Tommaso Nannicini (foto LaPresse)

Nannicini al Pd: “Torniamo sulla terra e smettiamola di inseguire Di Maio”

David Allegranti

Il neo responsabile progetto del partito: “È lunare che un ministro del governo Renzi, non Rocco Casalino, dica che il Jobs act è solo l’abolizione dell’articolo 18”

Roma. “Stare nella segreteria unitaria di un partito che fa notizia solo per le sue divisioni è un po’ come fare il donatore del sangue non per l’Avis ma per Dracula. Non è sempre il massimo”. Tommaso Nannicini, neo responsabile progetto del Pd, è molto arrabbiato per come il suo partito si sta facendo attirare dalle sirene del M5s sul decreto Di Maio.

 

I Democratici si sono spaccati lunedì in direzione su un emendamento presentato dal Pd in commissione Lavoro che boccia l’aumento delle indennità per i licenziati senza giusta causa, riportandolo da 36 a 24 mesi. Emendamento che Andrea Orlando, Cesare Damiano e altri avrebbero voluto ritirare. Alla fine è stato deciso di assorbire tutti gli emendamenti  in poche modifiche contenenti le proposte del Pd. Ma il pasticcio, dice Nannicini, è stato fatto.

 

“Di Maio, per dirla con il presidente dell’Inps, orbita lontano dalla crosta terrestre. Presenta un decreto che chiama ‘dignità’ ma crea disoccupati, non aiuta il lavoro stabile ed è lontano anni luce dai problemi dei più deboli nel mercato del lavoro. E noi che facciamo? Ci dividiamo sul niente, su un emendamento parziale che non conteneva tutte le nostre proposte e proprio per quello andava letto non da solo. E’ un po’ come prendere lo shuttle per raggiungere Di Maio sulla luna. E’ lunare dividerci sull’articolo 18 e sui licenziamenti individuali, che in questi anni non sono affatto aumentati, mentre sono aumentati gli occupati di quasi un milione, per la metà a tempo indeterminato”.

 

Ed è “lunare”, aggiunge Nannicini, che “un ministro del governo Renzi (il riferimento è ad Andrea Orlando, ndr), non Rocco Casalino, dica che il Jobs act è solo l’abolizione dell’articolo 18, mentre è un disegno complessivo per dare ammortizzatori sociali a chi prima non li aveva, per ridurre le finte partite Iva, per irrobustire le politiche attive e della formazione. Un disegno da completare, certo. Ma non da licenziare. Invece, dovremmo sfidare Di Maio proprio sulla cancellazione del Jobs act. Vuoi rimettere l’articolo 18 come dici sui social? Accetta l’emendamento di Leu che lo reintroduce. Emendamento che non condivido nel merito, ma almeno sarebbe coerente con la propaganda di Di Maio. Che invece vuole prendersi i benefici del Jobs act, mantenendolo di fatto intatto, senza pagare il costo politico di ammetterlo. E dovremmo far emergere, nel Paese e non solo in Parlamento, le nostre idee alternative”.

 

Quali? “Il taglio del costo del lavoro stabile, non l’aumento dei costi per le famiglie che assumono colf e badanti. Il salario minimo, non il ritorno dei voucher in agricoltura. Una buonuscita per i lavoratori temporanei, aumentando i costi per le imprese che non li stabilizzano e mettendo soldi in tasca ai lavoratori, non causali farraginose che aumentano solo il contenzioso e mettono soldi in tasca agli avvocati. Il diritto soggettivo alla formazione permanente per tutti, non la cancellazione della somministrazione, che prevede un contributo speciale per la formazione. Per carità, continuo a credere nelle ragioni che ci tengono insieme e in un lavoro unitario sui fondamentali, visione per il Paese e organizzazione. Ma speriamo di tornare velocemente sul pianeta terra. Altrimenti, il numero di pagina di giornale in cui si parla del Pd diventerà inversamente proporzionale ai consensi reali che saremo in grado di mobilitare”. Ma non è che la nuova guida del Pd vuole “espellere” le idee economiche di Renzi dal partito? “Io ho fatto autocritica molte volte, penso che alcune cose avremmo dovuto farle diversamente. Ma l’autocritica è una cosa, la tabula rasa di un’esperienza di governo e di una leadership che ha rinnovato la cultura politica della sinistra, tutt’altra. Parliamone, ma stando sui contenuti, non sulle caricature o sulle lotte tra bande”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.