Giorgio Mulè ci spiega perché “Forza Italia non prende ordini da Salvini”

David Allegranti

No a Foa presidente della Rai: “Allievo di Montanelli? Lo avrebbe mandato a farsi fottere”. E sul leader leghista: “Rischia la fine di Renzi”

Roma. I berlusconiani non faranno passi indietro, assicura Giorgio Mulè nella sua doppia veste di portavoce di Forza Italia e capogruppo in commissione vigilanza Rai. E senza i sette voti italo-forzuti, Marcello Foa non può diventare presidente della tv di Stato, con buona pace di quello che Mulè definisce un brutto “atto d’imperio” da parte di Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

 

Nessuna compravendita, aggiunge l’ex direttore di Panorama: “La logica del cane e dell’osso appartiene a una categoria che nulla ha a che vedere con la mia vita e il mio modo di vedere la politica. Vale anche per le persone con cui parlo e con cui ho a che fare in commissione. Vede, noi rivendichiamo il primato della politica, ma in realtà qui ci troviamo davanti a dei primati; non in senso sportivo ma come categoria antropologica. Se pensano di scendere dall’albero e di offrirci una banana, non hanno capito nulla. E siccome siamo in un momento delicato e la nomina è per una posizione delicata, serve un atto di condivisione e di inclusione”. La maggioranza di governo però non è stata inclusiva, a partire da Matteo Salvini, che in teoria sarebbe alleato di Forza Italia nella coalizione di centrodestra. Anche Salvini è stato “divisivo”, aggiunge Mulè: “Ha preteso che il nome individuato raccogliesse i due terzi dei voti senza tenere in considerazione, oltre a Forza Italia, anche Pd, Leu e Fratelli d’Italia. E invece pure gli altri partiti hanno dignità”. Il ruolo di presidente della Rai d’altronde deve essere di garanzia. Pure Di Maio pare essersene dimenticato, proprio lui che da anni strepita contro le ingerenze della politica nella tv pubblica. “Ma Di Maio non mi meraviglia; è uno che al tramonto vuole processare il presidente della Repubblica per alto tradimento e all’alba del giorno dopo monta la guardia di primo corazziere. Non mi aspetto quindi nessun atto di coerenza politica”. Epperò, “neanche loro”, intesi come Lega e Cinque stelle, “possono aspettarsi che caliamo la testa davanti a un atto di belligeranza politica da parte del nostro alleato e di tracotanza da parte dei Cinque stelle, una specialità di cui sono i migliori esponenti”.

 

Salvini assume un tono minaccioso, dice che il voto contrario su Foa metterebbe in discussione la coalizione. “Quando Salvini ebbe il via libera per fare il governo da Silvio Berlusconi in nome della responsabilità, la Lega disse: ‘Non mischiamo le pere con le mele, le alleanze in ambito locale non si toccano, visto che governiamo insieme da 20 anni, guai a mettere in discussione la gloriosa tradizione di buongoverno’. Ecco, ora che cos’è cambiato? Perché pere e mele si mischiano adesso? Se la macedonia era buona due mesi fa, perché adesso diventa indigesta su Marcello Foa presidente della Rai? Significa che quello di Salvini è un atto d’imperio, e allora non va bene”. Giovanni Toti evoca Sarajevo, invita a non trasformare “il povero giornalista Foa nel principe ereditario d Austria”. “Sì, è tutto molto belligerante”, dice Mulè, “ma io lo riporterei a una dimensione molto più umana. Penso che alla Lega sia scappata una frizione. Adesso Salvini può decidere se il tamponamento si concilia con il modello blu oppure se vuole costruirci sopra un caso di Stato. Una cosa però deve essere chiara: non siamo subalterni alla Lega e non abbiamo l’anello al naso, non prendiamo ordini da Salvini, abbiamo la nostra dignità politica e una scelta del genere si prende con metodo diverso e opposto rispetto a quello usato”.

 

Uno dei problemi, dice Mulè, “è che Foa continua a parlare come se fosse il presidente della Rai pur non avendo preso i voti. Fa discorsi di insediamento, di prospettiva. Evidentemente gliel’hanno spiegata male la legge. Parla di consenso unanime, ma da parte di chi? Di Maio e Salvini? Dice che è stata fatta una scelta bipartisan. Ma, di nuovo, da parte di chi, Lega e Cinque Stelle? Il punto è un altro e che c’è vita su Marte: Forza Italia, nonostante ci dessero per morti, è più viva che mai”.

 

L’aspirante presidente della Rai dice di avere le sue idee ma, spiega Mulè, “io non mi sarei aspettato un’abiura. Foa poteva benissimo dire che per un periodo della sua vita ha preso posizione ma che nel nuovo ruolo sarà interprete del massimo pluralismo”. Insomma non è questione solo di metodo ma anche di sostanza. “In questa follia che è diventato il mondo della comunicazione, io capisco che ti possa scappare un tweet, un retweet o una parola in più, ma ci sono delle posizioni e delle argomentazioni fatte così bene da Foa che sfuggono all’ardore del momento. Corrispondono piuttosto a una elucubrazione rispettabile ma che io rifiuto. E io non mi sento tutelato da un presidente della Rai come Foa”. Neanche se si presenta come “allievo di Montanelli”? “A me questa storia fa schiantare dalle risate. Perché, Marco Travaglio non è un allievo di Montanelli? Peter Gomez non lo è? Basta questo per farseli piacere e diventare presidente della Rai? Se il prete diventa pedofilo non è che rimane un santo solo perché è stato prete. Può infatti aver preso i voti ma poi aver abbandonato i sentieri nel nostro Signore. Ecco, diciamo che l’allievo di Montanelli, Foa, ha preso altre posizioni e che Montanelli oggi lo avrebbe mandato a farsi fottere. Insomma, anche dal cigno nasce qualche brutto anatroccolo. Che poi, a dirla tutta, pure io sono stato allievo di Montanelli, visto che mi ha assunto lui, ma non mi propongo come presidente Rai. E io sono forse meno montanelliano di Foa, con tutte le dediche, le benemerenze, le medaglie ricevute? Ma che vuol dire? Siamo tutti figli di Montanelli, anche Antonio Tajani, che è stato capo della redazione di Roma. I Cinque stelle glorificano Tajani per questo?”.

 

Meglio un sorteggio per il cda della Rai, come ha detto Di Maio, che vuole cacciare i “parassiti” dalla tv di Stato? “A me Di Maio ricorda la pubblicità dell’insetticida, pensa di essere il Raid della democrazia moderna. Ma per ora è il numero 75 estratto sulla ruota della dignità: Pulcinella”. E Salvini? “Rischia di diventare Matteo Renzini. Rischia di essere contaminato dalla peggiore malattia della politica recente: l’ubriacatura di consenso, che ti porta a pensare di fare a meno di tutti puntando solo su te stesso”. Salvini manda baci a tutti, aggiunge Mulè, “ma magari se trovasse il tempo di mandarne uno anche a Daisy Osakue, al di là di attestati generici, non sarebbe male. Non è l’unico. Di Maio e Danilo Toninelli non hanno vergognosamente detto una parola a proposito di quelli che lanciano le bombe carta contro i poliziotti”. Se non vuole fare la fine di Renzi, “il segretario della Lega deve abbandonare il principio dell’io e farsi un bagno di realtà. Anche perché la sua azione di governo contraddice quello che ha sempre detto. I Cinque stelle lo fanno ballare sul decreto dignità, sulla Tap, sulla Tav, sull’Ilva. Su tutto ciò che non riguarda qualche barcone, Salvini perde la verve e la capacità di essere incisivo. Su tutti i temi esiziali, la Lega diventa silente o susseguente e si sveglia solo se c’è Forza Italia che le rompe le scatole, come sui voucher e le partite Iva”. La Lega peraltro è anche cascata nel tranello dei Cinque stelle sui vitalizi: “I 45 milioni di risparmi non sono andati da nessuna parte, sono bloccati alla Camera per far fronte ai ricorsi. E qualcuno dovrebbe anche ricordare che gli 85 milioni risparmiati sotto la presidenza Boldrini, non sotto Fico, sono stati dati ai terremotati per merito di Forza Italia. Quindi, quando c’è chi dice che l’opposizione non c’è, noi rispondiamo così: noi non facciamo né faremo mai sceneggiate, ma romperemo le scatole su tutto quello che va fatto, dai provvedimenti in aula a quelli nelle commissioni, in città e sui territori, finché non sarà ripristinato il primato della ragione”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.