Agenda contro gli sfascisti

Redazione

Lavoro, immigrazione, Europa. Perché bisogna dire no ai professionisti della paura. Gelmini, Carfagna, Bernini, Ronzulli (FI) dialogano sul libro di Cerasa

Caro Salvini, la rabbia non va cavalcata. Lo stato deve essere severo, ma non crudele

di Mara Carfagna

Quello di Claudio Cerasa è un libro utile e prezioso non solo per chi fa politica ma anche per chi, semplicemente, vuole capire un po’ di più della società che ci circonda. Per quello che mi riguarda, è tempo di dare delle risposte al Sud, perché la crisi economica che ha stravolto e travolto il Paese e che viene da lontano, parte dai mutui subprime e che poi si è trasformata in crisi dei debiti sovrani, e da crisi finanziaria in crisi economica e poi sociale, ha piegato il sud più di quando non abbia fatto nel resto del Paese. Il Mezzogiorno ha pagato un prezzo altissimo alla crisi economica: oltre 12 punti percentuali di Pil sono andati persi, negli ultimi anni; oltre cinquecentomila posti di lavoro sono stati bruciati e abbiamo pagato un costo anche sociale della crisi (degrado urbano, alta dispersione scolastica, basso tasso di immatricolazione universitaria), insomma il Sud sembra veramente venuto fuori da un guerra, e non c’è dubbio che i Cinque stelle abbiano saputo meglio di altri intercettare la rabbia, la paura, l’angoscia, che sono sentimenti dinnanzi ai quali la politica non può girarsi dall’altra parte, nel Sud come nel resto del Paese. Noi stiamo lavorando a un piano Sud e lo stiamo facendo da un paio di mesi con Mariastella Gelmini, che ci ha suggerito e sollecitato a lavorare a un piano che sarà pronto nelle prossime settimane e che parte proprio dai bisogni di quei territori, dal bisogno di legalità, di giustizia, di occupazione, ma che parte soprattutto da una impostazione: la rabbia non va cavalcata. La rabbia va trasformata in desideri da esaudire e questa impostazione viene suggerita anche dal libro di Cerasa: qui sta la differenza tra populisti e popolari, tra quelli che si nutrono della rabbia e dell’angoscia – parlano il linguaggio della paura, sono capaci di speculare sulla paura e si accontentano di trasformare la paura in voti – e poi non sono capaci di andare oltre, e quelli che, come noi, invece, hanno l’ambizione non di sottovalutare la paura – perché chi è stato in questi anni al governo lo ha fatto ed ha pagato un prezzo molto caro – ma di guardarla in faccia, identificarla, definirla e andarle oltre.

 

Abbiamo l’ambizione di dare delle risposte a quelle angosce: lo faremo con il Sud, su tutti i temi e le grandi sfide con cui l’Italia oggi si trova a fare i conti. Faccio due esempi, che sono quelli forse più familiari per chi ci segue: prima di tutto, il tema dell’immigrazione. A temere l’immigrazione incontrollata non sono dei pericolosi razzisti, bensì cittadini che manifestano, attraverso la paura, un desiderio che noi abbiamo il dovere e l’ambizione di cogliere: il desiderio di difendere il proprio livello di benessere, la propria civiltà, la propria identità da un fenomeno che, se non gestito con rigore e severità, rischia di apparire come un’invasione che mette in discussione identità, civiltà e anche magari posti di lavoro. Sulla severità, sul rigore e sulla fermezza – e lo dico da donna di centrodestra che ama tutte e tre queste cose – lasciatemi dire che ho a cuore il rispetto delle regole e della legalità, perché uno Stato severo non è uno stato crudele, ma non mi sento a mio agio e non mi sentirei a mio agio in un centrodestra che, quando affronta il problema dell’immigrazione, lo affronta sì con severità e rigore, ma magari definisce “pacchia” il fenomeno dell’immigrazione, ignorando la compassione che abbiamo il dovere di manifestare e testimoniare di fronte alle grandi tragedie umanitarie che hanno accompagnato i fenomeni migratori degli ultimi anni. Le risposte che dobbiamo dare ai nostri cittadini sono quelle della severità e del rigore, senza dimenticare la solidarietà e la compassione, perché si possono fare le stesse cose che si stanno facendo adesso, senza però parlare di pacchia dei migranti. Magari si può parlare di pacchia delle ONG, quello sì, o dei trafficanti degli esseri umani, un traffico criminale che va debellato senza se e senza ma, ma definire quella dei migranti una pacchia sconfina nella crudeltà e non è questo il centrodestra che mi piace.

 

C’è poi il tema della globalizzazione, dietro la paura della quale non ci sono sempre dei pericolosi sovranisti e protezionisti schiavi delle ideologie, ma ci sono spesso cittadini appartenenti ai ceti medi produttivi che esprimono un desiderio che, ancora, abbiamo il dovere di intercettare: quello di ritornare ai livelli di benessere pre-crisi, perché è vero che la globalizzazione ha fatto uscire dalla povertà larghi strati della popolazione mondiale, ma nei paesi industrializzati – e in Italia soprattutto – ha fatto piombare nella povertà i ceti medi produttivi, ne ha assottigliato il reddito e allora bisogna dare delle risposte agli artigiani, ai commerciati, ai piccoli imprenditori, ai professionisti. Naturalmente, le risposte da dare non sono quelle di Di Maio, il quale anziché far crescere l’occupazione scoraggia gli imprenditori ad assumere: le risposte sono quelle che stiamo tentando di mettere in cantiere con Mariastella Gelmini e con Anna Maria Bernini, al Senato e alla Camera, e che puntano all’introduzione dei voucher, per i settori come l’agricoltura e il turismo; alla riduzione del cuneo fiscale; all’introduzione della flat-tax per le Partite Iva: queste sono le risposte da dare per sconfiggere le paure. Da un lato c’è l’atteggiamento di chi le cavalca e basta, dall’altro c’è quello invece di chi le sottovaluta: io credo che Forza Italia debba trovare il suo posizionamento provando a intercettare i desideri che si nascondono dietro alle paure.

 

I capitoli del libro di Claudio Cerasa si snodano attraverso una serie di dicotomie (ottimisti/pessimisti; reale/percepito; gerarchia/anarchia; competenti/incompetenti) e Cerasa fa spesso riferimento a quel populismo che si nutre di pessimismo: noi abbiamo il dovere di essere ottimisti, naturalmente, cercando di capire però le angosce con cui fanno i conti quotidianamente i cittadini italiani. Dobbiamo anche dire che se l’Europa – e parlo di Europa perché è chiaro che di fronte a sfide come l’immigrazione, la globalizzazione e il terrorismo, pensare di reagire con la politica delle piccole patrie e dei confini non è velleitario, ma semplicemente folle – vuole reagire alla sfida del populismo, deve necessariamente ripartire dalle richieste e dai bisogni dei popoli europei, esattamente come avvenne più di sessant’anni fa, quando i padri fondatori dettero avvio alla costruzione dell’Unione. Cosa chiedevano i cittadini, allora? Pace e benessere. Oggi, i cittadini europei chiedono protezione dalle diseguaglianze, protezione dalla povertà, protezione dalla disoccupazione, gestione del fenomeno migratorio all’interno di una cornice di legalità, lotta e contrasto al terrorismo: l’Europa deve fare questo, non può occuparsi della dimensione degli ortaggi, non può occuparsi di intralciare la vita dei cittadini, delle imprese, delle famiglie con una burocrazia ottusa e con delle leggi incomprensibili. La battaglia va portata in Europa, non serve fare la voce grossa o battere i pugni sul tavolo, anche qui serve la lezione di Silvio Berlusconi, quando nel 2005 riuscì a cambiare le regole del Trattato di Maastricht introducendo la flessibilità. In Europa bisogna sfidare i populisti non facendo a gara tra chi urla di più, tra chi la spara più grossa, tra chi fa il tweet più accattivante, ma tra chi usa il buonsenso e riesce a capire i cittadini e a parlare prima ancora che alla loro pancia, alla loro testa e al loro cuore.

 

Non solo per chi fa politica ma anche per chi, semplicemente, vuole capire un po’ di più della società che ci circonda. Per quello che mi riguarda, è tempo di dare delle risposte al Sud, perché la crisi economica che ha stravolto e travolto il Paese e che viene da lontano, parte dai mutui subprime e che poi si è trasformata in crisi dei debiti sovrani, e da crisi finanziaria in crisi economica e poi sociale, ha piegato il sud più di quando non abbia fatto nel resto del Paese. Il Mezzogiorno ha pagato un prezzo altissimo alla crisi economica: oltre 12 punti percentuali di Pil sono andati persi, negli ultimi anni; oltre cinquecentomila posti di lavoro sono stati bruciati e abbiamo pagato un costo anche sociale della crisi (degrado urbano, alta dispersione scolastica, basso tasso di immatricolazione universitaria), insomma il Sud sembra veramente venuto fuori da un guerra, e non c’è dubbio che i Cinque stelle abbiano saputo meglio di altri intercettare la rabbia, la paura, l’angoscia, che sono sentimenti dinnanzi ai quali la politica non può girarsi dall’altra parte, nel Sud come nel resto del Paese.

 

Noi stiamo lavorando a un piano Sud e lo stiamo facendo da un paio di mesi con Mariastella Gelmini, che ci ha suggerito e sollecitato a lavorare a un piano che sarà pronto nelle prossime settimane e che parte proprio dai bisogni di quei territori, dal bisogno di legalità, di giustizia, di occupazione, ma che parte soprattutto da una impostazione: la rabbia non va cavalcata. La rabbia va trasformata in desideri da esaudire e questa impostazione viene suggerita anche dal libro di Cerasa: qui sta la differenza tra populisti e popolari, tra quelli che si nutrono della rabbia e dell’angoscia – parlano il linguaggio della paura, sono capaci di speculare sulla paura e si accontentano di trasformare la paura in voti – e poi non sono capaci di andare oltre, e quelli che, come noi, invece, hanno l’ambizione non di sottovalutare la paura – perché chi è stato in questi anni al governo lo ha fatto ed ha pagato un prezzo molto caro – ma di guardarla in faccia, identificarla, definirla e andarle oltre. Abbiamo l’ambizione di dare delle risposte a quelle angosce: lo faremo con il Sud, su tutti i temi e le grandi sfide con cui l’Italia oggi si trova a fare i conti. Faccio due esempi, che sono quelli forse più familiari per chi ci segue: prima di tutto, il tema dell’immigrazione.

 

A temere l’immigrazione incontrollata non sono dei pericolosi razzisti, bensì cittadini che manifestano, attraverso la paura, un desiderio che noi abbiamo il dovere e l’ambizione di cogliere: il desiderio di difendere il proprio livello di benessere, la propria civiltà, la propria identità da un fenomeno che, se non gestito con rigore e severità, rischia di apparire come un’invasione che mette in discussione identità, civiltà e anche magari posti di lavoro. Sulla severità, sul rigore e sulla fermezza – e lo dico da donna di centrodestra che ama tutte e tre queste cose – lasciatemi dire che ho a cuore il rispetto delle regole e della legalità, perché uno Stato severo non è uno stato crudele, ma non mi sento a mio agio e non mi sentirei a mio agio in un centrodestra che, quando affronta il problema dell’immigrazione, lo affronta sì con severità e rigore, ma magari definisce “pacchia” il fenomeno dell’immigrazione, ignorando la compassione che abbiamo il dovere di manifestare e testimoniare di fronte alle grandi tragedie umanitarie che hanno accompagnato i fenomeni migratori degli ultimi anni.

 

Le risposte che dobbiamo dare ai nostri cittadini sono quelle della severità e del rigore, senza dimenticare la solidarietà e la compassione, perché si possono fare le stesse cose che si stanno facendo adesso, senza però parlare di pacchia dei migranti. Magari si può parlare di pacchia delle ONG, quello sì, o dei trafficanti degli esseri umani, un traffico criminale che va debellato senza se e senza ma, ma definire quella dei migranti una pacchia sconfina nella crudeltà e non è questo il centrodestra che mi piace. C’è poi il tema della globalizzazione, dietro la paura della quale non ci sono sempre dei pericolosi sovranisti e protezionisti schiavi delle ideologie, ma ci sono spesso cittadini appartenenti ai ceti medi produttivi che esprimono un desiderio che, ancora, abbiamo il dovere di intercettare: quello di ritornare ai livelli di benessere pre-crisi, perché è vero che la globalizzazione ha fatto uscire dalla povertà larghi strati della popolazione mondiale, ma nei paesi industrializzati – e in Italia soprattutto – ha fatto piombare nella povertà i ceti medi produttivi, ne ha assottigliato il reddito e allora bisogna dare delle risposte agli artigiani, ai commerciati, ai piccoli imprenditori, ai professionisti. Naturalmente, le risposte da dare non sono quelle di Di Maio, il quale anziché far crescere l’occupazione scoraggia gli imprenditori ad assumere: le risposte sono quelle che stiamo tentando di mettere in cantiere con Mariastella Gelmini e con Anna Maria Bernini, al Senato e alla Camera, e che puntano all’introduzione dei voucher, per i settori come l’agricoltura e il turismo; alla riduzione del cuneo fiscale; all’introduzione della flat-tax per le Partite Iva: queste sono le risposte da dare per sconfiggere le paure. Da un lato c’è l’atteggiamento di chi le cavalca e basta, dall’altro c’è quello invece di chi le sottovaluta: io credo che Forza Italia debba trovare il suo posizionamento provando a intercettare i desideri che si nascondono dietro alle paure. I capitoli del libro di Claudio Cerasa si snodano attraverso una serie di dicotomie (ottimisti/pessimisti; reale/percepito; gerarchia/anarchia; competenti/incompetenti) e Cerasa fa spesso riferimento a quel populismo che si nutre di pessimismo: noi abbiamo il dovere di essere ottimisti, naturalmente, cercando di capire però le angosce con cui fanno i conti quotidianamente i cittadini italiani. Dobbiamo anche dire che se l’Europa – e parlo di Europa perché è chiaro che di fronte a sfide come l’immigrazione, la globalizzazione e il terrorismo, pensare di reagire con la politica delle piccole patrie e dei confini non è velleitario, ma semplicemente folle – vuole reagire alla sfida del populismo, deve necessariamente ripartire dalle richieste e dai bisogni dei popoli europei, esattamente come avvenne più di sessant’anni fa, quando i padri fondatori dettero avvio alla costruzione dell’Unione. Cosa chiedevano i cittadini, allora? Pace e benessere.

 

Oggi, i cittadini europei chiedono protezione dalle diseguaglianze, protezione dalla povertà, protezione dalla disoccupazione, gestione del fenomeno migratorio all’interno di una cornice di legalità, lotta e contrasto al terrorismo: l’Europa deve fare questo, non può occuparsi della dimensione degli ortaggi, non può occuparsi di intralciare la vita dei cittadini, delle imprese, delle famiglie con una burocrazia ottusa e con delle leggi incomprensibili. La battaglia va portata in Europa, non serve fare la voce grossa o battere i pugni sul tavolo, anche qui serve la lezione di Silvio Berlusconi, quando nel 2005 riuscì a cambiare le regole del Trattato di Maastricht introducendo la flessibilità. In Europa bisogna sfidare i populisti non facendo a gara tra chi urla di più, tra chi la spara più grossa, tra chi fa il tweet più accattivante, ma tra chi usa il buonsenso e riesce a capire i cittadini e a parlare prima ancora che alla loro pancia, alla loro testa e al loro cuore.

*Forza Italia, vicepresidente della Camera

Una rivoluzione contro il populismo giudiziario e il governo dei Robespierre

di Anna Maria Bernini* 

Il libro di Claudio Cerasa è una regola di ingaggio in se stessi e chi mi ha preceduto, compreso Claudio, ha detto una cosa giustissima: il perimetro di un’offerta politiac è importantissimo ma è quello che ci mettiamo dentro che fa la differenza e che rende tutti noi più o meno attrattivi. Claudio dice una cosa giusta che è quella di non avere paura di dire cose apparentemente lontane dal pensiero unico, apparentemente lontane dal politicamente corretto. Perché il pensiero unico è fantastico, è come la bambagia, è come l’ovatta, il pensiero unico è comodo perché è condiviso, il pensiero unico è non sbagliare mai, dire sempre la cosa giusta, quella che tutti condivideranno, quella per cui tutte le teste faranno segno di sì. Il pensiero unico è populismo, ma come diceva Maria Stella Gelmini, il problema non è il populismo inteso come parlare al popolo o parlare alla pancia degli italiani, perché tutti noi politici parliamo alla testa, al cuore e anche alla pancia degli italiani, perché dobbiamo farlo per far arrivare i contenuti del nostro perimetro. Ciò che ci differenzia e che va osservato con attenzione anche in un’ottica di riforma della Giustizia è se un governo ha la pretesa, con un approccio moraleggiante e giustizialista, di parlare al cento per cento dei cittadini: perché questo è ciò che fa del populismo un populismo deteriore. La pretesa di parlare a tutti. Non è possibile, amici, non è possibile.

 

A proposito di Giustizia, voi avete notato che il presidente Conte si è presentato al paese come avvocato del popolo. Termine che mi ha fatto correre un brivido dietro la schiena perché è veramente una terminologia alla Robespierre. L’unica cosa che ci può in parte consolare, senza voler fare gli assetati di sangue, è come voi tutti sapete, che chi ha fatto la rivoluzione o ha montato ghigliottine in piazza prima o poi ha subito la sindrome del Termidoro, cioè ha fatto esso stesso quello sgradevole percorso e ha sentito, come dire, volare la vedova, come si dice in Francia. Noi non vogliamo fare le tricoteuse, non vogliamo metterci a fare le sferruzzatrici e aspettare sotto il patibolo di veder saltare le teste, noi siamo preoccupati per gli italiani, è per questo che è tanto importante darci dei contenuti che siano utili al paese. Chiaro che il perimetro è fondamentale, ognuno deve avere la sua funzione.

 

Però qui mi piace quello che dice Claudio Cerasa, il primo punto è non farsi incantare dalle luci del politicamente corretto, del pensiero unico, dalle luci dell’albero di Natale che deve sostituire il presepio: è un principio che non funziona perché saremmo disprezzati dagli stessi che vorremmo rispettare. Perché il multiculturalismo ci rende oggetto di disprezzo di quelle religioni che non conoscono o non riconoscono la reciprocità. Non possiamo cedere perché è un cedimento culturale e non religioso, è la nostra cultura che fa un passo indietro. Non esiste che uno che è ospite in casa nostra ci privi di qualcosa che è nostro, non è questa l’integrazione. E questi sono temi in cui ancora una volta dobbiamo dare retta a Claudio Cerasa, poi quando leggerete il libro vi renderete conto. Non dobbiamo farcela raccontare. Pensate, ieri sera mi è venuto in mente mentre leggevo una parte del libro, il 14 di luglio ricorre un anniversario per me importantissimo: la morte di Giuseppe Prezzolini, un nostro grandissimo intellettuale, molto controcorrente, che oltretutto ha vissuto il secolo tondo, ha vissuto cento anni, ed è stato fortemente critico nei confronti di una buona parte della storia del nostro paese al punto di andare a vivere negli Stati Uniti, in Svizzera e lì sostenere una serie di posizioni anche molto scomode, intolleranti. Lui ha fondato una società di cui potrebbe fare parte Claudio e di cui vorremmo fare parte anche noi, cioè la società degli apoti, di quelli che non se la bevono. Noi non ce la vogliamo bere, Claudio non se la beve in questo libro, non ha paura di fare l’intellettuale che non ha bisogno di essere giustificato dal pensiero comodo.

 

Lui fa l’intollerante nel senso del coraggioso, realista, osservatore, mediatore, perché non esiste la disintermediazione, ci vuole qualcuno che sappia, che conosca, non che faccia finta di sapere. Di quel sapere collettivo della rete che non soddisfa nessuno. Non se la beve e ha il coraggio, come il salmone, di nuotare controcorrente. Come dovremmo fare noi. Perché quando si parla di articolo 27 e qui torniamo ai temi della Giustizia, voi tutti sapete quanto è stato difficile, io all’epoca non c’ero, non facevo politica, io sono un avvocato e insegno all’università, condivido moltissimo le battaglie per la Giustizia e ritengo che sia irrispettoso nei confronti dei cittadini, dismettere la battaglia per la Giustizia. La Giustizia riguarda tutti noi ed è un tema che quest’anno è stato fortemente strumentalizzato a uso e contrasto di Silvio Berlusconi, che non essendo mai stato battuto nelle urne è stato battuto in alcune procure fortemente politicizzate. E questo è un dato oggettivo, non vi rivelo un mistero di Fatima. Solo attraverso la battaglia giudiziaria, attraverso pratiche assolutamente indegne, Silvio Berlusconi è stato accompagnato alla porta di servizio della politica, da cui però non uscirà mai, perché ha una forte legittimazione popolare che non gli verrà mai meno. Questo però non riguarda solo Silvio Berlusconi e basta, sarebbe un errore ridurre l’argomento della Giustizia in Forza Italia a prerogativa del nostro leader che è e rimarrà il nostro leader. La Giustizia riguarda tutti noi. Come dice Cerasa, nel momento in cui, per qualsiasi motivo, uno di noi finisce su un giornale sulla base di un sospetto, di un indizio, di un errore, di un avviso di garanzia, bisogna ricordare quello che diceva Giovanni Falcone, e Claudio Cerasa per fortuna è una persona che lo cita senza aver parlato male di lui quando era in vita, perché la maggior parte delle persone che adesso lo cita in maniera ipocrita quando era vivo gli ha fatto la guerra. Il punto è questo: la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo.

 

Io sono rimasta scioccata quando ho sentito dire: non esistono innocenti, esistono colpevoli che non sono ancora stati scoperti. Amici, se questa è l’aria che tira, altro che salmoni che nuotano controcorrente, qui siamo tutti in pericolo. Quindi mai come ora è fondamentale fare quello che ci invita a fare Cerasa. Che cos’è l’intollerante? Lo dicevamo prima con il paradosso di Popper. L’intollerante è chi con coraggio, ragionevolezza, determinazione, porta avanti le sue idee a prescindere da quello che sembra più comodo, più conveniente, più popolare. Maria Stella lo diceva prima, la differenza tra il leader e il follower, il leader è quello che ti dà una direzione, che insegna alle persone vedendo più avanti degli altri che cosa c’è al di là della collina. Il follower è quello che vedendo uno stormo si mette davanti quando lo stormo ha già preso una direzione facendo finta di essere lui a guidare. Ma non è il follower che serve adesso, soprattutto in argomenti delicati. Il tema Giustizia è un tema che sembra lontano, remoto, soprattutto quando si ferma nelle aule del legislatore, ma è un tema che quando tocca qualcuno della nostra famiglia ci dà la misura di quanto sia devastante, è una bomba, quando tocca la nostra famiglia è come una malattia, rovina la reputazione, le relazioni personali, familiari, professionali, va trattato con rispetto. Come dice Claudio Cerasa, non si può alzare il patibolo a fronte di un indizio o di un sospetto. Esiste un articolo in Costituzione, che lui ricorda, l’articolo 27 che dice che tutti noi siamo e saremo sempre innocenti fino a prova di colpevolezza. Su questo noi dobbiamo essere apoti, non dobbiamo farci raccontare bugie, non dobbiamo accondiscendere a pensieri confortevoli, come “tutti ladri, tutti in galera”, non esistono generalizzazioni possibili, ma diritti fondamentali da tutelare con coraggio, ragionevolezza e determinazione.

*capogruppo di Forza Italia al Senato

Sbaglia chi dice che non c’è un nuovo spazio politico per i moderati

di Maria Stella Gelmini*

Non possiamo liquidare tutto ciò che viene dal passato come se fosse qualcosa di negativo. Vale per il principio di autorità a scuola in cui una chat dei genitori mette in discussione l’autorevolezza e anche l’autorità, non usiamo mezze parole, degli insegnanti. Vale in materia di vaccini, quando gli intellettuali vengono quasi derisi proprio perché sono esperti e quando l’uno vale uno viene applicato in un contesto dove non si gioca con la politica, con il sorteggio, ma dove si gioca con la pelle dei bambini. Questo credo che sia un fatto gravissimo perché con tutto il rispetto per l’opinione di blogger, giornalisti e cittadini, penso che l’opinione di un esperto valga molto di più e siccome nella convinzione generale il vaccino diventa autocertificabile e nemmeno necessario, far passare questa come una verità lo trovo estremamente pericoloso. Eppure è così, l’anarchia sostituisce la gerarchia, l’incompetenza prende il posto della competenza, la democrazia, proprio perché diretta, viene affidata ad un algoritmo, e tra la leadership e la followship si preferisce la seconda.

 

Quindi non è che si cerca di guidare un popolo attraverso le proposte o i valori, ma si intercetta l’umore della rete, molto labile e molto mutabile, e si cerca di farsi interpreti di quel sentimento, di quell’emozione e di quel momento. Ecco, io penso che Forza Italia, per la storia che ha e che ha avuto in questo paese, ma anche per il ruolo che si vuole dare guardando al futuro, debba avere il coraggio di differenziarsi. Il che non significa banalizzare la capacità che coloro che sono al governo oggi hanno di interpretare i bisogni dei cittadini e le loro speranze, perché altrimenti saremmo un po’ come quelli che vanno a fare le vacanze a Capalbio che nei salotti di veltroniana memoria deridevano Berlusconi, e poi Berlusconi ha governato per vent’anni. Io credo che non dobbiamo commettere questo errore.

 

Allo stesso tempo però la politica è una cosa seria, la campagna elettorale ha un termine e quando si fa politica si devono prendere delle posizioni. Io credo che vanno bene i dipartimenti, vanno bene i congressi in cui daremo delle risposte organizzative, ma oggi Forza Italia deve avere un posizionamento chiaro a difesa della competenza, a difesa della meritocrazia a difesa di un ordine perché non è pensabile che siccome uno vale uno alla fine non cerchiamo di conoscere prima di parlare di un argomento o ci affidiamo all’umore della rete. Un errore che abbiamo commesso è stato di confondere la tolleranza con una raffinata forma di ipocrisia o come un cedimento all’intolleranza. E questo è accaduto per esempio quando nelle scuole abbiamo rinunciato al presepe in nome di un multiculturalismo che di fatto è la perdita dell’identità e non la fiducia del nostro credo nel rispetto delle altre religioni. Quello è stato un cedimento e allora da questa crisi se ne esce forse ascoltando la lezione di Popper e anche la lezione di Cerasa, sapendo dire dei “no”, sapendo di avere ancora la forza di indignarci di fronte a delle posizioni sbagliate, penso ai vaccini, penso al multiculturalismo che rappresenta una perdita di identità, penso alla condizione di infallibilità della rete quando in realtà il tema che noi abbiamo di fronte è quello di una responsabilizzazione dei contenuti che sono in rete perché non è possibile che si denigrino le persone, che si pubblichino documenti o informazioni false. Ci sono paesi come la Germania o la Francia che hanno proposte di legge contro le fake news e qui invece l’onorabilità delle persone, la veridicità non interessa più a nessuno. Allora noi dobbiamo avere il coraggio o la velleità di ripartire da questo, perché la perdita di identità, la perdita di coraggio di fronte alle battaglie giuste ha forse indebolito l’Europa ed è alla base della crisi dell’Europa. Perché quando l’Europa ha rinunciato al crocifisso, quando ha iniziato a dire che il presepe nelle scuole non si poteva fare, quando si è occupata più della conservazione dei vegetali che della difesa del made in Italy o della difesa delle economie, lì si è indebolita. La ripartenza quindi non è fuori dall’euro, fuori dall’Europa, o in rivoluzioni che sembrano restaurazioni. Credo che la strada sia un’altra e la dobbiamo individuare noi, per quello che abbiamo rappresentato in questi anni, perché sul mercato credo che Berlusconi rappresenti l’unica leadership, può piacere o non può piacere, può avere 82 anni ma sta di fatto che Berlusconi ha rappresentato per questo paese una leadership. Non penso che Di Maio abbia la stessa leadership di Berlusconi, credo che sia la prima followship costruita in provetta. Quanto dura e soprattutto che risultati dà all’Italia? I primi prodotti li abbiamo visti con i vaccini, ma non è che sul tema del lavoro ci sia stata una grande proliferazione, una grande offerta politica di contenuti.

 

Quindi chi dice che Forza Italia è in difficoltà accerta un fatto, chi dice che non ha spazio politico commette un errore. Perché dipende da noi, dalla nostra capacità di guardare alla realtà e ai bisogni dell’Italia, capire che noi abbiamo davanti un’autostrada perché di persone che si sono rifugiate nel non voto ce ne sono tante, di persone che forse di fronte ai simboli di questo governo che oggi il Foglio definiva “virile”, faceva una rappresentazione anche divertente però sottolineava che questo machismo non può vedere la presenza delle donne, in Forza Italia ci sono talmente tante donne anche ai vertici che noi per forza dobbiamo prendere una strada differente. Quindi penso che Forza Italia abbia un grande spazio davanti e i primi segnali che Berlusconi ha dato con Antonio Tajani che rappresenta sì l’Europa ma l’Europa che vuole cambiare e l’Europa che vuole rappresentare la voce dell’Italia e anche la competenza di Galliani, perché ripartire dai dipartimenti è un atto di umiltà, vuol dire non pensare di avere la ricetta pronta, vuol dire non farsi bastare gli slogan, la propaganda e gli hashtag, ma cominciare ad approfondire. Noi lo abbiamo fatto con Mara Carfagna abbiamo affrontato il tema del mezzogiorno, con Anna Maria, su sua proposta, abbiamo pensato alla reintroduzione dei voucher, con Licia stiamo ragionando di partito, quindi come dire, ci hanno dato per morti tante volte e siamo ancora qui, siamo determinati a combattere. Grazie per questo libro, perché devo dire che sotto sotto, fa il tifo per la rinascita di Forza Italia.

*capogruppo di Forza Italia alla Camera

Non si può più essere tolleranti con i professionisti della post verità

di Licia Ronzulli*

Ha ragione Claudio Cerasa quando dice, e lo dice nel suo libro, che è tempo di non essere più tolleranti con i tolleranti. E’ un qualcosa che riguarda non solo la politica ma la nostra vita quotidiana. Che riguarda anche il nostro rapporto con le persone che ci stanno vicine, che riguarda anche il nostro rapporto con i telefonini che hanno in mano i nostri figli! Cerasa nel libro si pone spesso domande che riguardano il futuro del progetto europeo e sulla sostenibilità di questo progetto anche a fini elettorali. Io dico che per portare avanti un progetto in cui si crede non sia necessario dire solo quello che funziona ai fini elettorali. Bisogna imparare e parlare non solo alla pancia delle persone, ma anche alle teste. Stiamo sul tema dell’Europa. E’ vero che l’Europa, ormai da diversi anni, è in qualche modo matrigna. E’ vero che non ha fatto nulla per aiutarci a non perdere quel sentimento europeista che ci hanno lasciato in eredità i padri fondatori. Ma è anche vero, forse, che siamo noi politici a non aver fatto abbastanza per far capire quali sono le priorità che servono all’Europa. Oggi la verità è che l’austerità cieca dell’Europa ha fatto perdere consensi, e per troppo tempo non siamo stati sufficientemente intolleranti con i buonisti che in nome del politicamente corretto hanno trasformato in nemici del popolo tutti coloro che si sono occupati del tema della sovranità.

 

C’è un’Europa dell’austerità che va superata, ma non va superata l’idea di Europa, questo no, e non va superata l’idea che avevano i nostri padri fondatori. Non può e non deve finire nella rete che gli intolleranti per partito preso stanno tessendo anche se spesso somiglia a una trappola. Mi viene in mente un caso recente che è quello che riguarda la direttiva sulla riforma del copyright. Purtroppo questo è un caso plastico in cui la voce di chi urla si sente meglio di chi con la voce prova a ragionare. La direttiva avrebbe aiutato a tutelare il diritto d’autore, e anche a governare in modo più efficace gli over the top, ma purtroppo per mille pressioni tutto è stato rinviato a settembre, e il bello è che una sconfitta è stata descritta come se fosse una vittoria. L’Europa ha un senso se riesce a tutelare gli editori per l’uso dei loro contenuti giornalistici grazie ai quali i giganti della rete guadagnano milioni con pubblicità e con raccolte dati degli utenti e ha un senso se riesce a difendere il diritto d’autore.

 

E non difenderlo non significa fare gli interessi dei piccoli, significa fare gli interessi dei grandi. Gli amanti del complotto, gli intolleranti a prescindere, hanno chiamato questa normativa “il bavaglio della Rete” ma questa è una grande fake news. Si trattava di riconoscere il diritto a tutelare il diritto d’autore, non di far tacere la Rete. Su questo, non si può essere tolleranti. E contro lo post-verità bisogna combattere. Cos’è la post-verità? Cito testualmente la definizione che dà la Treccani: “Argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica”. Ecco: è esattamente questo che è accaduto. Io faccio un mea culpa perché, a mio parere, soprattutto la politica ma anche la stampa hanno delle grandi responsabilità per questo fenomeno divenuto ormai incontrollabile. Il primo mea culpa è per non aver compreso il fenomeno e per aver lasciato un vuoto che disfattisti e complottisti hanno riempito e l’altra per non essere riuscita a spiegare ai cittadini che la realtà dei fatti è diversa da quella che i disfattisti vogliono far credere. Per questo raccolgo l’invito di Cerasa: l’Italia si governa stando attenti al reale, non al virale, e contro i professionisti della post verità bisogna essere non tolleranti.

*senatrice di Forza Italia

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