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La strategia di bizze pubbliche e ammuine private di Lega e M5s arriva al Quirinale

Salvatore Merlo

Guadagnare tempo. “Dobbiamo far capire che non è un’alleanza, ma una dolorosa necessità”, dice Toti. Da oggi il presidente della Repubblica, più notaio che regista, sarà il metronomo dei piani di Salvini e Di Maio

Roma. Perdere tempo per guadagnare tempo. Discutere, allungare, stancare, mantecare, stufare nel senso culinario del termine, dunque persino annoiare gli italiani che per trent’anni si sono abituati alle montagne russe, alla rapidità muscolare del bipolarismo e dei salti nei cerchi di fuoco. Da oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, più notaio che regista, sarà il metronomo della strategia di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che in privato comunicano con la rapidità di Whatsapp, ma in pubblico e nella gestione concordata di questo decorso istituzionale si parlano invece con quell’effetto ritardato che appesantisce i dialoghi tra gli astronauti e la base terrestre. “Ci vuole tempo per far capire la necessità di un accordo con l’odiato rivale”, dice allora Giovanni Toti, il primo dei leghisti dentro Forza Italia e il primo dei forzisti dentro la Lega. “Bisogna avere il tempo”, ecco la parola, “di far maturare una narrazione, uno storytelling, una drammatizzazione. Quando le opinioni pubbliche saranno convinte, allora si potrà provare a fare il governo”.

 

Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno qualcosa di nemico e ancora di complice, negli occhi, nei gesti, nelle parole, che li rivelano alleati e avversari, legati a identici segreti di trucco. Da giorni se ne sono accorti tutti, anche ad Arcore, dove l’affinità anagrafica tra i due a un certo punto ha forse un po’ ingelosito il Cavaliere. D’altra parte gli attori principali di questa commedia dello stallo parlamentare, questa palude in cui tutto in realtà è però in movimento, hanno solo dieci anni di differenza, contro i trentotto che separano Di Maio da Grillo e i trentasette che separano Salvini da Berlusconi. “Quei due hanno giocato con gli stessi videogiochi del Nintendo, hanno visto la stessa televisione, forse gli stessi cartoni animati, e probabilmente poi anche gli stessi film”, raccontava sorridendo qualche giorno fa a Montecitorio Giancarlo Giorgetti, il prezioso architetto di retrovia della Lega, lui che è ben più anziano e mette al servizio di questa gioventù ribalda la sua assestata esperienza.

 

E allora Salvini e Di Maio s’intendono più di quanto non si capiscano i rispettivi gruppi parlamentari, i rispettivi ambasciatori, e persino gli elettori, quelli che per esempio impongono a Di Maio – forse più di quanto lui non voglia – il veto a Silvio Berlusconi e a Forza Italia. Ed è agli elettori infatti che bisogna far capire, accettare, digerire, le ragioni di un accordo. “Bisogna far capire che questa non è un’alleanza ma una dolorosa necessità”, ripete Toti, con il tono lento di chi respinge l’idea stessa della fretta. “Si tratta soltanto di farsi qualche anno di purgatorio insieme, tra forze politiche lontanissime e destinate a scontrarsi. Bisogna far passare questo messaggio: centrodestra e M5s stanno insieme solo per ragioni di emergenza, e comunque per poco tempo”. Rieccolo il tempo, appunto. La chiave di tutto. L’elemento principale dell’alchimia instabile, l’ingrediente che il presidente Mattarella non ha intenzione di lesinare, la variabile che i due ragazzi della politica stanno guadagnando con una continua recita di bizze pubbliche e ammuine private.

 

Così Di Maio va in televisione a sfasciare apparentemente ogni cosa alla vigilia delle consultazioni al Quirinale, “trattiamo con la Lega ma solo se non c’è Berlusconi. E trattiamo con il Pd, ma solo se non c’è Renzi”, che è un modo per lanciare la palla in tribuna, e far scorrere il cronometro dell’arbitro, perché oggi in Parlamento non c’è Pd senza Renzi e nella società italiana non c’è centrodestra senza Berlusconi. “E’ inevitabile che prima di metterti d’accordo devi fare la via crucis”, dicono persino gli uomini del Cavaliere, che però preferiscono non esporsi, non parlare, attendono infatti istruzioni dal Sovrano di Arcore che arriverà stamattina a Roma, lui che di questo suo ruolo di interdittore involontario, di sassolino negli ingranaggi, è un po’ divertito e insieme indispettito: “Di Maio non mi vuole incontrare? Non sa che si perde”.

 

L’opinione pubblica ha una memoria da niente e uno stomaco di ferro, pensano tutti. E anche i patti con il Caimano, alla fine, si possono siglare, alle giuste condizioni. “Berlusconi è la foglia di fico dei grillini”, dice Toti. “Il problema vero tra noi e i Cinque stelle sono le distanze di programma e di cultura: la giustizia, l’economia, il lavoro, le imprese, le tasse, il welfare… Mettere tutta questa polvere sotto il tappeto Berlusconi è un esercizio comodo e infantile”. Ma anche questo serve a perdere tempo, per guadagnare tempo.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.