Matteo Salvini e Giorgia Meloni

Il sovranismo alimentare (via social) di Meloni e Salvini

Valerio Valentini

Uno usa Instagram per diffondere prelibatezze nostrane, l'altra si fa riprendere in cucina mentre prepara un'italianissima caprese. Così i leader di Lega e Fratelli d'Italia affrontano la minaccia internazionale del "parmesan" e della "carbonara sauce"

Che fatica, la vita di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Quali sacrifici, quali tribolazioni accettano di sopportare in nome del loro impegno politico. Qualche ingenuo potrebbe pensare – e sperare, perfino, per la loro serenità personale – che almeno a ore pasti, quando si tratta d'accomodarsi a tavola e mettere qualcosa nello stomaco, i due paladini del sovranismo italico riescano a concedersi una pausa. Pochi minuti, magari, ma comunque una innocente evasione da questa campagna elettorale permenante in cui sono immersi, un attimo di svago dal delirio sfiancante delle riunioni romane e arcoriane per decidere sull'opportunità del listone unico, e se farlo, quel listone, e che nome dargli e che simbolo.

 

E invece no. Anche quell'angolo d'intimità che è la cucina viene violato, la riservatezza solitamente concessa agli atti minimi del tagliare, impiattare, sbraciare, pure quella sacrificata in nome di un ardore nazionalistico mai domo, di una dedizione alla causa che ha del commovente. La causa, nella fattispecie, è quella della difesa della purezza della genuinità italiana. Che è ovviamente minacciata dall'Europa, dall'eccessiva libertà del commercio internazionale, dagli accordi di libero scambio transoceanici con Canada e Stati Uniti: tutto uno svilimento dell'eccellenza agroalimentare nostrana, tutto uno sdoganamento dell'italian sounding, tutto un complotto. E contro questa bieca macchinazione delle multinazionali del “parmesan” e della “carbonara sauce”, il duo Meloni e Salvini si scaglia indefesso. Con metodi diversi, ma con eguale caparbietà.

 

Il segretario della Lega la sua battaglia la conduce soprattutto su Instragram. Specie d'estate, quando il riposo dai talk-show gli concede tempo per tour enogastronomici nelle valli bergamasche e piemontesi, tra baite e rifugi dolomitici. E allora eccolo postare foto in cui elogia i porcini della Valtellina, chiaramente “spettacolari”, o decantare la bontà della “crosta della polenta abbrustolita”, che come la fanno a Livigno, si sa, in nessun altro posto. “La dieta prosegue”, comunica scherzosamente ai suoi follower, mostrando altra polenta, stavolta con “salamella e formaggio fuso”, subito prima di passare ad altri, ben più bellicosi, annunci: per cui “in attesa di grigliare Renzi” si fa fotografare, cucchiaione di plastica in mano e petto nudo esposto al vento, nel bel mezzo di un'arrostata in giardino. E verrebbe da dire che il suo esibizionismo alimentare non è poi così diverso da quello che affligge milioni d'italiani, guardando le sue composizioni con “pomodorini dell'orto, origano, cipolla di Tropea (la Lega ormai è movimento nazionale, è noto, ndr) e peperoncino. Poca spesa, gran sapore”. Se non fosse che quella di Salvini non è solo fregola culinaria e ansia d'acchiappare cuoricini: la sua è militanza. “Solo cose buone italiane!”, scrive per accompagnare un piatto di “risotto coi funghi, pizzoccheri e finferli”. Mica come quell'incoerente di Donald Trump, che in campagna elettorale ripeteva a ogni pie' sospinto “America first” e poi però distribuiva gadget e merchandising made in China. Per Salvini, la lotta per il sovranismo alimentare è una cosa seria. E poi, con la calura agostana, le felpe personalizzate con il nome della località visitata sono improponibili, e quindi il localismo leghista, l'attaccamento al territorio da anti-Bolkenstein integralista va espresso così: con l'orgoglio del dop, del doc, dell'igp. E chissà che anche questa, come quella del vestiario coi toponimi, non sia una trovata di Luca Morisi, lo spin doctor di Salvini, il consulente della comunicazione e gestore delle pagine social del segretario del Carroccio: un tipo tanto riservato coi media tradizionali quanto narciso su Facebook e Twitter, dove rivendica soddisfatto la paternità delle varie iniziative comunicative del “Capitano” (è così che Morisi chiama, da tempo, Salvini).

 

 

Meno girovaga invece la Meloni. Lei i fautori del “glifosato” e del “latte in polvere” li affronta nella calma della sua cucina romana all'Ardeatino. Lo fa con pillole da 180 secondi. “Due minuti con Giorgia”, s'intitolano i video in cui lei, patriottica massaia, rende edotti gli aspiranti cuochi che la seguono sui social su come preparare “uno dei piatti più genuini, più straordinari della cucina mediterranea”. La caprese. Che con quel trionfo di mozzarella, pomodoro e basilico, è la migliore esaltazione del tricolore. Solo che “non sempre noi nella grande distribuzione troviamo il prodotto italiano”, così che siamo costretti a comprare il pomodoro spagnolo mentre gli agricoltori siciliani fanno la fame, ridotti come sono a lasciar marcire i loro pachino senza nemmeno raccoglierli: “Perché per 20 centesimi manco gli conviene”. Stessa cosa con la mozzarella, che Bruxelles vorrebbe costringerci a fare con le peggiori zozzerie sintetiche. Uno pensa alla caprese come a un piatto semplice e veloce da farsi quando va di fretta, senza porsi tante domande, e invece scopre che è con l'ansia dell'assedio, dei barbari alle porte dell'impero, che ci si dovrebbe accingere ad aprire il frigorifero. Unica consolazione, di fronte alla minaccia estera, il basilico. “Questo è quello mio”, garantisce sorridente “Giorgia”. E se si ha curiosità di scoprire dov'è che lo coltivi, il basilico, basta vedere l'altro video, gli altri “Due minuti”. La Meloni è in versione pollice verde, jeans e canotta ampia, seduta a gambe incrociate nel suo piccolo orto casalingo. E qui il mostro che incombe è il Ceta, che aprirà le nostre frontiere – già troppo trafficate, di questi tempi, secondo la leader di Fratelli d'Italia – ad agenti chimici potenzialmente cancerogeni con cui drogare il nostro grano. Che fare? La soluzione sarebbe banale. E la Meloni la invoca, e nel farlo appare quasi minacciosa, con quella paletta da giardino che brandisce in una mano: bisognerebbe, semplicemente, “difendere qui prodotti che c'abbiamo solo noi, al mondo. Li devi venire a prendere qua, se li vuoi”. Ecco. Coltivatori a casa nostra.

Di più su questi argomenti: