Ad Alessandria, uno striscione di attivisti che si oppongono al Terzo valico (foto LaPresse)

I 54 km che spiegano la crisi italiana

Claudio Cerasa

Come si fa ad avere fiducia in un paese che non sa investire sul suo futuro? Perché sindacati e imprenditori dovrebbero mobilitarsi contro il sabotaggio di governo di una grande infrastruttura italiana: il Terzo Valico. Storia di un altro spread

C’è uno spread che si vede, e che da tempo fa tremare le gambe a tutti coloro che ogni giorno devono decidere se investire o no nel nostro paese, e c’è uno spread che invece non si vede e che pur essendo poco visibile mette i brividi più di un rendimento di un titolo di stato. Il primo spread è quello che misura il grado di affidabilità del debito pubblico italiano. Il secondo spread è quello che misura la capacità di un paese di investire sul suo futuro e coincide con una parola magica: “Infrastrutture”. In queste ore, molti osservatori si stanno giustamente concentrando sulla possibilità che venga modificata la legge di Stabilità per scongiurare che l’innalzamento del primo spread possa portare a un collasso del sistema finanziario. Ma in pochi si stanno invece concentrando sul secondo spread, senza migliorare il quale l’Italia è destinata a bruciare migliaia di posti di lavori e a mettere in fuga miliardi di capitali. Nell’audizione di martedì scorso in commissione Bilancio, Giovanni Tria ha sostenuto che la ragione per cui la crescita del pil italiano nel 2019 sarà superiore alle attese (Tria dice che sarà +1,5, l’Fmi dice che sarà al massimo +1) è legata anche alla realizzazione di un grande piano di infrastrutture e il ministro dell’Economia è arrivato persino a criticare la scelta fatta a Roma e a Torino dai sindaci a cinque stelle sulle Olimpiadi ricordando che “non possiamo rinunciare a fare investimenti per paura degli abusi”.

 

Non vorremmo essere pessimisti, noi della Festa dell’ottimismo, ma c’è una storia che forse il ministro farebbe bene a mettere a fuoco nel caso in cui il governo dovesse avere la forza di superare lo scontro in atto oggi più con la realtà che con i mercati. E’ la storia di una grande opera che dovrebbe mobilitare tutto il ceto produttivo italiano e che meriterebbe di occupare le prime pagine almeno quanto la cronaca quotidiana della crescita o della decrescita dei rendimenti dei titoli di stato. La storia è questa ed è una storia che dimostra che il problema di un ministro come Danilo Toninelli non sono le cose che dice, e le sue gaffe, ma sono le cose che fa. Avete mai sentito parlare del Terzo Valico? Bene. Il Terzo Valico è una linea ferroviaria pensata per creare un corridoio capace di collegare il porto di Genova con quello di Rotterdam.

 

I lavori del Terzo Valico – che in Italia si sviluppano lungo un tratto di 54 km – sono iniziati nell’autunno del 2013, l’opera è stata autorizzata per la prima volta nel 1991 e in questi ventisette anni sono successe molte cose: il Terzo Valico è stato approvato da 35 atti autorizzativi, è stato inserito per la prima volta dal Cipe nel programma delle opere urgenti nel 2001, gli stanziamenti sono stati ratificati nello stesso anno dalla Corte dei conti, i progetti sono stati approvati dagli enti locali, dalle regioni, dai comuni, dal ministero dei Beni Culturali, la Banca europea degli investimenti ha dato il suo benestare all’operazione per la prima volta nel 2004 e fino a qualche mese fa il consorzio che sta lavorando al tracciato aveva previsto la fine dei lavori per il 2021. Oggi il Terzo Valico si trova al 70 per cento della sua costruzione, dà occupazione a 2.400 persone e secondo i calcoli del consorzio potrebbe dare lavoro ad altre 3.000 persone. I lavori sono divisi in sei lotti. Quattro di questi sono già stati finanziati, il quinto lotto è stato già approvato dal Cipe nella precedente legislatura (22 dicembre 2017), il suo finanziamento ha superato l’esame della Corte dei conti ma con l’arrivo di Toninelli è cambiato tutto. Anche un bambino capirebbe che – in un momento in cui il porto di Genova, a causa del crollo del ponte Morandi, rischia di bruciare un giro d’affari pari a 2,2 miliardi di euro nei prossimi due anni – oggi dovrebbe essere una priorità dell’Italia avere nel minor tempo possibile un’infrastruttura importante capace di collegare presto il porto di Genova con il resto d’Europa (grazie al Terzo Valico, da Genova sarà possibile arrivare a Milano in 30 minuti rispetto all’ora e 39 minuti attuali).

 

Ma nonostante questo, una volta arrivato alla guida del ministero delle Infrastrutture, il sempre concentrato Toninelli ha deciso di bloccare tutto. Nell’ultima versione del decreto su Genova, il ministro ha prima scelto di stralciare il finanziamento da 791 milioni di euro necessari per proseguire i lavori sulla linea ferroviaria e ha poi comunicato verbalmente alla Rete ferroviaria italiana di bloccare un’erogazione da 200 milioni di euro che avrebbe dovuto pagare al Consorzio incaricato della progettazione e realizzazione del Terzo Valico (Cociv) come prima tranche del quinto lotto dei lavori. E come se non bastasse, nonostante tutti i controlli e tutte le verifiche fatte negli ultimi ventisette anni, Toninelli a inizio settembre decide di dar vita a una struttura tecnica di missione del ministero per effettuare, udite udite, l’analisi dei costi e dei benefici di alcune grandi opere, compreso il Terzo Valico. E a capo della struttura chi ha scelto di piazzare? Un professore di nome Marco Ponti, un no tav.

 

L’ostruzionismo esplicito portato avanti dal governo sul Terzo Valico ha avuto l’incredibile effetto di mettere insieme in un’unica protesta sia i sindacati degli imprenditori (Confindustria) sia i sindacati dei lavoratori (Filca Cisl, Feneal Uil e Fillea Cgil) e la domanda che forse il ministro Tria dovrebbe rivolgere ai suoi colleghi di governo in fondo è semplice: ma un governo che sputa sulla certezza del diritto, rimettendo in discussione opere in cantiere da ventisette anni e non facendo nulla per sbloccare i 270 cantieri fermi in Italia dai quali si potrebbero ricavare fino a 330 mila posti di lavoro (dati Ance), può mai essere considerato credibile quando invita gli investitori a scommettere sul suo futuro? Purtroppo per l’Italia, la risposta forse la conoscete già.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.