Beppe Grillo (foto LaPresse)

Come tracciare i confini del populismo referendario

Salvatore Merlo
La Brexit, ok. Ma la democrazia senza Parlamento come si può evitare? Grillo e gli altri – di Salvatore Merlo

Roma. Si esprimono come accesi da incontenibile ammirazione ed entusiasmo, ma più per lo strumento (la democrazia diretta) che per l’obbiettivo raggiunto (la Brexit). “C’è un’altra Europa, quella fatta dai cittadini che credono nella democrazia diretta”, ha scritto ieri il blog di Beppe Grillo, “con questo sistema il M5s ha già ottenuto risultati straordinari”. Dice allora Alessandro Di Battista: “Appena a un popolo è permesso di scegliere si vedono i risultati”. E Danilo Toninelli, deputato a cinque stelle: “Ha vinto la democrazia diretta, un trionfo”. E insomma se l’euroscettico Matteo Salvini, come i suoi colleghi francesi, austriaci, olandesi, come Geert Wilders e Marine Le Pen, come Nicholas Farage e Harald Vilimsky, si frega le mani perché crede d’essere ora sospinto dallo stesso vento della storia che ha portato la Gran Bretagna fuori dall’Unione europea, se insomma i lepenisti e gli xenofobi d’Europa interpretano il risultato del referendum inglese come una loro vittoria politica, un successo dell’eurofobia internazionale, al contrario il Movimento Cinque stelle esulta per il trionfo “di un sistema”, come spiega anche Giovanni Orsina, storico ed editorialista della Stampa, “un meccanismo che loro applicano in maniera quasi manichea e che si propongono di estendere a tutto il nostro paese, qualora arrivassero a governarlo, configurando quasi una sorta di ‘populismo referendario’”.

 

Il Movimento di Grillo teorizza infatti un sovvertimento della democrazia rappresentativa, “e si propone di contribuire ad abbatterla per sostituirla”, spiega Orsina, “con il continuo ricorso alle consultazione via internet, con un organizzazione di tipo roussoiano”, ovvero con la chiamata dei cittadini a esprimersi sui più disparati argomenti e non solo sulla selezione di una classe dirigente di intermediari, i parlamentari, che anzi nella visione più volte manifestata da Gianroberto Casaleggio devono scomparire. Diceva infatti il fondatore dell’M5s: “Si tratta di portare, spostare verso il cittadino il peso delle decisioni, della partecipazione e quindi sostituire l’attuale delega al Parlamento”. Niente parlamenti, dunque. Niente assemblee di eletti, niente intermediari… ma consultazioni via internet: “Penso sia necessaria una rivisitazione per migliorare la carta costituzionale”, scriveva ancora Casaleggio, “per andare ad accogliere queste istanze democratiche”. E dunque il Movimento contesta la riforma costituzionale di Renzi, la modifica del bicameralismo perfetto, ma nella sua bibbia viene esplicitamente espressa l’intenzione di modificare la Carta costituzionale in termini sostanziali. Da un modello di democrazia a un’altro (che non ha precedenti).

 

Ed ecco dunque spiegata la contraddizione che in queste ore ha portato prima Grillo a esprimersi un po’ furbescamente a favore dell’Europa, ma che poi ha spinto l’intero movimento cinque stelle ad esultare per il referendum inglese. Ma è davvero possibile una democrazia senza Parlamento? E quali sono i pericoli di un populismo referendario? “La democrazia diretta è ovviamente prevista da quasi tutti gli ordinamenti democratici occidentali, compreso il nostro”, dice Orsina. “Ma è ovunque limitata. In Italia non ci si può per esempio esprimere per abolire un trattato internazionale. E non si dichiara certo la guerra per referendum. Tuttavia credo che Casaleggio abbia dato una risposta perfetta alla crisi della rappresentanza e delle ideologie, anche se è una risposta sbagliata”. E qui il professore si spiega: “In un mondo de ideologizzato, dove i partiti perdono rappresentatività, dove l’intermediazione si fa difficoltosa e talvolta non funziona, i cinque stelle propongono un sistema che non ha un pensiero complessivo sul mondo e sulle cose, ma che divide tutto in singoli temi (per esempio: l’acqua pubblica, le trivelle, il nucleare, l’Europa), singoli argomenti sui quali poi i cittadini decidono: sì o no. I partiti, al contrario, offrono (o offrivano) un’interpretazione coerente del mondo e delle cose che si rispecchia (si rispecchiava?) in programmi articolati e omnicomprensivi”.

 


Giaroberto Casaleggio (foto LaPresse)


 

E insomma, quella di Casaleggio, all’incirca, in versione new-age e rimasticata, è la Volontà generale di Rousseau. “Esattamente”, dice Orsina. “Un’idea vecchia come il cucco. Solo che, come diceva il pensatore spagnolo Salvador De Madariaga, ‘asfaltar no es gubernar’: asfaltare non è governare’”, ovvero governare è faccenda di più ampia lena e di più largo respiro che esprimersi (sì/no) su singoli temi. Governare vuol dire indirizzare e sovrintendere, designa un esercizio del potere orientato nella direzione di una riforma la più vasta, profonda, partecipata possibile della società, un meccanismo che può ovviamente prevedere anche – anche – alcune forme di democrazia diretta. “Ed è per questo”, riprende Orsina, “che l’uso della democrazia diretta è dovunque limitato. Ed è per questo che l’abuso della democrazia diretta può essere persino molto pericoloso”. E si potrebbe allora spiegare come la Francia rivoluzionaria passò da Voltaire al boia di Parigi, dalla democrazia diretta di Rousseau (così si chiama anche la piattaforma internet da poco inaugurata da Davide Casaleggio) al sangue dei Giacobini. “Il modello roussoiano teorizzava che gli esseri umani fossero guidati dalla Ragione”, spiega il professore. “E che per questo potessero esercitare, con consapevolezza assennata, una forma diretta di democrazia.

 

Tuttavia i giacobini fecero un passaggio in più, un passaggio ovvio, se vogliamo, e un po’ fanatico: se tu non sei d’accordo con me vuol dire che non segui la Ragione. E se non segui la Ragione, allora devi essere ghigliottinato o rieducato” (e qui viene in mente un’inquietante assonanza con le parole pronunciate da Grillo subito dopo la vittoria di Virginia Raggi, proprio di fronte all’Hotel Forum di Roma: “Costringeremo i nostri avversari a diventare persone perbene”. Rieducazione?). Se le democrazie funzionano con il meccanismo della delega e se esistono i parlamenti, c’è dunque più d’una buona ragione. “La democrazia diretta presuppone una voglia di partecipare e una competenza che spesso i cittadini non hanno, e talvolta non vogliono (non possono) nemmeno avere. Per questo si delega a specialisti che hanno il dovere d’informarsi, di conoscere per deliberare. Mediamente quante persone si esprimono sul blog di Grillo?”. Nel caso della Raggi sono stati 1.764. “Ecco. Questo dà un’idea. Rousseau pensava ai cantoni svizzeri, alle piccole comunità. Il modello della democrazia diretta è la città stato greca. Applicato in forma fanatica, porta alla sciagura. E’ già successo”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.