro disposto a ragionare su un piano B di uscita dall’Euro. Sono stati i mercati, tra ottobre e dicembre, a segnalare la pericolosità di costruire una manovra finalizzata ad aumentare il debito e a violare le regole dei trattati. Sono stati i mercati, sempre tra ottobre e dicembre, a far emergere la pericolosità di mettere a rischio le banche italiane giocando con i conti pubblici dell’Italia. Sono stati i mercati a segnalare attraverso l’indice del credit default swap la pericolosità di avere un paese dell’Eurozona guidato da un governo non disposto a fare tutto il necessario per proteggere l’Euro. E sono ancora i mercati oggi a segnalare, con uno spread che nonostante la manovra cambiata si trova sempre a cento punti in più rispetto al 4 marzo, che il problema dell’Italia non era tanto come trasformare la manovra ma come riportare un clima di fiducia nel nostro paese.

 

 

 

I mercati possono far male ma Sergio Mattarella ci ha ricordato che hanno sempre ragione, perché i mercati non sono il riflesso degli interessi dei poteri forti brutti e cattivi. Sono qualcosa di più semplice e di più importante: sono un termometro che non fa altro che misurare il grado di fiducia che ha il mondo nei confronti di un paese. Per anni, buona parte della classe dirigente italiana, compresa purtroppo quella di centrodestra, ha educato i propri elettori a considerare i mercati come se fossero degli spregiudicati e oscuri nemici del popolo. I primi sei mesi del governo del cambiamento, anche grazie alla vigilanza di Mattarella, hanno avuto il merito di ricordare che i mercati sono invece solo come un termometro e per questo prendersela con un termometro quando il termometro misura solo la febbre significa voler guardare il dito che indica la luna piuttosto che la luna. E la ragione per cui per un paese come l’Italia essere in sintonia con i mercati significa fare l’interesse del popolo è anche qui semplice e lineare: i mercati sono tanto più importanti quanto un paese vive interconnesso con il resto del mondo e un paese come l’Italia che non solo grazie all’export con il mondo ci lavora non può essere indifferente rispetto a ciò che il mondo pensa di noi.

 

Semplice no? In questi ultimi mesi i mercati ci hanno ricordato poi che un paese indebitato che non si preoccupa del suo debito, che non rispetta le regole, che non attira gli investitori, che fa alzare i rendimenti dei titoli di stato, che mette a rischio le banche, che mette in fuga capitali stranieri, che gioca con l’Euro, che sputa sull’Europa, che considera gli imprenditori dei nemici da cui difendersi, non è un paese che cura gli interessi dei suoi elettori ma è un paese che non dà garanzie sul futuro. E allo stesso tempo, volendo fare un ulteriore passo in avanti, potremmo dire che anche grazie a Mattarella i populisti, e una parte dei loro elettori, da un lato hanno capito che un’economia come quella italiana funziona se è bene integrata con il mondo e per questo non può permettersi di giocare troppo con la grammatica della chiusura. Mentre dall’altro lato hanno forse capito che un’economia che funziona non può permettersi di considerare le banche come delle canaglie da cui difendersi. Può sembrare solo un dettaglio ma tra i molti bagni di realtà a cui sono stati costretti negli ultimi mesi i nostri amabili e irresponsabili sovranisti all’amatriciana uno ulteriore che merita di essere isolato dal resto del contesto è quello che riguarda la consapevolezza di che cosa significhi governare senza curarsi della salute del sistema finanziario.

 

Salvini e Di Maio hanno costruito buona parte del proprio consenso trasformando in nemici del popolo tutti i politici che si sono spesi per salvaguardare la salute del sistema bancario ma negli ultimi mesi devono aver capito anche loro, come i predecessori, che la terza potenza economica dell’Europa e la settima potenza industriale del mondo se non protegge le sue banche non mette al sicuro gli interessi del popolo: li mette a rischio. E così, anche grazie ai segnali arrivati dai mercati, Salvini e Di Maio hanno capito che giocare con la stabilità delle banche, facendo salire lo spread e dunque i rendimenti dei titoli di stato che si trovano in modo copioso nella pancia delle grandi banche italiane, significa giocare con i mutui e con l’accesso al credito delle famiglie e delle imprese. E per quanto possa essere efficace dal punto di vista elettorale presentarsi come i difensori del popolo, e non della finanza, alla fine anche gli avvocati del popolo oggi devono ammettere che il popolo lo si protegge solo proteggendo le banche e ascoltando i mercati.

 

Semplice, no? In una fase storica in cui l’opposizione non funziona come dovrebbe, per Sergio Mattarella non era facile riuscire a distillare gocce di buon senso nel tetro oceano del populismo. E se il presidente della Repubblica è riuscito a portare, a fatica, con molti danni e con molti costi, i populisti dalla parte della ragione il merito non è tanto dei partiti che si trovano all’opposizione ma è del miglior alleato trovato dal capo dello stato sulla sua strada: quei mercati che da speculatori brutti e cattivi sono diventati semplicemente dei giudici che ci valutano e che ci segnalano quando è il caso di non trascurare un problema. Il volto di quel giudice corrisponde a quello degli investitori, di chi custodisce i nostri risparmi, e se un giorno ci libereremo dall’incubo del populismo sfascista più che per merito dell’opposizione sarà per merito di chi è riuscito a dimostrare che il problema di un termometro che misura la febbre non è il termometro ma è la febbre. Difendere i mercati significa difendere l’Italia e speriamo che anche quando il governo italiano presenterà al Parlamento il nome di colui che prenderà alla Consob il posto di Mario Nava si tenga conto anche di questo: gli investitori non vanno spaventati con il nome di un poliziotto cattivo, vanno incoraggiati con un amico della crescita, con un sostenitore dello sviluppo, con qualcuno che considera la globalizzazione un’opportunità da sfruttare, non un nemico da cui proteggersi. Viva Mattarella. Viva i mercati. E buon Natale a tutti a voi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.