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Monti ci spiega perché Di Maio e Salvini potrebbero causare all'Italia problemi “giganteschi”

Claudio Cerasa

Svolte macroniane, programmi pericolosi. “Spero che il M5s si eserciti a diventare Macron-compatibile”, ci dice l'ex presidente del Consiglio

Le schermaglie amorose messe in scena ieri pomeriggio da Luigi Di Maio e da Matteo Salvini – “Ma da solo Di Maio dove va? Voglio vederlo, trovare novanta voti in giro, che dalla sera alla mattina si convincono”, ha detto Salvini, ricevendo da Di Maio la seguente risposta: “Salvini dice che gli bastano cinquanta voti. Vuole fare il governo con i cinquanta voti del Pd di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri!” – dimostrano che un accordo tra la Lega e il Movimento 5 stelle per andare al governo non è ancora maturato ma allo stesso tempo ci ricordano che il bacio tormentato tra Di Maio e Salvini resta il vero cuore di questa legislatura. O la Lega e il Movimento 5 stelle trovano (con Forza Italia) un accordo per governare o trovare un governo diverso sarà una missione quasi impossibile. Le probabilità dunque che nel giro di poche settimane il nostro paese abbia un governo a guida populista restano intatte, nonostante i capricci tra i due naturali contraenti di un esecutivo di protesta, e per questo il grande tema con cui dovranno fare i conti coloro che avranno il compito di guidare il paese è sempre quello: nel rapporto tra un’Europa anti populista e un’Italia anti europeista, quali possono essere i punti di frattura più traumatici?

 

Mario Monti, ex presidente del Consiglio, ex commissario europeo, oggi senatore a vita, accetta di definire il perimetro della gabbia all’interno della quale saranno costretti a muoversi i partiti anti sistema. E il primo punto da cui partire non può che essere questo. Al di là di quello che sarà il governo del futuro, questa sarà la legislatura in cui verrà affrontato probabilmente la fine del Qe, e dunque vale la pena chiedersi: dal punto di vista economico su cosa verrà giudicata l’Italia nei prossimi cinque anni? “L’Italia – dice Monti – verrà giudicata sui criteri di sempre: la crescita, l’occupazione (soprattutto dei giovani), la riduzione delle diseguaglianze (di reddito, di ricchezza e sul territorio), la riduzione dell’evasione fiscale e della corruzione, la tenuta sotto controllo dei conti pubblici, anche per evitare di trasmettere la patata bollente alla legislatura successiva e giù fino agli italiani non ancora nati. A questi criteri ne aggiungerei uno nuovo: l’effetto delle migrazioni sulla competitività del paese. Se lasciano l’Italia molti giovani altamente qualificati sotto il profilo scientifico e professionale e al contempo consideriamo gli immigrati e i profughi che arrivano in Europa, restano da noi in prevalenza i meno qualificati. Gli altri puntano a stabilirsi nei paesi del nord e gli effetti sulla competitività del sistema Italia sono evidentemente negativi. La campagna elettorale è stata prodiga di promesse impossibili e muta sulle riforme indispensabili. Lo stesso Qe, necessario negli anni scorsi, è divenuto ormai per l’Italia un effetto ipnotico che permette all’opinione pubblica e ai politici di non vedere l’urgenza di quanto deve ancora essere fatto per le riforme strutturali e la finanza pubblica”. Le promesse impossibili però sono state votate e quando un partito anti sistema arriva al governo di solito le promesse pazze – anche se pericolose – è costretto a mantenerle. Dunque, seconda questione: su quali punti i partiti di protesta sono destinati a sfidare anche in modo traumatico l’Europa? “Dopo la sconfitta di Marine Le Pen, il M5s e la Lega hanno moderato le posizioni anti euro e anti Ue. Oggi una loro collisione voluta e frontale con l’Europa è meno probabile. Potrebbe però esservi una collisione non voluta, ma con impatto non meno problematico se fossero violate – magari deliberatamente – le regole europee, comprese quelle sulla finanza pubblica. Reddito di cittadinanza, flat tax, abolizione della riforma Fornero sono stati tre cavalli elettorali vincenti.

 

Se ora, a traguardo superato, venissero lasciati correre liberi, il conflitto con l’Europa sarebbe fragoroso. E meno male che c’è l’Europa, la fastidiosa Europa, visto che i veri danneggiati, gli italiani di domani, non potrebbero protestare perché non sono ancora nati”.

 

Facciamo notare a Mario Monti che dal giorno successivo alle elezioni del 4 marzo in molti in Italia hanno abboccato all’idea che nel nostro paese sia ormai presente una nuova forma di bipolarismo, quella formata cioè dal Movimento 5 stelle e dalla Lega. Il punto su cui riflettere oggi dunque potrebbe essere questo. Salvini e Di Maio sono le due inevitabili alternative dell’Italia o il 4 marzo ci ha detto invece che esiste uno spazio gigantesco non presidiato alternativo ai Di Maio e ai Salvini dove potrebbe nascere una casa dei partiti non di protesta sul modello Macron? Mario Monti sorride e la mette così: “Ammiro molto Macron, ma trovo stucchevole che – appena appare sulla scena internazionale un politico interessante, chiamiamolo X – in Italia si faccia a gara, da parte dei politici, nel pretendere di essere l’‘X italiano’; e da parte degli osservatori nel suggerire a questo o a quello di diventarlo. Ricordo che il sottosegretario di Renzi agli Affari europei, Sandro Gozi, la sera stessa dell’elezione di Tsipras nel gennaio 2015, si precipitò a dichiarare: ‘In Italia il nostro Tsipras l’abbiamo già, è Renzi’. Detto questo, l’occasione di fare qualcosa di simile all’operazione di Macron sarebbe stata proprio nell’ultimo anno, in vista di queste elezioni. Sia il Pd sia Forza Italia – o al limite i due insieme, ma uniti non in un ‘partito della Nazione’ di stampo conservatore, bensì in un ‘partito per l’Italia europea’ di stampo fortemente riformista – avrebbero potuto presentarsi con un forte profilo europeistico. Invece, sono divenute due formazioni guidate da due leader con accenti populistici, ma di un populismo sbiadito a confronto con i due populisti doc: Di Maio e Salvini. Hanno vinto gli originali, non le copie”.

 

Problema: ma se i Di Maio e i Salvini fossero coerenti con quello che hanno detto sul lavoro, sulle pensioni, sull’euro, sull’Europa, sui vaccini, sul protezionismo, sui trattati, sul deficit, un governo formato dal Movimento 5 stelle e dalla Lega che problemi potrebbe causare all’Italia? Monti risponde senza giri di parole: “Giganteschi”. Pausa. “Non posso pensare che credano così ciecamente alle proprie promesse elettorali. Mi auguro che, se saranno messi alla prova del governo, manterranno la voglia di rompere equilibri consolidati che hanno frenato l’Italia e l’hanno resa un paese carico di ingiustizie e di diseguaglianze eccessive. Ma che sentano il bisogno di valutare seriamente ogni idea e ogni proposta, singolarmente presa ma anche nel contesto complessivo, in particolare dei conti pubblici e degli effetti sulla crescita e sull’occupazione. Spero, insomma, che rivolgano la loro carica dirompente più verso l’establishment economico, politico e delle diverse ‘corporazioni’, che ne ha bisogno, e meno verso l’Europa, che ha bisogno di un’Italia più esigente ma anche più consapevole della sua grande responsabilità nel guidare, con alcuni altri paesi, il potenziamento dell’Europa”.

 

Le elezioni del 4 marzo però ci hanno detto che l’eccezionalità dell’Italia è legata al fatto che a differenza di molti altri paesi nel nostro contesto politico non esiste solo un partito di protesta ma ne esistono addirittura due. Perché? “Questa – continua Monti – non è un’esclusiva dell’Italia. Anche in Francia, Germania e Grecia, per esempio, esistono due diversi movimenti di ispirazione populista o radicale. E’ vero però che solo in Italia i due partiti hanno avuto tanto successo alle elezioni e che non sarebbe impossibile vederli insieme al governo. Credo che questo differenziale di affermazione dei populisti italiani derivi sia dalle caratteristiche un po’ arcaiche dell’establishment sia dal modo opportunistico in cui si è tante volte cercato di scaricare sull’Europa le colpe di carenze interne”.

 

La nostra conversazione con l’ex presidente del Consiglio si conclude con un tema legato a uno scoop pubblicato ieri dal Foglio. Il Movimento 5 stelle sogna di costruire un percorso – che già delle prime battute mostra di essere ovviamente accidentato – capace di portarlo da qui alle prossime elezioni europee a entrare nello stesso gruppo parlamentare europeo di cui fanno parte e faranno parte i deputati del partito di Emmanuel Macron. Chiediamo a Monti: quanto è credibile l’opzione che il Movimento 5 stelle scelga di seguire un percorso simile a quello di En Marche? “Da un lato – conclude Monti – Macron sta avendo qualche difficoltà nel lanciare un proprio gruppo politico in Europa. Dall’altro, il M5s ha avuto un’esperienza non felice quando, circa un anno fa, ha provato a confluire nel gruppo liberal-democratico Alde di Guy Verhofstadt: l’operazione è fallita in poche ore. Penso perciò che entrambe le parti saranno molto caute. Come italiano che tiene molto a un’Europa rafforzata posso solo augurarmi, su questo tema, che il M5s si eserciti a diventare Macron-compatibile, indipendentemente dal fatto che poi vi sia o meno una confluenza delle due forze nel Parlamento europeo”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.