Addio zuppa inglese, non posso diventare come un topo cocainomane

Camillo Langone

Decisioni post lettura ("Contro lo zucchero", di Gary Taubes)

Sono in un ristorante di Modena e sto per mangiare la mia ultima zuppa inglese. O almeno ho questa sensazione. Non perché sia sicuro di morire entro breve: godo di buona salute e mi cullo nell’idea di poter vivere, sempre beninteso con l’aiuto di Dio, qualche altro anno. Appunto perché mi piacerebbe vivere ancora un po’, e nell’attuale discreta forma, quella che ho davanti sembra proprio la mia ultima zuppa inglese. Ieri notte ho finito di leggere "Contro lo zucchero" di Gary Taubes, quattrocento pagine stampate da Sonzogno e zeppe di ricerche che mi hanno portato a condividere la tesi dello specialista americano: “Io sostengo che gli zuccheri come il saccarosio e lo sciroppo di fruttosio-glucosio sono cause fondamentali di diabete e obesità, in base al medesimo, semplice concetto di causalità che si utilizza quando si dice che il fumo di sigaretta causa il cancro del polmone”.

 

Non fumare non mi costa nulla: fumo due sigari all’anno e solo perché mi piace il gesto, la pipa una volta ogni due anni e solo perché mi piace l’oggetto. Non mangiare dolci per quanto mi riguarda richiede uno sforzo maggiore: non perché mi piaccia il gesto animalesco dell’ingozzarsi, o l’oggetto in sé, reso spesso inguardabile da cuochi che si credono all’avanguardia e che invece praticano una destrutturazione vecchia di mezzo secolo (Jacques Derrida, Della grammatologia, 1967), ma perché lo zucchero dà assuefazione e dipendenza. Come una droga. Peggio di una droga. “Negli esperimenti, i ratti a cui veniva offerta acqua zuccherata la gradivano assai più della cocaina, anche quando erano dipendenti da quest’ultima”. Sto per mangiare la mia ultima zuppa inglese perché non voglio somigliare a un topo cocainomane, ho una dignità da salvaguardare. Il capitolo decisivo è stato proprio quello in cui Taubes assimila lo zucchero alle droghe, spiegando che la regione del cervello interessata è la medesima (il centro della gratificazione ovvero il nucleus accumbens) e che simili sono gli effetti: “Più usiamo tali sostanze, meno dopamina viene prodotta naturalmente nel cervello. Ne deriva un fenomeno detto sottoregolazione della dopamina: per avere la stessa reazione piacevole abbiamo bisogno di aumentare la dose della sostanza”. Insomma gelati, cioccolatini, marmellate e biscotti danno assuefazione e dipendenza. Non è che prima si pensava che facessero bene. Carême, fondatore dell’haute cuisine e grande pasticciere, in un momento di sincerità disse che i dolci sarebbe stato meglio non inventarli (come Einstein che dopo Hiroshima si pentì di avere contribuito alla bomba atomica).

 

Da tempo i ricchi e soprattutto le ricche si riconoscono dalla magrezza, da tempo pensavo allo zucchero come all’oppio dei poveri, modesta consolazione per persone che guardano la tv. Dunque evitavo le bevande gassate, ottime per ingrassare e ruttare, ma in Veneto ho sempre ceduto al tiramisù e in Emilia alla zuppa inglese come questa del ristorante modenese che, forse in quanto ultima, mi sembra molto bella. Impiattata senza sbavature e senza il miserabile zucchero a velo nemico delle giacche blu, per nulla destrutturata (sebbene sia a Modena non sono da Bottura), anzi una zuppa centripeta, semisferica come una tetta perfetta. Manca solo il capezzolo e si capisce benissimo come simili forme, coniugate a simili dolcezze, rendano dipendenti fin dalla più tenera età. “Lo zucchero nelle prove cliniche è più efficace nel placare il disagio dei neonati di quanto non lo sia il seno materno e il suo latte”.

 

C’è qualcosa di diabolico in questa sostanza e non dev’essere un caso il fatto che Gesù Cristo non moltiplicò il miele e non trasformò l’acqua in sciroppo. Resta che sto per mangiare la mia ultima zuppa inglese, o forse no, perché sto già immaginando eccezioni: Natale, Pasqua, magari le altre solennità, che non sono pochissime, e San Camillo… Purtroppo Taubes non ha sensibilità religiosa, soltanto medica, e smonta il mio edonistico martirologio: “E’ possibile che anche ridotte quantità di zucchero si rivelino eccessive per ribaltare la situazione e restituirci la salute. Appellarsi alla moderazione è un concetto senza senso”. Seppellisce le mie deroghe patetiche sotto una montagna di malattie da dessert: diabete, ovvio, e poi cardiopatie, ipertensione (pare più dovuta allo zucchero che al sale), gotta (non dipendente dalla carne come si credeva), forse perfino cancro e Alzheimer. Morire va bene ma morire dopo anni di progressiva demenza e progressiva rottura di coglioni al prossimo va malissimo. Pertanto questa è la mia ultima zuppa inglese ed ecco che afferro il cucchiaio ed entro in verticale nella crema e nella cioccolata e contrariamente al solito non trovo nulla da obiettare, non troppo liquore, consistenza giusta, pan di spagna soave. Una zuppa inglese buonissima.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).