(foto Ansa)

Piccola posta

Lungomare di sangue. Ancora una volta, esplosioni a Odessa

Adriano Sofri

Finora cinque morti, e più di trenta feriti. Fiaccare la città, sognando di vederla stramazzare. Il modello è quello della corrida

Odessa, e specialmente il suo lungomare, che ci siate stati o no, perfino se ci siete nate, nati, non è tanto una città reale quanto un luogo della memoria, uno stato d’animo. Come quando si è in un posto deserto che fu glorioso, la piana di Maratona, o di Sibari. Forse oggi, fra i profani, la canzone più famosa su Odessa è quella dei Bee Gees, 1969, 7 minuti e mezzo, che dava il nome al doppio album, precisava fra parentesi (“City on the Black Sea”), e non c’entrava niente: era un naufrago della nave inglese Veronica in un mare glaciale 1899…

Ma Odessa è là, la sua scalinata, la sua Filarmonica, la sua Deribaskaya, solo qualche monumento stupidamente destituito, solo qualche tetto, qualche cupola, sventrata. Eppure, anche mentre la si guarda, la si immagina. O così mi sembra a volte. Ancora qualche ebreo odessita domenica ispezionava i banchetti di Starokonnyi, alla Moldavanka, o si radunava attorno alla nuova tomba di un amico morto, indiscretamente, di vecchiaia. Qualcuno però ha smesso di guardare i banchetti e le mercanzie distese per terra su un vecchio tappeto con gli occhi del compratore, e si sta interrogando con l’animo cupo di chi forse dovrà vendere, svendere, prima di andare via un’altra volta. Pochi giorni fa c’era una fotografia del cielo di Odessa: nemmeno un angolo di cielo, soltanto la nera nuvolaglia convulsa delle esplosioni, e sul suo sfondo un volo di pellicani, che sarebbe stato magnifico se il disordine non avesse mostrato il loro spavento di fuggiaschi.

Lunedì è stata di nuovo la volta del lungomare di Odessa. Ci sono state due enormi esplosioni, dapprincipio si è parlato di una sola, un missile. Il primo comunicato era ancora parziale: “Sono morti due uomini e un cane”. Così, non so se deliberatamente o frettolosamente. Sapete come sono amati a Odessa cani e gatti dagli animali umani. Forse aveva influito la nuova fotografia subito diffusa – sul lungomare di Odessa i fotografi sono tanti quanti i passanti – di cui la sovrimpressione avvertiva: “Contenuti forti o violenti… Le persone possono scegliere se vederla”. Ho scelto, naturalmente. La testa della giovane donna, i lunghi capelli rovesciati in avanti, a coprire in parte la testa del suo grande cane bianco, tramutata in una macchia rossa. Le mani insanguinate di lei a stringere la povera testa, lo zaino buttato via, una bottiglietta d’acqua posata per terra. La giovane donna ha indosso solo una canottierina e dei calzoncini, qui è la Trasa Sdarovia, la strada della salute, solo pedonale, che va a picco sul mare da Arkadia a Langeron a Fontanka. Era un giorno di estate anticipata, lunedì, un giorno da lungomare – benché tutti i giorni degli odessiti siano da lungomare, anche quando il mare e la sua spiaggia sono minati.

Dopo i comunicati hanno dovuto correggersi: i morti erano diventati quattro, poi un uomo è morto dopo il ricovero. Cinque morti, “finora” – occorre sempre cautela – e più di trenta feriti, parecchi gravi, alcuni gravissimi. Una è una bambina di quattro anni, l’intervento d’urgenza al cuore, è gravissima. Una scheggia ha forato lo schienale di un bambinello nel passeggino, a pochi centimetri dalla testa – “Quasi Eisenstein”, commenta Golubovskaya. E’ vivo un adolescente, Igor Nahaba, troppo giovane per la leva, che aveva appena concluso l’addestramento al pronto soccorso ed è stato ferito, ma è riuscito a salvare più persone, a fermare emorragie…

Qualcuno si chiede se la seconda esplosione sia stata provocata dall’intercettazione del razzo, che allora avrebbe mancato il suo percorso. Ma altri video mostrano l’oscena costellazione di esplosioni affiancate a grappolo. I missili erano due. Hanno colpito dove volevano: in mezzo alla gente. Colpire in mezzo alla gente è una specie di quintessenza dell’arte della guerra. Ora c’è una motivazione in più, come quando si picchia metodicamente nel punto in cui fa più male. Il punto in cui fa più male è il morale delle persone, e ora la fine strategia è nel fiaccarlo. Fiaccare Odessa, sognando di vederla stramazzare. Il modello è, ora che ci penso, la corrida. Chissà se quel bravo cane era maschio o femmina, e come si chiamava. Non so nemmeno tutti i nomi dei bambini e degli adulti del lungomare.

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