La chiusura della campagna elettorale di CasaPound a Ostia (foto LaPresse)

Casa(leggio)Pound

Valerio Valentini

Dicevano i grillini: “Grazie a noi niente fascisti e astensione bassa”. Poi arrivò il voto di Ostia

Roma. Aspe’, com’è che era? Ah sì, una roba del tipo: “Se non ci fosse il Movimento cinque stelle, in Italia arriverebbero i fascisti”. E’ stato questo il refrain autocelebrativo, lo slogan mille volte ripetuto, nelle piazze e nei talk-show, insieme all’altra litania, pure quella canonica: “E’ grazie a M5s che l’astensionismo non raggiunge quote esagerate”. Come a ricordare, insomma, che potevi pure non amarli, non votarli: ma un po’ dovevi comunque essergli grato, a Beppe e ai suoi, perché magari non erano proprio il massimo della vita, ma meglio di Alba Dorata, che diamine, meglio della disaffezione totale alla politica, questo forse sì. E certo: che l’assunto, a ponderarlo bene, fosse sgangherato, era evidente; ma fintantoché mancava la prova contraria, confutarlo fino in fondo restava difficile. Poi però, nel novembre del 2017, si arriva al voto di Ostia, e il teorema grillino decade. Perché a Ostia CasaPound vola: più del 9 per cento, 5.944 voti. Alle precedenti elezioni, quelle per il Campidoglio del giugno 2016, nel X Municipio conquistato da Virginia Raggi con percentuali bulgare i neofascisti avevano raccolto l’1,85 per cento, appena 1.800 preferenze.

 

Non solo. Degli oltre 185.000 aventi diritto, appena 67.000 sono andati a votare domenica scorsa per eleggere il nuovo presidente di municipio: un’affluenza del 36 per cento. E sì, ci sta che il nubifragio che ha colpito il litorale abbia convinto tanta gente a restarsene a casa, ma senz’altro più del maltempo ha influito la disillusione, specie dopo una campagna elettorale di sconfortante pochezza. Però, proprio come i vecchi biasimatissimi politici, anche i notabili di M5s ignorano i due dati preoccupanti emersi dalle elezioni di Ostia e si crogiolano su un risultato forse inferiore alle attese della vigilia, ma comunque lusinghiero (30,2 per cento e approdo al ballottaggio come prima forza con quasi 20.000 voti: meno della metà rispetto al primo turno delle comunali del 2016, quando il Decimo era ancora commissariato, ma settemila in più rispetto alle municipali del 2013).

 

E ora sarebbe troppo facile ribaltare il ragionamento con cui i Di Maio di turno ci hanno molestato per anni: affermare, cioè, che proprio nella Roma amministrata dai cinque stelle l’estrema destra spopola e cresce l’astensione a causa dell’insipienza grillina. Ma sarebbe sbagliato: Ostia è una realtà complessa che le banalizzazioni non aiutano a comprendere. Basterà semmai che, da qui all’eternità, ogniqualvolta qualcuno – anche tra gli editorialisti più accigliati, di quelli che si fanno portavoce del comune sentire della borghesia italiana – ricaccerà la bufala del grillismo come argine all’astensione e all’estremismo nero, gli si replichi con un sonoro pernacchio. O magari con tre semplici parole: “E Ostia, allora?”.

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