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piccola posta

Medvedev evoca (ancora) l'atomica e l'occidente si chiede come potrebbe rispondere

Adriano Sofri

Dopo 17 mesi, non abbiamo idea di come rispondere alla minaccia nucleare. Forse è inevitabile. Forse è anche moralmente giusto: rifiutare di sapere e perfino di interrogarsi è un’obiezione di coscienza alla sola ipotesi che qualcuno evochi la distruzione totale

Domenica Dmitrij Medvedev ha ripetuto la minaccia nucleare, cui è stato delegato dall’inizio della guerra. Circostanziando. Se la controffensiva ucraina dovesse avere successo, la risposta della Federazione russa non potrebbe che essere, come da regolamento, il ricorso all’arma nucleare. E siccome Medvedev è un pagliaccio di corte, col titolo ufficiale di vicecapo del Consiglio di sicurezza russo, che si compiace di fare dell’umore nero, ha aggiunto che “i nostri nemici dovrebbero pregare per la riuscita dei nostri guerrieri. Essi stanno assicurando che un rogo nucleare globale non sia acceso”.

Riassumendo i 17 mesi e spiccioli: la Russia ha scatenato una guerra d’aggressione con la clausola che, se rischiasse di perderla, la tramuterebbe in una guerra nucleare globale. Perderla, dal momento che nel suo corso la Russia ha provveduto a dichiarare che quattro regioni ucraine, Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kherson sono “in eterno” territorio della madrepatria (anche le parti che non sono riuscite a occupare), significa perdere, in tutto o in parte, una o più di quelle regioni, per non dire della Crimea illegalmente annessa. Ora, è facile aspettarsi che si alzino, da noi, voci ammonitrici sul rischio sempre più ravvicinato di una precipitazione atomica del conflitto che non vede soluzione. Cioè, il crimine di evocare e anzi annunciare più dettagliatamente il ricorso alle armi nucleari diventa una ragione in più per auspicare o la resa o la sconfitta della resistenza ucraina. La battuta del pagliaccio Medvedev mutata in argomento dell’Europa “responsabile”: Putin è l’aggressore, sia pure, ma volete arrivare all’olocausto nucleare?

Fin dal 24 febbraio 2022, trascorso il primo sbigottimento, è stato chiaro che in Ucraina si sarebbe giocata (il verbo è quello che è) la partita del modo di reagire alla minaccia atomica. E’ stato chiaro che la Russia ne faceva un ostentato abuso, e che la quota di bluff era largamente prevalente. Ma non tanto da far escludere che a quell’estremo si potesse arrivare, tanto più che l’irrazionalità nei comportamenti umani e specialmente degli umani malati di potenza è la norma più che l’eccezione. E il bluff è la risorsa di chi alza la posta non avendo le carte con cui andare a vedere, mentre la Russia ha il più smisurato arsenale di atomiche del pianeta (comprese quelle estorte all’Ucraina in cambio di garanzie d’indipendenza bellamente truffate). Ora, mentre la nostra società civile vede moltiplicarsi le dichiarazioni di amore per la pace e di orrore per la guerra, e gli auspici se non gli ordini di svuotare gli arsenali e riempire i granai (a proposito!), con una sorprendente persuasione di avere attorno a sé propri simili innamorati dalla guerra e insofferenti della pace, da quel primo giorno bisognava chiedersi se e chi e come, avendone qualche capacità materiale – dalla quale pressoché l’intero genere umano è escluso – stesse disponendo misure che, anche oltre la deterrenza, corrispondessero alla catastrofica eventualità che i pagliacci alla Medvedev, e le corti minori come la Pyongyang appena visitata e applaudita da Shoigu, mentre l’ospite avvertiva di esser pronto a radere al suolo l’America, compissero la loro bravata.

Dopo 17 mesi, non ne abbiamo idea. Forse è inevitabile. Non riusciamo a contare nemmeno per la nostra infima parte nel limitare le emissioni di CO2, figurarsi sulla risposta nucleare. Forse è anche moralmente giusto: rifiutare di sapere e perfino di interrogarsi è un’obiezione di coscienza alla sola ipotesi che qualcuno evochi la distruzione nucleare. Ciò non toglie che qualcuno la evochi, e la evoca: un bullo, ne è pieno il mondo, ogni tanto qualcuno passa la linea. Poi si uccide, o più spesso “tenta invano di uccidersi”, e va a consegnarsi ai carabinieri e dice che non si ricorda.

L’arsenale nucleare è già ufficialmente in dotazione di 9 paesi, ed è alla portata di molte più tasche, di stati e di bande. Anche questa è la posta della guerra d’Ucraina, che ciascuno di noi vorrebbe veder finita, e salve le vite ancora da buttare nella carneficina, e riscattata l’umiliazione e la dignità di un popolo. Al Qaida, o l’Isis, per dirne una, o la narcomafia, erano finora stati territoriali o extraterritoriali cui mancava un’aviazione militare – la civile l’avevano avuta, a Manhattan e al Pentagono l’11 settembre. Il prossimo passo è la Bomba, o il suo equivalente chimico. Il prossimo passo è un Medvedev per tutti.

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