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Gagliardo difensore della ragione. Perché Mattarella è il nostro uomo dell'anno

Claudio Cerasa

Ha vinto la battaglia contro gli anti euro e sulla manovra ha distillato buon senso nel marmo duro del populismo. Elogio di un presidente diventato l’ultimo argine contro l’isteria dell’Italia sfascista e anti europeista (con una missione per il 2019)

Tre giorni fa, diversi giornali hanno pubblicato in prima pagina la bellissima e straziante immagine del presidente della Repubblica impegnato, in solitudine, ad attendere all’aeroporto militare di Ciampino la salma di Antonio Megalizzi, il ragazzo italiano morto nell’attentato compiuto la settimana scorsa al mercatino di Natale di Strasburgo. Quell’immagine offre lo spunto per sviluppare molte riflessioni sulla figura di Sergio Mattarella. Ma ciò che quello scatto sembra voler significare più di ogni altro ragionamento riguarda una simbologia legata più a un intero anno che a una singola foto. E la ragione per cui quell’immagine ha colpito l’attenzione di molti di noi, e di molti di voi, è l’essenza della figura incarnata oggi dal presidente della Repubblica. Che non si limita solo a essere l’italiano che più di chiunque altro rappresenta l’unità nazionale, ma che arriva a essere qualcosa di più forte, di più profondo, forse di più inconfessabile: l’unica figura istituzionale in grado di farsi carico dei problemi dell’Italia.

 


 Foto LaPresse


 

La foto di Sergio Mattarella da solo di fronte alla salma in arrivo di Antonio Megalizzi è certamente l’immagine plastica della ragion di stato, ma a pensarci bene è anche l’immagine della semplice ragione, del giudizio assennato, della responsabilità politica, che non sono soltanto ornamentali elementi retorici, ma sono la sostanza del ruolo svolto oggi dal presidente della Repubblica.

 

Questo giornale, nelle ore più vivaci delle consultazioni di governo, non ha mancato di criticare con durezza il capo dello stato per aver gestito in modo non impeccabile la fase post elettorale e per non aver fatto valere dal primo momento tutte le sue prerogative di fronte all’arrivo dei populisti al governo. Ma da fine maggio a oggi il capo dello stato non ha più sbagliato un colpo, e nel corso dei mesi non si è limitato solo a far cadere periodicamente delle piccole gocce di ragione nel marmo duro del populismo. Ha fatto qualcosa di più: ha vinto le due più importanti battaglie politiche con cui negli ultimi sette mesi ha avuto la sfortuna di fare i conti il nostro paese.

 

 

La prima battaglia è stata quella di fine maggio, quando il presidente ha costretto la nuova maggioranza ad accettare un paletto cruciale posto sul percorso del populismo: la settima potenza industriale del mondo e la terza economia dell’Europa non avrà mai un ministro dell’Economia appassionato di piani B sull’euro. Così è stato. E lo stesso meccanismo, se vogliamo, è quello attivato nelle ultime settimane rispetto al futuro della legge di Stabilità. L’immagine del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, impegnato in Senato a spiegare i dettagli della manovra così come dettata dalla Commissione europea, e affiancato non da Matteo Salvini e Luigi Di Maio ma da Giovanni Tria ed Enzo Moavero, è uno scatto non così diverso rispetto al passo indietro di Paolo Savona a fine maggio: in quel caso la difesa andata a buon fine fu quella dell’euro, in questo caso la difesa andata a buon fine è stata quella dell’Europa. L’elemento però più significativo della parabola – e delle vittorie – di Mattarella riguarda un dato politico che oggi forse faticheranno a negare anche i più appassionati difensori dell’irresponsabile populismo sovranista: il presidente della Repubblica, nella sua difesa dell’interesse nazionale, della Costituzione, dei conti pubblici, del risparmio, dello stato di diritto, dei vaccini, dell’equilibrio dei poteri, dell’euro, dell’Europa, del rispetto delle istituzioni – “nessuno è al di sopra della legge” – non è soltanto il difensore di un punto di vista, ma più semplicemente è il difensore della ragione.

 

Lo è stato nel 2018, e per questo è il nostro uomo dell’anno, e ci auguriamo che lo sia anche nel 2019, quando la sfida più importante di fronte alla quale si potrebbe trovare non sarà più difendere l’euro dal governo italiano, non sarà più difendere l’Europa dal governo italiano, ma sarà più probabilmente difendere la stessa Italia dai danni provocati dal governo italiano.

 



    

La manovra del cambiamento ha permesso all’Italia di schivare almeno per quest’anno la procedura di infrazione, ma all’interno della pagliacciata della legge di Stabilità sono contenuti una serie di indizi che sembrano mostrare in modo chiaro – come le clausole di salvaguardia previste per il prossimo anno portate a 24 miliardi dai 13,5 previsti fino a qualche giorno fa – che la sfida più importante per il presidente della Repubblica nel 2019 sarà come agevolare in modo non traumatico la fine del governo sfascista. E continuare a fare la cosa giusta, per il presidente della Repubblica, significherebbe naturalmente, quando la realtà del partito dei fatti mostrerà il conto all’irresponsabilità del partito del chiacchiere, cogliere l’occasione per agevolare lo scioglimento delle Camere e compiere così il terzo miracolo: difesa dell’euro, difesa dell’Europa, difesa dell’Italia. Non è detto che agevolare le elezioni anticipate sia un modo per mettere definitivamente al sicuro il nostro paese da un governo populista ma è certo che agevolare le elezioni potrebbe permettere al presidente della Repubblica di archiviare per sempre, dopo averlo fatto sfogare, il governo più pericoloso mai avuto dall’Italia dal Dopoguerra a oggi.

  


Foto LaPresse


 

L’Italia populista, nonostante la tregua guadagnata con una manovra miserabile ma costruita per fortuna non in violazione dei trattati europei, continua a essere un paese a rischio. Ma grazie a Sergio Mattarella i rischi per il paese sono stati inferiori rispetto a quelli che ci sarebbero stati senza la sua vigilanza. E prima o poi anche gli scendiletto del populismo capiranno che gli applausi per Mattarella non sono applausi di parte: sono solo gli applausi di chi prova disperatamente a difendere l’Italia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.