Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il peccato originale del contratto sfascista

Claudio Cerasa

Dai migranti al lavoro. Per spiegare la pericolosità del contratto Lega/M5s non bastano le frasi di Draghi sui danni delle parole. Perché un governo che preferisce lo scambio alla mediazione è destinato a ingrossare la bolla dell’estremismo

Le parole da grande fardello di Rocco Casalino sulla qualità dei dirigenti del ministero dell’Economia e delle Finanze, dei “pezzi di merda” a cui il governo la farà pagare qualora non venissero trovate le risorse sufficienti per esaudire le promesse grilline, sono utili da ripescare perché ci permettono di mettere a fuoco un tema importante che riguarda il vero peccato originale del governo del cambiamento – e forse la vera truffa. A prescindere da quale sarà l’equilibrio che verrà raggiunto nella prossima legge di Stabilità – se il reddito di cittadinanza coinciderà con un semplice allargamento del reddito di inclusione e se l’abolizione della legge Fornero coinciderà con una forma di anticipo pensionistico gli elettori grillini e leghisti saranno stati ingannati ma l’Italia non andrà gambe all’aria – la ragione per cui il governo Casalino ha scelto di individuare nei tecnici del Mef i nemici giurati del popolo ha molto a che fare con il contratto di governo. Sia Salvini sia Di Maio, per non parlare di Tria, sanno che la stabilità finanziaria dell’Italia è inversamente proporzionale al mantenimento delle promesse di Lega e 5 stelle – il valore del contratto di governo è di 100 miliardi di euro a regime e se l’Italia volesse fare sul deficit “come Macron” dovrebbe preoccuparsi prima di abbassare il suo debito, che sul pil pesa 35 punti in più rispetto alla Francia – e a pochi giorni dalla presentazione della nota del Def avere tremendi frenatori sui quali scaricare la responsabilità della non realizzazione delle promesse è un buon modo per non dovere ammettere che tanto in campagna elettorale quanto nel contratto di governo Salvini e Di Maio hanno raccontato frottole ai propri elettori (nel corso del comizio di chiusura della campagna elettorale, Di Maio disse che nel primo Consiglio dei ministri avrebbe presentato “un decreto per tagliare di trenta miliardi di euro gli sprechi e i privilegi”, ma sfortunatamente anche ieri nel corso del ventesimo Cdm ancora nessuna traccia del fulminante programma di spending review).

 

Le promesse sballate e pericolose del M5s e della Lega sono però un pericolo per l’Italia non soltanto perché l’incontinenza verbale di Salvini e Di Maio ha già prodotto danni alla nostra economia, come ha affermato ieri Mario Draghi parlando al Parlamento europeo. Il presidente della Bce ha ricordato come da aprile in poi, “mentre le imprese degli altri paesi hanno continuato a pagare tassi che erano quelli di prima, forse anche più bassi”, in Italia le banche hanno aumentato di venti punti base il costo dei prestiti alle piccole imprese e di sessantaquattro punti base i costi per le emissioni obbligazionarie delle grandi imprese, e insieme ai tassi del credito, ha aggiunto Draghi, “sono diventate più esigenti le condizioni relative alle garanzie e alle clausole contrattuali”. Le parole e le promesse di Salvini e Di Maio sono un pericolo anche per un’altra ragione che non ci permette di essere ottimisti sulla capacità del governo di cambiare la sua indole sfascista. A differenza delle tradizionali grandi coalizioni, l’accordo tra il M5s e la Lega presenta fin dalle origini un tratto pericoloso che riguarda un accordo implicito che vive in ogni atto politico portato avanti da Salvini e Di Maio: la volontà di costruire un compromesso senza mediazioni.

 

In teoria, la mediazione dovrebbe essere l’essenza di un contratto ma la Lega e il M5s almeno finora hanno scelto di mettere in campo un compromesso basato non sulla mediazione ma sullo scambio. Io ti faccio fare questo, tu mi fai fare quest’altro. Io, Lega, ti faccio fare senza dire nulla un decreto dignità che elimina posti di lavoro invece che crearne e che va contro il mio stesso elettorato; tu però, M5s, mi fai fare senza dire nulla un decreto sulla sicurezza che crea più clandestini, toglie potere ai comuni e rischia di creare emergenze anche nelle città governate dal tuo movimento. Un contratto fondato sulla mediazione tende a smussare da ogni legge le posizioni più estreme e tende a trovare un punto di incontro tra idee diverse. Un contratto fondato sullo scambio tende ad alimentare l’incontinenza verbale e a far moltiplicare le posizioni più estreme. Il peccato originale del governo del cambiamento non è dunque quello di non essere in grado di mantenere le proprie promesse, ma è quello di essere deciso a governare il paese provando a ingrossare ogni giorno di più la bolla dell’estremismo politico. E lo spettacolo, come ci ha ricordato ieri Mario Draghi, purtroppo è appena cominciato.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.