Matteo Renzi (foto LaPresse)

Storia di una non notizia: Renzi non è più il candidato premier del centrosinistra

Claudio Cerasa

Non c’entra la Sicilia ma il nuovo contesto politico in cui le coalizioni nazionali non possono più esprimere un candidato unitario. E per capire perché, più che guardare alla Sicilia, date un’occhiata al resto d’Europa

A prescindere dal risultato finale delle elezioni siciliane la notizia di cui si discuterà di più nelle prossime ore, al di là dei voti ottenuti da Nello Musumeci, Gianfranco Cancelleri e Fabrizio Micari, è una “non notizia”, comunque molto importante: da oggi in poi ufficialmente Matteo Renzi non sarà più il candidato premier del centrosinistra. Diciamo che questa è in fondo una “non notizia” perché, una volta smaltita la sbornia delle elezioni siciliane, ci renderemo tutti conto (Berlusconi in fondo è l’unico ad essersene reso conto per tempo) che l’impossibilità di avere un Matteo Renzi come candidato premier del centrosinistra è un dato che non dipende dall’esito delle elezioni siciliane ma che dipende, piuttosto, dall’esito del percorso di questa legislatura, dalle conseguenze della nuova legge elettorale e dal delta sempre più grande che esiste in tutta Europa tra le coalizioni che si presentano a livello regionale (e locale) e quelle che si presentano a livello nazionale. In questo senso, la notizia della fine della candidatura di Matteo Renzi alla premiership del centrosinistra – che è quello che tutti chiederanno oggi se il voto in Sicilia per il Pd dovesse essere un disastro come sembra – è una “non notizia” per almeno due ragioni. 

 

Da un lato, perché la coalizione di centrosinistra – che forse alla fine ci sarà, che spasso vedere D’Alema e Renzi mano nella mano, e che potrebbe andare da Mdp al Pd passando per Ap – è una finta coalizione che verrà probabilmente formata da partiti che non condividono altro obiettivo se non quello di non far vincere le elezioni al centrodestra e al Movimento 5 stelle ma che in realtà è destinata a scomporsi un secondo dopo il voto delle politiche quando sarà chiaro che per governare l’Italia occorre un’alchimia diversa rispetto a quella che può servire per governare la Sicilia.

 

Dall’altro lato perché lo spirito della nuova legge elettorale (il Rosatellum, Dio lo benedica) permette ai partiti alleati di presentarsi alle elezioni insieme senza dover avere un candidato premier e senza dover far altro che presentare alle elezioni il proprio segretario. In modo goffo, surreale ma efficace Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (e “la signora Meloni”) hanno capito da tempo questo gioco pazzo. E dal primo istante in cui hanno scelto di presentarsi insieme alle elezioni hanno ammesso che il centrodestra andrà al voto unito (basta vedere gli sguardi di giovedì sera a Catania al ristorante tra Meloni, Berlusconi e Salvini per capire quanto è unito il centrodestra) ma senza un candidato premier unitario perché sarà il partito che prenderà più voti a indicare, dopo le elezioni, quale sarà il candidato premier (la legge elettorale tra l’altro, dio la benedica, non prevede la necessità di indicare un capo della coalizione). Il processo messo in campo nel centrodestra per definire il perimetro della coalizione è destinato dunque a essere un modello anche per il centrosinistra a meno che la sinistra a sinistra del Pd (uscita dal Pd anche per non fare le primarie con Renzi) non chieda a Renzi di misurare il suo consenso con primarie di coalizione (con il rischio però, per la sinistra a sinistra del Pd, che se poi fosse davvero il centrosinistra a vincere le elezioni a quel punto potrebbe essere davvero Renzi il candidato premier).

 

Tutto questo per dire cosa? Semplice. Che il grande tema sul quale si andranno a concentrare nei prossimi giorni i dirigenti del centrosinistra (no alla premiership di Renzi) è in realtà un non tema sia per le ragioni che abbiamo descritto finora sia perché le conseguenze del combinato disposto tra il No al referendum costituzionale e il no alla legge elettorale con il doppio turno hanno trasformato la figura del candidato premier in una figura che non può esistere più in un’Italia dove, sciocchini, per arrivare a Palazzo Chigi il potere dei veti è destinato ad avere un peso infinitamente superiore al potere dei voti. In un contesto finto maggioritario esistono i capi di partito (e non c’è ragione di credere che Renzi farà come ha fatto Veltroni dopo le elezioni della Sardegna) ma in questo contesto il candidato premier è un candidato fake, perché colui che alle prossime elezioni guiderà il paese non lo decideranno gli elettori ma lo deciderà ancora una volta il presidente della Repubblica.

 

Accanto a questo ragionamento ce n’è poi un altro che merita di essere svolto ed è quello che riguarda un’altra notizia fake che verrà utilizzata nelle prossime ore per dare al voto siciliano una valenza nazionale. La ragione per la quale il voto in regione difficilmente potrà essere letto come la spia di un laboratorio nazionale (a meno di non voler dire che in passato le vittorie di Raffaele Lombardo, di Rosario Crocetta e di Totò Cuffaro siano state il primo passo verso un’egemonia nazionale dei partiti di Lombardo, Crocetta e Cuffaro) è che in tutta Europa ormai da anni le elezioni locali e le elezioni nazionali seguono due dinamiche molto differenti: le prime tendono a ricomporre vecchi schieramenti politici, le seconde tendono a scomporre i vecchi schieramenti per crearne di nuovi. Guardate cosa è successo negli ultimi anni in Germania, in Francia, in Spagna, in Portogallo, in Grecia, in Belgio in Olanda e ovviamente in Italia e scoprirete che, tranne casi molto rari a livello nazionale, sono quasi sempre nate delle maggioranze diverse rispetto a quelle adottate a livello locale. In alcune circostanze l’unione tra partiti con tradizioni differenti è stata necessaria per creare degli schieramenti capaci di tenere le forze anti sistema lontane dal governo. In altri casi l’unione tra forze in teorie lontane tra loro è stata diciamo pure naturale per via di un fenomeno con il quale non potremo non fare i conti nei prossimi mesi anche in Italia: la naturalità con cui partiti in teoria lontani tra loro accomunati però da un senso di responsabilità rispetto all’interesse nazionale sono destinati a incontrarsi per rispondere in modo congiunto alle grandi sfide della nostra epoca. Detto in altri termini: è naturale o no che di fronte a un’epoca storica caratterizzata da un flusso migratorio che in tutta Europa ridisegna i confini del mondo; da una minaccia terroristica che in tutta Europa ridisegna i confini dei partiti; da un’esigenza di sicurezza che in tutta Europa ridisegna i confini dei governi; da un’agenda per la crescita che in tutta Europa ha ridisegnato il perimetro dei partiti affidabili e di quelli non affidabili; da una minaccia anti sistema che in tutta Europa ridisegna i confini della politica; da un istinto sovranista che in tutto il continente ridisegna i confini di ogni paese; è naturale che in questo contesto i partiti che la pensano in modo diverso sui diritti ma in modo simile sui doveri siano lì a incontrarsi sempre più spesso per governare insieme un paese?

 

Una volta smaltita la sbornia delle elezioni siciliane e fatte tutte le dovute considerazioni sul caso per capire quanto un Micari, un Cancelleri, un Fava e un Musumeci potranno essere considerati davvero il simbolo di una micarizzazione, di una cancellerizzazione, di una favizzazione, di una musumecizzazione dell’Italia fate un bel respiro, allargate l’inquadratura e pensate che nulla di quello che avete visto nelle ultime ore in Sicilia potrà essere considerato un modello per tutto il resto d’Italia. Le coalizioni esistono a livello regionale, ma esistono un po’ meno a livello nazionale. I candidati al governo esistono a livello locale ed esistono un po’ meno a livello nazionale. I processi sono diversi. E per questo, a processi diversi, corrispondono maggioranze diverse. Buona ubriacatura a tutti.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.