La “rivoluzione” in Rai di Salvini e Di Maio è un brutto spettacolo
Finché Foa non sarà confermato dalla commissione parlamentare di Vigilanza non è ancora il presidente. Il Partito democratico voterà contro. Forza Italia?
Roma. Un giorno e una notte di trattative estenuanti intorno alle nomine da fare alla Rai, quasi quarantotto ore d’incontri, telefonate, sospiri, urletti strozzati in cui Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i proconsoli, hanno messo tutto sul piatto, non solo il nuovo direttore generale della televisione pubblica, che alla fine sarà il rispettatissimo Fabrizio Salini, ma pure tutto il cucuzzaro della macchina dirigenziale di Viale Mazzini, direttori dei tg e direttori di rete: ogni incarico è stato pesato, contrattato, misurato, odorato, scambiato e venduto in questa specie di suk della spartizione e della nomenklatura. Come forse non era mai successo. Perché, come raccontano in queste ore praticamente tutti dentro la Rai e in Parlamento, il mercanteggiare sulle nomine, che c’era ovviamente anche prima, non era mai stato così spudorato, esplicito, persino irridente nei confronti delle forme se non delle regole, visto che, per legge, toccherebbe al direttore generale, oggi amministratore delegato, nominare tutti i direttori di rete e dei telegiornali. Non al governo. E d’altra parte, per avere Salini, che piace a Di Maio, il Movimento cinque stelle ha praticamente rinunciato alla direzione del Tg1, del Tg2 e a quanto pare pure di Rai1. Insomma adesso, salvo auspicabili sorprese, al bravo Salini, che è stato un apprezzato manager televisivo a La7, che ha lavorato agli aspetti tecnico-organizzativi della casa di produzione Stand By Me, lui che ha accettato lo stipendio calmierato a 240 mila euro annui, proprio a lui di cui tutti parlano bene potrebbe toccare, come primo atto da neo direttore generale della Rai, di dover abdicare alle sue prerogative, un po’ come è successo a Palazzo Chigi, al Prof. Avv. Giuseppe Conte, che Vittorio Sgarbi definì a Montecitorio, annunciando la sua intenzione di votare provocatoriamente la fiducia al governo Di Maio-Salvini, “il vicepresidente di due vicepresidenti”.
E così mentre Salvini, che non disdegna la retorica ed è abile nella propaganda, ma pure riconosce le insidie, precisa subito di non aver discusso di nessun incarico dirigenziale per le reti e per i tg, Di Maio invece, che è giovane e spesso si lascia andare, annuncia la “rivoluzione culturale” in arrivo, niente meno. E infatti, mentre il vicepresidente del Consiglio grillino evoca, crediamo inconsapevolmente, una delle vicende più violente e inquietanti del regime comunista di Mao, non ritenendo forse sufficiente l’antifona, ha ritenuto di dover aggiungere: “Una rivoluzione per liberarci di parassiti e raccomandati”. In Cina, com’è noto, acchiappavano professori, intellettuali e deviazionisti del regime, gli mettevano addosso un cappello da asino e li facevano sfilare per le città rifilandogli ogni tanto anche qualche didattico calcio nel sedere. Ebbene, come tutto questo possa tradursi, una volta applicato alla Rai, rimane un mistero. La cosa certa è che, oltre al povero Salini, ieri il governo ha indicato pure il presidente della Rai, il giornalista, ex del Giornale, Marcello Foa, simpatico a Salvini, che negli ultimi anni, passati in Svizzera per lavoro, in una serie d’interventi pubblici, anche su internet e in televisione, aveva preso posizioni a favore del dittatore Assad in Siria nonché di Vladimir Putin in Russia. Foa, che gli amici descrivono come “persino più perspicace di Giulietto Chiesa” e “più denso di Diego Fusaro”, stimatissimo da Claudio Borghi, oltre a considerare la moneta unica europea una iattura da cancellare immediatamente, è anche autore di un libro che s’intitola “Gli stregoni della notizia. Come si fabbrica informazione al servizio dei governi”. Ma non è un manuale, né un bignami per manipolatori occulti, piuttosto è una denuncia del giornalismo democratico-liberale in quanto tale.
“Per la Rai abbiamo fatto le nostre scelte”, ha twittato il presidente del Consiglio Conte. “Con Fabrizio Salini e Marcello Foa garantiamo il rilancio della principale industria culturale del paese”, ha aggiunto. Solo che Foa, finché non sarà confermato dalla commissione parlamentare di Vigilanza, così stabilisce per adesso la legge, non è ancora il presidente. Il voto della Vigilanza è previsto per mercoledì, e tutti si chiedono cosa accadrà. Il Partito democratico voterà contro. Forza Italia?
Equilibri istituzionali