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Il Pd e la pazza tentazione dell'estate

Claudio Cerasa

Gli incidenti in agguato, i guai in arrivo e una domanda che tornerà di moda: il Pd ha il dovere di riconsiderare un’alleanza con il M5s? Storia di una svolta possibile, di una mossa a sorpresa e di un incubo da evitare come la peste

Può succedere per un morto in mare di troppo. Può succedere per uno scontro sul lavoro. Può succedere per un Consiglio europeo andato storto. Può succedere per una riforma fatta al posto di un’altra. Può succedere per una copertura promessa e non trovata. Può succedere per un reddito di cittadinanza fatto al posto della flat tax. Può succedere per uno spread che improvvisamente si alza. Può succedere per uno scontro su un ministro. Può succedere per un avviso di garanzia. Può succedere perché un partito che ha fatto delle parole dei magistrati il proprio vangelo non può continuare a essere alleato con un altro partito che per esempio non vuole restituire ai magistrati i quarantanove milioni di euro che gli sono stati confiscati. Può succedere per mille ragioni, anche imprevedibili, ma per quanto il presidente del Consiglio si consideri un grande mediatore che si muove nel solco di Aldo Moro (il governo del cambiamento si avvia sempre più veloce verso il governo cabaret), una volta risolta la partita delle nomine nelle prossime settimane il tema del disfacimento del governo gialloverde diventerà un argomento di molto gettonato nelle conversazioni politiche sotto l’ombrellone. E per quanto il ragionamento possa sembrare prematuro il tema esiste ed è un tema destinato a pizzicare anche le corde di un partito che potrebbe avere una sua centralità nello sviluppo del ragionamento.

  

Quel partito naturalmente è il Pd e la storia che lo riguarda è simile a quella che lo ha sfiorato nel corso delle consultazioni successive alle elezioni. Non si può dire, non si può ammettere, non si può confessare ma siamo sempre lì: può permettersi il Pd di cominciare a costruire le condizioni per provare ad allontanare il Movimento 5 stelle dalla Lega e avvicinarlo al centrosinistra? Il governo gialloverde ha un equilibrio più precario di quello che potrebbe sembrare – Dio benedica il ministro Tria – e qualora dovesse maturare una rottura insanabile tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio l’unica opzione possibile per evitare di tornare alle elezioni sarebbe l’opzione scartata con sdegno dal Pd renziano subito dopo le elezioni del 4 marzo: un’alleanza tra i democratici e i grillini. E’ possibile che il prossimo congresso del Pd si occuperà anche di questa traiettoria (c’è un modo per allearsi con il M5s senza esserne subalterni?), ma quello che è certo è che tutti coloro che dopo il quattro marzo teorizzarono la necessaria alleanza del Pd con il M5s da qualche settimana sono tornati a rivendicare la bontà della propria teoria con un’argomentazione di questo tipo: al posto della Lega, a svuotare il Movimento 5 stelle, a mostrare le sue contraddizioni, a metterlo in mutande, potevamo esserci noi, e invece oggi siamo qui impotenti, immobili e incapaci di fare opposizione. La ragione per cui un pezzo di Pd è tentato dal cercare una sponda in Parlamento con il Movimento 5 stelle sul “decreto dignità”, la ragione per cui la quasi totalità del Pd ha deciso di trasformare nel nemico numero uno dell’opposizione più Matteo Salvini che Luigi Di Maio e la ragione per cui un pezzo importante di Pd tra una Festa democratica e un’altra farà di tutto per costruire un dialogo con Di Maio (potrebbe persino essere invitato alla festa nazionale del partito come anticipato dalla Stampa due giorni fa) dipende proprio da questo: dalla consapevolezza che in caso di improvviso crollo dell’alleanza tra Lega e M5s potrebbe essere più complicato rispetto a qualche mese fa dire di no all’invito del presidente della Repubblica di evitare le elezioni e trovare un’altra geometria in questa legislatura.

  

E arrivati a questo punto della nostra riflessione la domanda giusta da porsi è questa: ma rispetto alle consultazioni successive al 4 marzo, le condizioni che hanno portato il Pd a evitare come se fosse lebbra l’alleanza con il Movimento 5 stelle sono mutate oppure no? La risposta è no: non sono mutate, sono tutte lì e il Pd ha fatto più che bene a dare ai vincitori del quattro marzo la possibilità di mostrare al paese di cosa non sono capaci (quando Vincenzo De Luca diceva con una guasconata che i grillini sono delle mezze pippe forse peccava in ottimismo) e a evitare che l’alternativa a un governo a trazione populista fosse un’opposizione a trazione populista.

   

E dunque arriviamo alla domanda successiva: ma se il governo populista dovesse improvvisamente crollare, il Pd avrebbe o no il dovere di valutare una possibile alleanza? La risposta è la stessa che valeva per le consultazioni successive al 4 marzo: il Pd dovrebbe evitare come la peste l’alleanza con un partito che sogna di superare la democrazia rappresentativa, che sputa sullo stato di diritto, che gioca con la decrescita felice, che cincischia sui vaccini, che vuole smantellare il Jobs Act, che non si oppone alle politiche protezionistiche, che prova a distruggere la legge sulle pensioni, che si fa sedurre dai peggio anti europeisti del continente, che si disinteressa del debito pubblico, che sogna di creare maggiore occupazione con metodi destinati a produrre maggiore disoccupazione.

  

A meno che il suddetto partito non decida di dire di sì a un'alleanza finalizzata a difendere l’Europa, a difendere l'Euro, a difendere il Jobs Act, a non toccare la legge sulle pensioni, a cambiare rotta sulle alleanze in Europa, ad archiviare le politiche punitive contro gli imprenditori, a mettere nel cassetto le riforme finalizzate a distruggere la democrazia rappresentativa, ad archiviare i progetti protezionisti, a chiudere la stagione della gogna. Il governo populista non è detto che vada in crisi nel giro di pochi mesi ma è difficile che prima o poi una crisi non lo metta a rischio.

   

E quel giorno chi fa opposizione, come il Pd, avrebbe il dovere non di cambiare identità per allearsi con il Movimento 5 stelle ma di ribadire quali sono i paletti che un partito populista, sfascista, nazionalista dovrebbe rivedere per smetterla di fare quello che ha fatto in questi due mesi di governo: far perdere ogni giorno un pizzico di credibilità all’Italia e mettere a rischio ogni giorno un po’ del nostro interesse nazionale. Un’alleanza del Pd con il Movimento 5 stelle – se mai il tema entrerà nuovamente nel dibattito pubblico non solo sottotraccia come lo è oggi – resta dunque un obbrobrio contronatura da combattere a tutti i costi. A meno che il Movimento 5 stelle non decida di fare quello in cui ormai potrebbe essersi specializzato: cambiare programma per sopravvivere, non perdere il potere e non farsi cannibalizzare dalla Lega. Non succederà. Ma dovesse accadere, varrebbe la pena godersi lo spettacolo. Mettiamoci comodi, dunque, in attesa di una crisi che forse potrebbe arrivare prima del previsto. Chissà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.