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Le traiettorie di Renzi e Di Maio per mettersi in scia dietro al Cav.

David Allegranti

Il voto in Sicilia è un colpo per il Pd e per il M5s ma l’unica novità oggi è il nuovo baricentro del centrodestra

Roma. La sconfitta, dicono ora il Pd e Matteo Renzi, era annunciata. Ma il fatto che fosse prevista non toglie nulla all’entità del crollo, la cui cifra si cela nell’analisi del voto delle regionali appena concluse. Il candidato del centrosinistra Fabrizio Micari ha preso il 18,5 per cento (4.838 sezioni su 5.300), mentre la somma delle quattro liste a sostegno arriva al 25,2 per cento. Come si spiega? “Essendo divisi non ci hanno ritenuto competitivi”, dice al Foglio Matteo Ricci, responsabile enti locali del Pd. 

 

“Nel tripolarismo se non vieni ritenuto competitivo scatta un voto utile bipolare. Più contro che a favore”, aggiunge Ricci. I numeri assoluti parlano più chiaro delle percentuali: Micari fa meno 87 mila circa voti rispetto alle liste. “Se il centrosinistra fosse stato unito ce la saremmo giocata”, dice Ricci, che sottolinea quanto sia sempre più necessaria la coalizione fra Pd e sinistra (il che vuol dire Mdp ma potrebbe anche essere solo Giuliano Pisapia) alle prossime elezioni politiche: “Loro non vanno da nessuna parte fuori ed eleggono pochissimo”, sottolinea Ricci. “Dobbiamo aprirci a Mdp, ma sui programmi, perché è sui programmi che si fanno le politiche e le campagne elettorali”, dice l’ex sindaco di Torino Piero Fassino. Lo stesso Renzi spiega di essere pronto per le primarie di coalizione (quindi significa che una coalizione ci sarà: già, ma quale? Un alleato, Mdp, non c’è, e l’altro, Ap, non è neanche entrato nell’Assemblea regionale siciliana).

 

Intanto, sulle cause di questa scarsa competitività siciliana, i ragionamenti nel Pd il giorno dopo la sconfitta si sprecano. Le autocritiche tuttavia non sono molte, anzi. “Micari – ha detto già domenica sera Davide Faraone, plenipotenziario di Matteo Renzi in Sicilia – ha avuto il coraggio che non ha avuto Pietro Grasso, quello di candidarsi con il centrosinistra. Siamo stati due mesi ad aspettare una risposta di Grasso che poi è stata negativa, la sinistra nel frattempo è andata per fatti suoi. Era una sconfitta abbastanza annunciata”. Altrettanto prevedibile è una nuova resa dei conti all’interno del Pd, dove c’è un’aria strana, come se tutti aspettassero il momento buono per far saltare la leadership di Renzi (non adesso ma dopo le elezioni, si suppone).

 

E i Cinque Stelle, nella terra che doveva consacrare la guida di Luigi Di Maio e lanciare la sua candidatura alle elezioni politiche dell’anno prossimo? Sono puntualmente arrivate le accuse di brogli vari, ma il punto è un altro: il voto disgiunto non ha colpito solo Micari. A parti invertite, ha colpito anche il M5s. Giancarlo Cancelleri ha preso il 34,6 per cento, il 7,9 per cento in più del M5s, fermo al 26,7 (sono 187.985 i voti di differenza). Segno che l’elettorato ha ritenuto più credibile il candidato del M5s, alla faccia di chi dice che la leadership non conta e che uno vale uno. Significativo il dato di Palermo (1.055 sezioni su 1.184), dove fra Cancelleri e il partito di Grillo ci sono 39.193 voti di distanza. Alla fine insomma l’unico che può festeggiare è il centrodestra, Berlusconi in testa. Anche se Nello Musumeci, utile ricordarlo, viene dalla destra, come già una esultante Giorgia Meloni ci tiene a sottolineare. Peraltro, anche la candidata al ballottaggio contro i Cinque Stelle a Ostia è del suo partito: Monica Picca, responsabile locale di FdI. “Con Musumeci vince la destra coerente, onesta, capace di programmi chiari che non scende a compromessi. Siamo contenti come Fratelli d’Italia di aver convinto tutta la coalizione a convergere sulla candidatura di Nello. Questo risultato dimostra che avevamo ragione e che questo è il modello che può battere il Movimento Cinque Stelle”. In Sicilia, “vince Nello Musumeci, fortemente voluto da Fratelli d’Italia”, ribadisce Ignazio La Russa. I sovranisti dunque passano all’incasso. Berlusconi, che è ormai l’alternativa ai Cinque Stelle, “l’argine ai populisti”, come si usa dire, ha anche un fronte interno al centrodestra da gestire. Il duo Meloni-Salvini, che ultimamente aveva avuto qualche bisticcio, anche importante, sull’approvazione della legge elettorale (Meloni contraria al Rosatellum, Salvini a favore) potrebbe riunificarsi quantomeno nelle pretese. Intanto si comincia dal Piemonte e dal Friuli Venezia Giulia, dove i leghisti vogliono riuscire a piazzare i loro candidati. “Il centrodestra moderato nel linguaggio ma capace di una radicale riorganizzazione della cosa pubblica è la sola alternativa al grave pericolo che il nostro paese cada in mano al ribellismo, al pauperismo, al giustizialismo. Un governo di centrodestra è il solo nei prossimi anni a poter garantire la crescita, la democrazia e la libertà”, dice Berlusconi, di fatto affermando due cose: anzitutto che il capo del centrodestra è lui, che può esistere solo un centrodestra moderato, per quanto rappresentato anche da esponenti non di Forza Italia; secondo, il vero avversario è il M5s. Le elezioni siciliane non cambiano dunque di molto le carte in tavola (e la leadership di Renzi seppure colpita non è a rischio) . Se non che da oggi il nemico da battere non è più il Pd e nemmeno il movimento 5 stelle ma è il centrodestra guidato dal Cav. E questa è una notizia.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.