Elaborazione grafica Il Foglio

La pazzia di un'opposizione da Cappella Sistina del Fumetto

Giuliano Ferrara

Dateci il disonore dell’accozzaglia ma risparmiateci i segnali di fumo di un orrendo tribalismo alla rovescia

I diarchi stanno dando l’ultima mano alla Cappella Sistina del Fumetto. Pare che in un bar di New York abbiano fatto qualcosa di simile, e che sia trendy. Bene, facciamolo anche noi, portiamoci avanti col lavoro. Difficile attribuire un senso, se non quello tribale dell’incontro di due “augh!”, ai negoziati cosiddetti di programma o di contratto, per di più, scusate se si ride, “alla tedesca”. Tutti quelli con la testa ancora sulle spalle si aspettano, e giustamente, due sole cose: 1.680 euro di reddito personale a carico della fiscalità generale e una flat tax che abolisce la progressività delle imposte al 15 per cento. Sarebbe, nella Cappella, il Giudizio Universale. Ma tutti al tempo stesso sono convinti che, per non parlare dell’abolizione della legge sulle pensioni, si tratta solo di strafalcioni elettorali, cose buone per una passata di sovranità sulla piattaforma Rousseau. La ciccia è che lo stato delle cose economico-finanziarie è ancora determinato da Mario Draghi e da mercati inclini a non spaventarsi dei fondamentali di un’economia in faticosa ripresa.

 

Vedremo in corso d’opera, con qualche brivido, come si mettono queste varianti, come possa accadere al professor Borghi, ant ieuro, di fare meglio del professor Padoan, pro euro. E per adesso facciamo finta di fidarci di un governo che in prospettiva promette il “garbato” rispetto del deficit di Maastricht, così dicono. Con tanti auguri al Veneto e alla Lombardia, regioni della ricca Europa che sta discutendo senza di noi dello sviluppo a due velocità, luoghi della terra italiana dove ci comunicano che la disoccupazione è a livelli tedeschi, l’opulenza di fatto sembra stare altrove che nelle chiacchiere sulla diseguaglianza e la miseria di diritto, provocate – va da sé – dal mostro della globalizzazione.

  

Non pervenuto il nome del premier terzo, che sarebbe anche un modo rispettoso di stabilire come il Quirinale non sia un luogo di pensionamento inoperoso, visto che i governi li fa in genere un incaricato del presidente della Repubblica e non un’accozzaglia di ragazzotti in fregola di potere partitocratico mascherato da gita a Palazzo Chigi senza nemmeno l’inquilino costituzionale. Quanto alla sicurezza, non è chiaro fino a che punto ci si spingerà con le rassicurazioni per un’immigrazione calata nel frattempo del 90 per cento, e non è chiaro se sia chiaro nemmeno ai nuovi sceriffi del mare come sapranno fare meglio del governo trombato nelle urne. Scorte armate per il rimpatrio marittimo dei gommoni o altre simili soluzioni già preconizzate nelle varie campagne elettorali? Immenso è il disordine sotto il cielo, la situazione è eccellente in modo veramente spettacolare.

  

Detto questo, una sola cosa è auspicabile. Che l’opposizione, anche solo nel prepararsi per non dire nel dispiegarsi, se sarà il caso, non si metta a dipingere la sua, di Cappella Sistina del Fumetto, del Comic-Strip Art. Non si sa quanto tempo durerà la diarchia ma si sa che farebbe ridere e piangere la banale riedizione dei riflessi condizionati che ereditiamo dall’antiberlusconismo (e in parte dall’antirenzismo cugino). Caccia al conflitto di interessi, antifascismo e bando della giacchetta di CasaPound, risibili richieste di trasparenza, luoghi comuni politicamente e ideologicamente corretti: sbadiglio e orrore già ai primi segnali di fumo di un tribalismo alla rovescia (“l’abominevole intesa” di Flores, il “ci sarebbe da circondare il Parlamento” di Ovadia: Dio ne scampi).

   

Che cosa ci potrà mai essere di trasparenza, praticata e rivendicata, in un governo che poteva nascere col Pd, secondo gli intenti, ma che poteva alternativamente nascere senza o con l’appoggio esterno di Berlusconi, ma sulla base di un’affinità tra leghisti del nord e del sud, ciascuno a caccia della sua sinecura, e ora nasce per l’appunto con l’autorizzazione o il timbro dello stesso, tutta roba ben dissimulata, fra i mugugni e le belle lacrime delle couches radicali e benpensanti che ora, deluse perché scoprono che il nome di Rousseau è un furto con destrezza, sarebbero dietro a una nuova insurrezione anti-anti-anti? Che cosa ci può essere di serio in un’accozzaglia che replica una precedente accozzaglia?

    

Non è chiaro in re ipsa, e scusate il latino, che l’Italia è caduta in una trappola perfettamente legittima, approntata dai suoi elettori, combinata e voluta dal suo establishment straccione, sanzionata da una procedura democratica impeccabile che ci insignisce dell’alto onore di essere il primo paese europeo di peso che si mette sulla via del trumpismo più abborracciato, ma senza le garanzie e i contrappesi istituzionali che forse potranno risparmiare all’America il peggio del peggio?

  
Il materiale per un vaglio accorto, preciso, spietato della mancanza di idee, di competenze e di uomini che è il carattere inevitabile del nuovo governo, viste le premesse politiche e lo spettacolo in corso, è talmente cospicuo e vario che non c’è bisogno di nuove adunate oceaniche di protesta senza stile, dei nuovi girotondi, di nuove puntate sulla ruota dei pm, di future inchieste in nome del comune senso del pudore (tipo chi scopa con chi, e come e dove). Anche l’europeismo di maniera, il ce-lo-chiede-l’Europa, ce- lo-chiedono-i-mercati, non sembra la via giusta, e i “paletti” che il Quirinale starebbe conficcando nel terreno per ridurre l’alea del bordello a venire hanno anch’essi il sapore di un atto notarile molto pigro, subito dopo una lunga pennichella. Un grande storico della letteratura italiana diceva: dateci le lacrime delle cose, e risparmiateci le vostre. Ecco, dateci il disonore della più impasticciata e risibile delle venture, state attenti a denunciarlo con serietà e rigore, e risparmiateci il vostro.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.