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Cdp, Ferrovie e Rai. La grande spartizione delle nomine è rinviata

Stefano Cingolani

È derby Scannapieco-Palermo. Sia il Carroccio sia il M5s vogliono le loro compensazioni. Se la Rai tocca ai grillini, le Fs sono per i leghisti. Ma la Cassa?

Roma. Il gran consiglio per le nomine slitta al 24 luglio, doveva essere il 25, ma un po’ per l’eccesso di evocazione, un po’ per la prevista partenza di Giovanni Tria per l’Argentina (il ministro dell’Economia porterà senza dubbio ulteriori prove di che cosa succede a stampare troppa moneta), l’assemblea della Casa depositi e prestiti è stata anticipata di un giorno. E’ probabile che, insieme con la scelta dei vertici della Cdp, confluirà in quella fatidica data anche il cambio alle Ferrovie dello stato e la nomina dell’amministratore delegato della Rai. Perché tutto si tiene: sia la Lega sia il Movimento 5 stelle vogliono le loro compensazioni. Se la Rai tocca ai pentastellati, le Fs sono per i leghisti. E la Cdp?

    

Qui siamo già al terzo rinvio, anche se ieri sembrava proprio fatta. I primi segnali di tempesta si sono manifestati nella tarda mattinata. L’accordo raggiunto con Tria e con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte era il seguente: alla presidenza Massimo Tononi (e questo non si tocca perché spetta alle fondazioni di origine bancaria azioniste di minoranza con il 14 per cento), amministratore delegato Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti, un grand commis che si è fatto le ossa al Tesoro e che piace a Tria, mentre verrebbe creata la poltrona di direttore generale da assegnare a Fabrizio Palermo, manager interno alla cassa, attuale direttore finanziario, che piace ai grillini. La soluzione non piaceva molto né a Scannapieco né al ministro dell’Economia, perché avrebbe creato una troika al vertice, rendendo complessa e potenzialmente confusa la governance. Ma alla fine resistenze e perplessità erano state superate.

   

Sennonché proprio Palermo ha gettato sabbia nell’ingranaggio chiedendo per se stesso la carica di amministratore delegato. Non si sa se spinto dai grillini o per consapevolezza dei propri meriti. A quel punto sono ricominciate le frenetiche consultazioni con Giancarlo Giorgetti: il plenipotenziario leghista ha passato ore al telefono nel tentativo di trovare una via d’uscita, mentre già circola la versione che sia tutta colpa delle ostinate resistenze di Tria. Nel pacchetto, infatti, entra anche il direttore generale del Tesoro, il ministro insiste su una soluzione interna e di continuità come Alessandro Rivera, i grillini vorrebbero Antonio Guglielmi di Mediobanca Securities, il Varoufakis all’italiana che ha proposto di rinegoziare il debito pubblico.

    

I pentastellati non possono ottenere sia la Cdp sia la Rai, nemmeno se i leghisti si prendono le Ferrovie per le quali hanno indicato Giuseppe Bonomi, l’ex presidente degli aeroporti milanesi, dopo che Tria aveva bocciato Marcello Sala, la prima scelta di Salvini, per mancanza di esperienza in una mega-struttura come le Fs. Scannapieco in qualche modo può essere un punto di equilibrio, ma il governo gialloverde ha caricato la Cassa di funzioni spropositate.

   

Il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ieri ha rilanciato la nazionalizzazione dell’Alitalia con il 51 per cento in mano allo stato, attraverso la Cdp. Luigi Di Maio nella sua battaglia personale sull’Ilva sta facendo vedere i sorci verdi ad Arcelor Mittal. Il retropensiero è mettere insieme una cordata nazionale, con naturalmente la solita Cdp per ridimensionare il centro siderurgico tarantino. C’è poi la vecchia idea di trasformare la Cassa in una banca pubblica per gli investimenti. Senza dimenticare il ruolo di bastione dell’italianità contro i francesi di Tim.

  
Di grilli grillini per la testa ce ne sono parecchi anche riguardo alla Rai. Due sono i prescelti. Fabio Vaccarono, numero uno di Google Italia, invitato d’onore alla kermesse di Ivrea organizzata da Davide Casaleggio, e Fabrizio Salini ex direttore de La7. Vaccarono è il preferito, ma ha un problema: lo stipendio. Con i 240 mila euro annui, cioè il tetto Rai, verrebbe a guadagnare meno di un decimo del suo attuale appannaggio. C’è chi dice tra i pentastellati che si potrebbe fare una eccezione per i top manager. Onestà, onestà, ma fatta la legge trovato l’inganno. Anche su mamma Rai le aspettative sono variegate, dalla Netflix italiana sognata da Di Maio allo spacchettamento delle reti evocato da Beppe Grillo. Salvini, dunque, ha alzato la guardia. Intanto da Montecitorio, dal corridoio dei passi perduti, s’alza un sospiro: ridateci il manuale Cencelli perché la sua versione ridotta, il “cencellino”, non ha dato grandi prove di sé.