Prosciutto e Meloni
La leader di Fratelli d’Italia lancia una nuova campagna video-gastronomica: i #2minuticonGiorgia sono un abbuffata di sovranismo alimentare e nazionalismo in pillole. Ma quanto c’è di vero? Un fact-checking
Matteo Renzi ha rottamato anche il caminetto (inteso come il luogo dove i big del pd decidono le magnifiche sorti e progressive del loro partito). E allora i sovranisti italiani sono passati direttamente ai fornelli, ché agosto è tempo di sagre e ora è già stagione di conserve. Così, se i grillini sfornano banali pizze e l’Instagram di Salvini è un tripudio scontato di salamelle, il nuovo “comizio social” di Giorgia Meloni è un colpo di genio, va riconosciuto. In un paio di video pubblicati sul suo profilo Facebook, la leader di Fratelli d'Italia spalanca le porte del suo appartamento e accoglie in cucina quasi 400mila visitatori (virtuali) a botta. Dopotutto, a giudicare da quanto tirano programmi e reality sul cibo, Meloni ha scelto la giusta location per fare un po' di campagna elettorale. Eccola quindi nel primo video con la giusta dose di sneakers e abiti spampanati e una fotografia da fare invidia a Vittorio e Jonathan, i “Giardinieri in affitto” di Sky.
“Dicono che tutti i politici coltivino il proprio orticello, io in effetti il mio lo coltivo”, sogghigna Giorgia, accovacciata tra gli “odori” – “c’è pure la mentuccia romana, che altrimenti i carciofi alla romana non ti vengono”. E potrebbe sembrare una simpatica versione all’amatriciana di “Giorgione orto e cucina”, se non fosse che di padelle c’è poco e si casca subito nella brace della propaganda protezionista e autarchica. Idem per il secondo video, girato direttamente in cucina, dove la leader di Fratelli d’Italia insegna a preparare la caprese “à la Meloni”: genuina, tricolore, italiana. In linea di massima si può pure essere d’accordo sulla bontà dei nostri Dop e Igp. Ma Meloni generalizza un po’ troppo. E pure se sceglie la mozzarella Fiordilatte (“Perché è più magra”), qualche bufala ce la rifila. Facciamo un po’ d’ordine.
1. Lacrime e sugo
“Nella grande distribuzione non sempre troviamo il prodotto italiano. I pomodori italiani delle volte neanche vengono raccolti. In Sicilia, a Pachino, 20 centesimi glielo pagano agli agricoltori, che a volte non lo raccolgono perché non gli conviene. E noi ci mangiamo il pomodoro spagnolo”. Se è vero che Gianfranco Consulo, presidente Coldiretti Ragusa, sostiene che sul Pachino “si ricava meno dei costi”, afferma anche che “il prezzo di vendita non supera i 40/60 centesimi”. Almeno il doppio di quello che dice Meloni. Inoltre, secondo un report 2017 di Ismea (l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), anche “le strategie della gdo nazionale sarebbero orientate al prodotto italiano”, spinte dalla “preferenza dei consumatori verso prodotto nazionali”.
"Nell'Unione Europea a 28, l'Italia non è certamente al primo posto nella produzione di pomodoro da mensa”, dice Luciano Trentini, consulente esperto di mercati ortofrutticoli e vicepresidente del gruppo di Dialogo civile per la promozione dei prodotti agricoli della Commissione Europea. “La Sicilia tuttavia produce da sola il 42 per cento del totale nazionale, il che è un dato molto importante se si considera che generalmente chi detiene la maggior quota di un bene dovrebbe poterne fissare anche il prezzo. Cifre importanti, che potrebbero tradursi in una migliore commercializzazione se si riuscisse a fare maggiore aggregazione attorno a questa coltura. In tal senso può essere utile l'esperienza del Consorzio del Pomodoro di Pachino Igp, che da solo commercializza 7 milioni di chili di pomodoro e che grazie alla sua ottima strutturazione potrebbe fungere da centro organizzatore per l'intera produzione siciliana".
Un’altra mezza bufala è l’attacco alla Spagna. Se proprio vogliamo prendercela con qualcuno, Amsterdam – sorpresa! – ha più responsabilità di Madrid che rimane al secondo posto per export in Italia (con 39 milioni di euro su un totale di 141). L’Olanda, con un valore di oltre 60 milioni di euro è il primo esportatore. Mentre i tanto temuti stati del Maghreb, che creano numerosi problemi ai produttori francesi e spagnoli, hanno un peso molto relativo rispetto al mercato italiano se si paragonano le loro esportazioni al flusso totale di merci che viene commercializzato nel vecchio Continente.
Infine, prima di abbandonarsi al piagnisteo in chiave nazionalista, c’è da tenere presente che secondo i dati presentati all’European Tomato Forum che si è tenuto a Düsseldorf lo scorso 2 giugno, il nostro paese si inserisce anche tra i maggiori protagonisti del comparto a livello globale, con il 3 per cento della produzione mondiale, dopo la Cina (31 per cento), Stati Uniti e India (10 per cento), Turchia (7 per cento) e Iran (4 per cento).
2. Mozzarelle e bufale
Giorgia Meloni continua dicendo che “l’Ue dice che dobbiamo fare formaggio col latte in polvere, così anche il nostro avrà qualità pessima come quella degli altri che saranno più competitivi”. Non fa una grinza. Peccato che in realtà la questione sia parecchio più complicata. Riguarda cioè la legge 138/1974 che vieta l’utilizzo di latte in polvere per la produzione di formaggi: secondo una lettera inviata al governo italiano dalla Commissione europea, la legge in questione violerebbe la “libera circolazione delle merci” all’interno dell’Unione, e perciò va modificata. Ma il ministro Martina ha spiegato che si tratta piuttosto di etichette e corretta informazione ai consumatori. L'Unione europea non vuole costringere nessuno a utilizzare il latte in polvere. Chi vorrà continuare a trattare esclusivamente latte fresco, sarà libero di farlo. La polvere, per altro, è già consentita per la produzione di formaggi fusi made in Italy.
Nel secondo video di Giorgia Meloni, quello nell’orto, c’è invece un attacco al Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), il trattato commerciale tra Unione europea e Canada.
3. La battaglia del grano
“L’unione europea si è inventata di sottoscrivere un accordo con il Nord America che consentirà ai canadesi di importare un grano che viene prodotto con un agente chimico che in Italia è vietato. Si chiama il glifosato. Qui i nostri agricoltori non lo usano. Perché è sospettato di essere cancerogeno. Qui dove produciamo le cose fatte bene, il glifosato non lo usiamo”.
La questione, ancora una volta, non è proprio così. Come ricorda un fact-checking molto esaustivo di Lavoce.info, intanto il glifosato, che è un erbicida parecchio diffuso, è usato anche in Italia e disciplinato dal regolamento europeo 1313/2016 e dal decreto del ministero della Salute del 9 agosto 2016. Il suo uso è vietato in Italia solo in fase di pre-raccolta ma con il Ceta questo non cambia.
Inoltre anche la pericolosità di questa sostanza è piuttosto dubbia: l’Agenzia internazionale per la ricerca contro il cancro lo ha giudicato “probabilmente cancerogeno”, ma sia l’Autorità europea per la sicurezza alimentare sia l’Oms sia la Fao hanno smentito. Durante il meeting del “Panel of Experts on Pesticide Residues in Food and the Environment”, un incontro di esperti sui residui di pesticidi nel cibo e nell’ambiente, Fao e Oms fanno sapere che è improbabile che l’assunzione di glifosato sia cancerogena per l’essere umano.
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