Marcello Foa, presidente designato della Rai (foto Imagoeconomica)

Dispacci svizzeri per la Rai

Redazione

Le liti di Foa con il direttore del Corriere del Ticino tra dossier tossici sui crimini dei migranti e putinismo

Roma. A parte Indro Montanelli, Marcello Foa ricorda con piacere e insistenza anche la sua esperienza svizzera, i suoi contatti elvetici. Il presidente della Rai nominato dal governo – ma deve essere ancora confermato e Forza Italia si oppone – è nato a Milano nel 1963 ma è cresciuto a Lugano, ha la doppia cittadinanza italiana e svizzera, e ha iniziato a lavorare da giornalista proprio con giornali ticinesi. Nel 2011 è diventato direttore generale del gruppo editoriale Timedia Holding SA di Melide (Svizzera) e del quotidiano Corriere del Ticino. Dal 2012 è diventato anche amministratore delegato sia della Società Editrice del Corriere del Ticino SA di Muzzano sia del gruppo: TImedia, in seguito mediaTI Holding, è confluito nel gruppo della Società Editrice del Corriere del Ticino SA. Il direttore del Corriere del Ticino però è Fabio Pontiggia. E alcuni insider riferiscono che tra i due ci sia un’antipatia fortissima, condita di risentimenti ideologici. C’entra, come spesso accade in questa nuova stagione politica, la Russia.

 

Alcuni insider ci raccontano lo scontro ideologico tra il presidente della Rai nominato dal governo e Fabio Pontiggia

Dopo essere stato a più riprese inviato a Mosca tra il 1993 e il 2008, Foa è oggi noto per essere un sostenitore del governo russo. Appare spesso come commentatore sugli schermi di Russia Today, che è il canale satellitare in lingua inglese voluto dal Cremlino per sostenere di fronte al mondo le proprie politiche e le proprie versioni dei fatti che riguardano la Russia. La cassa di risonanza russa non funziona soltanto con Rt o con Sputnik, ma anche con una serie di siti, blog e commentatori che fanno risuonare in particolare sui social media la versione putiniana dei fatti del mondo. Foa ha pubblicato un libro per Guerini e Associati che si intitola “Gli stregoni della notizia”, in cui attacca il giornalismo mainstream, accusato da Mosca di essere russofobo, e che ha avuto due edizioni. Nel 2006: “Gli stregoni della notizia. Da Kennedy alla guerra in Iraq: come si fabbrica informazione al servizio dei governi”. Nel 2018: “Gli stregoni della notizia – Atto secondo. Come si fabbrica informazione al servizio dei governi”.

 

Come esempio di notizie “complottiste” da lui pubblicate c’è ad esempio quella secondo cui “iniettare dodici vaccini in un arco di tempo ristretto nel corpo di un bambino provoca uno shock al corpo del bambino molto forte che rischia di danneggiare il suo normale equilibrio”. Oppure lo scoop da lui pubblicato il 9 aprile 2017: “L’America allerta 150 mila riservisti. Guerra in vista?”. “Sta per iniziare una vera guerra? I segnali che giungono in queste ore sono molto allarmanti. L’esercito americano sta inviando in queste ore a 150 mila riservisti delle lettere con un preavviso di mobilitazione. L’annuncio ufficiale del ministero della Difesa dovrebbe essere dato a breve, ma alcuni riservisti che hanno già ricevuto la missiva lo stanno raccontando ad amici e parenti, i quali iniziano a far circolare le notizia. Secondo queste indiscrezioni, provenienti dagli Stati Uniti, l’obiettivo del Pentagono sarebbe di poter disporre di questa forza entro un paio di settimane dall’annuncio della mobilitazione vera e propria. Il messaggio che viene lanciato in queste ore è chiaro: decisioni potrebbero essere imminenti, tenetevi pronti a partire”. “Centocinquantamila riservisti: per fare cosa? Un attacco in grande stile alla Siria? Colpire prima Damasco e poi Teheran? O l’obiettivo è la Corea del nord? Purtroppo la sciagurata svolta di Donald Trump – che si è arreso ai neoconservatori facendo propria l’agenda strategica che in campagna elettorale aveva promesso di combattere – autorizza qualunque ipotesi. Anche quella più drammatica e sconvolgente di una guerra alla Russia di Putin. E non è un caso che il presidente siriano Bashar el Assad, il governo iraniano e il Cremlino in queste ore abbiano dichiarato che ‘l’attacco americano alla base siriana ha superato molte linee rosse’ e che da adesso in avanti ‘risponderemo con la forza a qualunque aggressione’. Questo significa che Putin ha perso ogni speranza di raggiungere un accordo con Washington. E che si prepara agli scenari peggiori. Attenzione, e mi angoscia molto scriverlo, ma da diversi decenni la pace nel mondo non è mai stata così a rischio”.

 

La guerra è poi scoppiata? Qualcuno ha più sentito di questi 150 mila riservisti? In effetti è poi saltato fuori che la fonte era un blogger di nome Mike Cernovich, che si definisce “giornalista indipendente” e “nazionalista americano della nuova destra”. Che però non citava parenti, ma si limitava ad affermare: “Mc Master (=consigliere alla Sicurezza Nazionale dimessosi proprio quel 9 aprile) sta manipolando i rapporti di intelligence per Trump, vuole 150.000 soldati sul terreno in Siria”.

 

Ma torniamo al dissenso svizzero. Uno dei sintomi dello scontro tra Pontiggia e Foa venne fuori in occasione del “caso Bka”. Il 20 giugno 2017 sul Corriere del Ticino apparve un’inchiesta “esclusiva” a firma Stefan Müller (uno pseudonimo) su un documento “strettamente riservato” della Polizia criminale federale tedesca, la Bka. Venti pagine dal titolo: “Come agire in presenza di attacchi terroristici”. “Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve negare sempre tutto. Lo staff di consulenza del governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e per mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica”. E ancora: “Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari. In caso di dubbio, escludere l’attacco terroristico. Divulgare la teoria dell’autore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di Is (cioè, Stato Islamico) o di islam”. “Mai parlare di migranti economici. La sollecitazione giunge direttamente dal ministro della cancelleria e dal portavoce del governo. Queste indicazioni sono tassative, per chi non le rispetta sono previste sanzioni severe, procedure disciplinari e il licenziamento dalla polizia”.

 

Lo scontro su un report fasullo della polizia federale tedesca smentito dal direttore a tutela della libertà di redattori e lettori

Il documento spiegava anche che sull’attentato di Dortmund dell’11 aprile 2017 contro il bus della squadra di calcio del Borussia attribuito a un 28enne russo-tedesco nel frattempo arrestato a Tubinga sarebbe arrivata una rivendicazione dello Stato islamico mai rivelata ai media. Ammetteva che “dieci milioni di visitatori stranieri all’anno entrano in Germania con passaporti falsi o rubati. In tal senso è possibile correlare la quantità di passaporti rubati con al Qaida (Is) e le attività terroristiche islamiste”. E poi: “La percentuale degli ingressi illegali è cresciuta del 70 per cento. I colleghi italiani prevedono l’arrivo di circa 350 mila, fino a 400 mila migranti dall’Africa nell’anno 2017. Verso l’esterno, alla stampa e ad altri media, indichiamo una cifra di 250 mila unità”. Anche sui crimini ordinari commessi dagli immigrati ci sarebbero state delle manipolazioni: 170.000 crimini comunicati in meno. Clamoroso!

 

Otto giorni dopo Pontiggia firmò un articolo dal titolo: “Germania, quel documento non è autentico”. “Non è piacevole dover rimettere in discussione un servizio giornalistico realizzato con impegno e passione, in ore di ricerca e di lavoro non privo di qualche rischio. Ma quando, confrontati con critiche e obiezioni che si dimostrano fondate, la realtà ci dice che qualcosa è andato storto, occorre l’onestà di farlo. E’ quanto dobbiamo fare con il servizio pubblicato nelle pagine del Primo piano di martedì 20 giugno sulla Germania”. “Come direttore di questo giornale mi assumo la responsabilità dell’incidente di fronte ai nostri lettori e a tutela della libertà e dell’autonomia dei redattori (evitare il rischio dell’autocensura per la paura di sbagliare)”.

 

Questi i dati acclarati. Che la notizia corrispondesse a un dossier tossico circolante per le redazioni da mesi, che Foa avesse fatto pressione per farlo pubblicare, che l’assunzione di responsabilità di Pontiggia corrispondesse a un ideale schiaffo morale nei confronti del vero responsabile sono le indiscrezioni di alcuni insider. Vari servizi duramente critici nei confronti della Russia di Putin uscirono comunque sul Corriere del Ticino nei mesi successivi: altro schiaffo di Pontiggia a Foa, o più semplicemente risposta all’ondata dei proteste che sui social stava montando contro la linea sempre più putiniana del giornale storicamente più autorevole della Svizzera italiana?

 

Nel 2013 Foa era stato indicato come possibile direttore della Rsi, l’emittente pubblica della Svizzera italiana. In questo caso la nomina è su concorso, ma Foa a un certo punto si ritirò. “Aveva capito che non sarebbe stato in grado”, dicono gli insider.

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