Antonio Pappalardo (foto LaPresse)

Terza Repubblica, atto I

Valerio Valentini

La fatica per l’accordo grillo-leghista, Fassina contro Mattarella e Lannutti che scansa Pappalardo

Roma. Nell’afa già appiccicosa del mattino, il gracchiare intermittente del megafono scortica la quiete di piazza Montecitorio. E’ il generale Pappalardo, vestito grigio e sciarpa rossa intorno al collo, e ce l’ha coi giornali e le televisioni. “Venduti”, ovviamente. “Perché non dicono che il capo dello stato è in arresto”. Poi deve notare lo stupore che si leva, intorno a lui, e conta, brandendo in aria le dita quasi a imitare il Cav.: “Da dicembre sono già cinque mesi che Mattarella è stato arrestato, e nessuno lo scrive”. Sono venti, al massimo venticinque, le persone che lo stanno a sentire e lo applaudono. Lui deve provare un vago imbarazzo nel vedere quella pattuglia sparuta, e si giustifica: “Stavolta l’abbiamo improvvisata in cinque giorni. Ma la prossima la organizziamo per bene: e allora sì – scandisce, con un sorriso mefistofelico un po’ posticcio – che li sfrattiamo a tutti quanti, questi abusivi”, dice indicando il palazzo alle sue spalle. “Stanno nell’Aula, loro, si nascondono”.

 

In verità ammesso pure che cerchino rifugio dalla furia manettara del generale, non è nell’Aula che lo fanno, “loro”. I pochi parlamentari che contano davvero, in queste ore, quelli che hanno in mano le sorti del governo che verrà, stanno altrove. L’incontro tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, accompagnati dai fidi scudieri Vincenzo Spadafora e Giancarlo Giorgetti, avviene nello studio del capo politico del M5s. Dura un paio d’ore, e ne scaturiscono, a sentire Di Maio, “significativi passi avanti sia sui nomi sia sul programma”. Formula vaga, che però dovrebbe bastare a convincere il Quirinale a concedere altro tempo per trovare una quadra che ora stenta a intravedersi. 

  

 

 

A proposito di Mattarella, ecco che in un Transatlantico deserto compare la sagoma di Stefano Fassina. “Il discorso del capo dello stato contro i sovranismi? Retorico. Non comprende che il nazionalismo oggi va rivalutato in chiave costituzionale”. Poco più in là, è Manlio Di Stefano, esperto di Esteri del M5s, a dispensare pacatezza: “Quelle del capo dello stato sono parole importanti, che servono a tranquillizzare i mercati”. E mentre Di Stefano invoca calma (“Per la stesura del programma di governo ci vorranno settimane, com’è stato anche in Germania”), Fassina insiste: “Mattarella parla di solidarietà: ma sono proprio i trattati europei, improntati all’esaltazione della competitività, a negarla”. E insomma, a sentirlo parlare così, pare già pronto per entrare nell’esecutivo grillo-leghista. Lui si schermisce, sorride, ma poi in effetti si dice “pronto a valutare questo eventuale governo sulla base dei singoli provvedimenti”, e non esclude di “poterne votare qualcuno”, quasi a ribadire la sua sintonia, dichiarata pubblicamente già a suo tempo, con Alberto Bagnai, il prof antieuro arruolato dalla Lega. Il quale, evocato, si materializza di lì a poco. Si sofferma solo un attimo coi cronisti, si rammarica per non essere mediaticamente presente come vorrebbe (“Ma sapete, Iva non vuole”, si stringe nelle spalle, alludendo alla Garibaldi, portavoce di Salvini), e poi prende congedo: “I truffati del salvabanche mi aspettano”, spiega. E in effetti già da qualche decina di minuti, nel giardino interno di Montecitorio, la calma sonnacchiosa del primo dopopranzo sono i ragli di una trombetta da stadio a rovinarla. In piazza monta la protesta: sono perlopiù veneti, urlano slogan contro “questo governo di farabutti”, e non si capisce se è un residuo di rabbia verso “gli amici della Boschi” o un odio preventivo, tanto per portarsi avanti, contro quelli che verranno.

 

Giulio, che è partito in treno da Conegliano alle 7 del mattino, della dipendente di Veneto Banca che lo convinse, quindici anni fa, a investire in “obbligazioni fintamente sicure” che poi gli fecero perdere 170mila euro di risparmi, ricorda ancora nome e cognome. “Se la trovo per strada la copo”, dice. “E pure quelli del Pd”, aggiunge subito, “ché quando i vardo in Tv me vien voja de spacar tuto”. Alessio Villarosa e Federico D’Incà sono due tra i deputati grillini che più si sono spesi, negli scorsi anni, sul tema delle banche. E per la prima volta subiscono l’assedio dei contestatori, di chi neppure li sta a sentire e li incalza. Al che Villarosa si spazientisce, “perché questioni così complesse – dice – non le puoi affrontare in piazza”. Antonio, da Biella, ce l’ha invece coi “politici di professione”. Ma confonde il giovane parlamentare cinquestelle, il livornese Francesco Berti, col cronista che gli sta a fianco. E al cronista dà pertanto del “ladro”, comme il faut, e al ventiseienne grillino chiede indicazioni perché gli hanno sempre detto “che vicino al Parlamento fanno dei panini con la porchetta buonissimi”. Ritorna Pappalardo, defraudato della sua piazza. E conciona, forse inconsapevole di citare letteralmente il Beppe Grillo che fu: “I politici sono nostri dipendenti. E quando non ci piace come lavorano li mandiamo a casa”. “Come faccio io con la mia colf”, lo interrompe una donna sulla sessantina, in equilibrio un po’ precario sui suoi tacchi e col rossetto rosa sbavato sul mento. “Brava”, si complimenta Pappalardo, che un “bravo” lo riserva pure a un uomo che sventola delle manette in aria. Arriva anche Carla Ruocco, e a lei sì che i manifestanti tributano un applauso. “Sei la nostra leonessa”, la incitano. E sembra quasi frutto di una distrazione, il fatto che la chiamino “Paola”; solo quando poi si complimentano davvero – “ora sei pure vicepresidente del Senato” – diventa chiaro l’equivoco. “Lei è Ruocco, non Taverna”, interviene il portavoce della deputata. “E vabbè, sono due leonesse entrambe. Facciamoci una foto”.

 

E così nel rito dei selfie viene coinvolto anche Elio Lannutti, presidente di Adusbef e senatore grillino fresco di nomina. “Le mafie bancarie non l’avranno vinta”, rassicura lui. Ed è a quel punto che uno dei manifestanti gli si avvicina, lo stringe: “Essù, Elio, vieni a farti una foto mentre abbracci il generale Pappalardo”. Lui quasi s’offende, rifiuta sdegnato: “Siamo cose diverse”. E l’altro che insiste: “Ma perché? State tutti e due dalla nostra parte”. Comincia la diretta Facebook della Ruocco, intanto. “Faremo piazza pulita”, afferma. E il manifestante, inflessibile e sorridente: “Brava Carla. Ma se non fai quello che hai promesso, Giuda cane, ti appendiamo lì sopra”. E a guardarlo da sotto in su, in controluce, l’obelisco di Montecitorio appare stranamente inquietante, in questo primo vero giorno di Terza Repubblica.