Di Maio premier sarà la carta per tenere unito il centrodestra?
Storia di una profezia di Minniti e di una passione inconfessabile di Berlusconi
C’era una volta un giovane leader di un famoso partito italiano che nonostante alcune posizioni pazze del suo partito aveva conquistato sorprendentemente la simpatia del suo principale avversario, Silvio Berlusconi. Quel leader era Matteo Renzi e con quel leader, nonostante Berlusconi fosse distante anni luce dalle idee del suo partito, l’ex presidente del Consiglio, nel gennaio del 2014, decise di fare un patto per provare a dare un senso alla legislatura. Quattro anni dopo, con una legislatura nuova, un mondo cambiato, una galleria di leader rinnovata, c’è un altro giovane leader di un famoso Movimento che, nonostante le posizioni pazze del suo partito, ha da tempo, prima ancora del voto del 4 marzo, conquistato sorprendentemente la simpatia del suo principale avversario, Silvio Berlusconi. Quel leader si chiama Luigi Di Maio, e nonostante che il partito guidato dal pupillo di Beppe Grillo chieda da anni di internare il leader di FI – e che per visione del mondo e visione sul mondo Di Maio sia in tutto e per tutto l’opposto di Renzi e del Cav. – già da prima delle elezioni, nelle sue conversazioni private, Berlusconi non ha mai fatto mistero di considerare Di Maio un leader politico in gamba. Così giovane. Così preparato. Così educato. Così bravo in tv. Forse, agli occhi del Cav., persino con un pizzico di quid. La passione sobria, sincera, pazza, inconfessabile di Berlusconi per Luigi Di Maio è un elemento che nell’Italia post elettorale può essere osservato da prospettive diverse.
La prima prospettiva è quella del puro e genuino pettegolezzo politico, utile a mettere a fuoco l’imprevedibilità di Berlusconi, magnificamente sintetizzata quattro anni fa in Parlamento dall’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, che salutò l’improvvisa svolta parlamentare del Cav. sulla fiducia al suo governo, avvenuta pochi istanti dopo la dichiarazione di voto contraria annunciata dal capogruppo Renato Brunetta, con un semplice e genuino: “Beh, ma è un grande!”.
La seconda prospettiva è quella che invece potrebbe avere una sua dimensione politica se collocata in modo spericolato all’interno del balletto delle consultazioni che si aprirà al Quirinale dopo la Pasqua. E forse, per capire i passi che il centrodestra e il Movimento 5 stelle compiranno a partire dalla prossima settimana per cercare di dar vita a una maggioranza di un governo, l’immagine del balletto è proprio quella giusta da mettere a fuoco. E qui, ancora una volta, al centro di tutto ci sono i due campioni di questa legislatura, i nostri Masha e Orso, i nostri Di Maio e Salvini, entrambi pronti a far nascere un governo ma entrambi impossibilitati al momento a farlo nascere a causa proprio di Berlusconi. Di Maio non avrebbe problemi a governare con Salvini (prima però deve trovare un modo per dire che l’alleanza con la Lega è tutta colpa della non-responsabilità-del-Pd) ma avrebbe problemi a farlo in compagnia di Forza Italia. Allo stesso tempo Salvini non avrebbe problemi a governare con Di Maio (il patto generazionale può essere la vera chiave di questa legislatura) ma avrebbe problemi a farlo senza la compagnia di Forza Italia.
Dunque, come si scioglie il nodo? Come si risolve il problema? In questo senso, l’immagine del balletto ci può essere d’aiuto. In una consultazione di governo, si sa, i due partner potenziali devono muoversi necessariamente come se stessero danzando: io accetto di fare un passo indietro se tu fai un passo in avanti ma solo a condizione che un secondo dopo il passo indietro lo fai tu per farmene fare a me uno in avanti. Per ciascuno dei ballerini, dunque, fare un passo indietro in più del partner non è immaginabile e questo schema ci può aiutare a capire meglio quali potranno essere le vere difficoltà per Salvini e Di Maio nella formazione di un governo (sul programma nessun problema: su lavoro, pensioni, Europa, euro, vaccini, deficit, Salvini e Di Maio la pensano già da tempo allo stesso modo).
E dunque, eccoci qui. Problema numero uno: può davvero Luigi Di Maio accettare di dare la fiducia a un governo guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti, come suggerito ieri dal Giornale? Difficile, perché dovrebbe fare due passi indietro: dovrebbe dire sì a un accordo con tutto il centrodestra, compresa Forza Italia, e in più dovrebbe accettare di non essere il presidente del Consiglio. Problema numero due: può davvero Luigi Di Maio accettare di dare la fiducia a un governo guidato da una figura terza? Possibile se nel Movimento dovesse prevalere il partito del “governare a tutti i costi”. Difficile se nel Movimento dovesse prevalere la linea del “non possiamo governare a tutti i costi anche con Berlusconi”. In entrambi i casi, almeno per Di Maio, il balletto prevederebbe un passo in avanti (la nascita di un governo) e due passi indietro (niente governo guidato dal Movimento 5 stelle e sì a un governo sostenuto da Forza Italia). Non facile. Discorso diverso invece per Matteo Salvini che pragmaticamente ha già scelto di fare un passo indietro dalla guida del governo pur di avere la certezza di non rompere con Forza Italia (e non solo perché ci sono le amministrative e le regionali ma perché un conto è trattare con il 32 per cento del Movimento 5 stelle dal basso del 18 per cento della Lega, un conto è trattare con il Movimento 5 stelle dall’alto del 37 per cento della coalizione).
Dunque, che fare? Come fare un passo in avanti senza farne due indietro? Combinazioni facili e naturali – a parte la perfetta e possibile formula del governo Flick, con Di Maio e Salvini vicepremier e Forza Italia in appoggio anche esterno al governo – non se ne vedono. A meno che, nel balletto delle consultazioni, dopo settimane di discussione, non prenda forma una profezia suggerita in queste ore ai suoi interlocutori dall’attuale ministro dell’Interno Marco Minniti. Ovvero: la nascita di un governo formato da tutto il centrodestra unito e dal Movimento 5 stelle che preveda alla guida proprio il capo politico del Movimento: Luigi Di Maio. Il teorema Minniti è audace ma permette di mettere a fuoco uno schema in cui tutti i contraenti del patto – che, dato significativo, facendo un patto oggi un domani avrebbero i numeri non solo per cambiare la Costituzione ma anche per eleggere in autonomia il prossimo presidente della Repubblica – farebbero un passo indietro e uno in avanti. Salvini farebbe un passo indietro dal governo (prendendo però tutti i ministri di peso) ma farebbe un passo in avanti nella guida del centrodestra. Di Maio farebbe un passo indietro dalla pregiudiziale anti Caimano ma farebbe un passo in avanti portando il Movimento a Palazzo Chigi. Per Berlusconi il gioco sarebbe ancora più gustoso: riceverebbe dal 5 stelle una riabilitazione non meno importante rispetto a quella che potrebbe ricevere dal superamento dell’interdizione prevista dalla legge Severino, e darebbe a Salvini la possibilità di guidare il centrodestra dal governo senza dare però definitivamente le chiavi della coalizione all’ex leader in felpa. Lo schema è spericolato e probabilmente irrealizzabile (anche perché pensare che tra Salvini e Berlusconi vinca Berlusconi oggi è quasi impensabile) ma il teorema Minniti è un’opzione che per qualche giorno potrebbe movimentare le consultazioni. La passione per Di Maio c’è. Per capire se il balletto funzionerà non resta che aspettare la Pasqua. Il resto si vedrà. Un passo indietro e uno in avanti. Auguri danzanti a tutti.