(foto Ansa)

Piccola Posta

L'Odessa del 6 marzo 2024 poteva essere la Sarajevo del 28 giugno 1914

Adriano Sofri

E' ora di aggiornare il trattato Nato. Ci siamo andati vicino, l'abbiamo scampata: bisognerà sbrigarsi a formulare un altro articolo che dia le indicazioni necessarie

Il Trattato dell’Atlantico del nord, Nato, risale al 1949 e contiene 14 articoli. Il quinto, ormai diventato familiare anche a noi pubblico comune, stabilisce che un attacco armato a una delle parti sia considerato come un attacco a tutte, che vi reagiranno in ogni modo necessario, compreso l’uso della forza armata. L’art. 6 specifica che cosa s’intenda per attacco armato. Ho riletto ieri il testo del Trattato, per constatare che non ha preso in conto l’eventualità che un capo di stato o un capo di governo di uno dei paesi contraenti – che sono appena diventati 32 – venga fatto fuori da un attacco armato di uno stato che sta conducendo una guerra d’aggressione, in qualche luogo del mondo, per esempio a Odessa la mattina del 6 marzo 2024. Siccome ci siamo andati vicino, e l’abbiamo scampata, bisognerà sbrigarsi a formulare un altro articolo, o un complemento, un 5 bis, che dia le indicazioni necessarie.

Se non fossimo spaventati, ci sarebbe da essere divertiti per le reazioni al missile di mercoledì a Odessa. Ne neutralizza più lo gnorri che l’antiaerea. Guardavo i telegiornali, la notizia veniva tardi, sempre molto dopo quel guazzabuglio di buontemponi che passa per dossieraggio, perfino quando il titolo suonava secco: “Un missile russo manca di poco Zelensky”. Stessa olimpica serenità sulla gran parte dei giornali del giorno dopo (tra le eccezioni il Corriere, che apre intitolando: “Zelensky sfugge alla morte”, e continua alle pagine 2 e 3). Del resto, anche autorità e media ucraini hanno curato di minimizzare, dopo una prima dichiarazione di Zelensky accanto all’ospite, il primo ministro greco Mitsotakis. Hanno assicurato che il missile, caduto secondo alcune fonti “a 150 metri”, secondo altre a mezzo chilometro, dal corteo di auto col presidente ucraino che stava per congiungersi con quello greco, e che ha ucciso “almeno” cinque persone e ha colpito il porto, non era mirato a Zelensky. Zelensky e Mitsotakis erano andati anche in visita al porto.

Dal lato ucraino, si può provare a capire. Non è incoraggiante ammettere che il tiro russo possa far fuori Zelensky quando vuole, che forse era quello che volevano dimostrare. Tanto meno nel corso di un evento internazionale a Odessa, che doveva essere segreto se non ai partecipanti e il loro seguito. Il sospetto di una doppia falla dunque, nella protezione di Zelensky, e nella impermeabilità della sua sicurezza. Le dichiarazioni ufficiali non hanno impedito ieri l’arresto di persone di Odessa sospettate di aver informato la punteria russa.
Anche dal lato degli alleati, si può provare a capire. C’è un incontro fra il premier greco e il presidente ucraino a Odessa, si svolgerà nel luogo in cui quattro giorni prima un drone russo ha sventrato un condominio e ucciso “almeno” 12 persone, cinque bambini. La Grecia, che vanta un passato odessita importante quanto e più che l’Italia, dall’antichità al suo risorgimento – l’Eteria degli Amici vi fu costituita nel 1814 – concorre con l’Italia alla ricostruzione della città, finora solo promessa da ambedue. Ed è la più interessata alla libertà dei commerci marittimi del Mar Nero. L’ultima tappa della visita è la cattedrale, ancora a cielo aperto per i missili di luglio. Se il missile russo è caduto troppo vicino ai due statisti e al loro seguito per una coincidenza non voluta, c’è da preoccuparsi, perché avrebbe potuto colpirli. Se è caduto troppo vicino per sbaglio, perché voleva colpirli, o il solo Zelensky, c’è da preoccuparsi perché sì. Se è caduto troppo vicino deliberatamente, così da intimidirli e mostrare di poter aggiustare il tiro in qualunque momento, c’è da preoccuparsi. Dunque c’è da preoccuparsi, e molto.

Torniamo all’incipit, all’articolo mancante del Trattato. Si potrebbe forse dedurre qualche indicazione dall’art. 4, che recita: “Le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata”. Integrità, indipendenza e sicurezza della Grecia sarebbero state minacciate o no dall’esplosione del suo primo ministro a Odessa? Non sto affatto scherzando, perché da mercoledì mattina i responsabili della Nato e della Ue e degli stati, anche quelli che fanno gli gnorri, hanno dovuto farsi quella paurosa domanda. Che oltretutto li riguarda da molto vicino, dal momento che le visite di capi dell’Onu, della Ue, di stato e di governo, ministri e altre autorità, hanno, dopo un inizio comprensibilmente prudente, moltiplicato le loro visite solidali all’Ucraina. Se un missile russo, o un drone russo-iraniano, di quelli col nome spiritoso, Shaeed, martire, ammazza Zelensky e il visitatore di turno capo di un paese membro, che cosa farà la Nato? Solo porsi la domanda mette in una più esatta luce l’episodio di Odessa. “Sfiorati dal missile”, dicono molti titoli su Zelensky e Mitsotakis. L’Odessa del 6 marzo ha in realtà sfiorato la trasformazione in una Sarajevo del 28 giugno 1914. Dopo quella Sarajevo, si poteva ancora frenare. Dopo Odessa e i due anni di guerra, sarebbe stato pressoché impossibile.

Non procederò nel figurarmi che cosa avrebbe potuto o dovuto succedere. Ho invece un’osservazione. Sul futuro della guerra d’Ucraina incombe la minaccia atomica. Prima di tutto perché la Russia di Putin ha presto violato la convenzione di non evocare la minaccia nucleare, e se ne è gingillata sempre più spensieratamente. Dalla nostra parte di mondo, i più allarmati e allarmanti rispetto alla minaccia atomica sono stati i pacifisti, qualunque accezione si dia al nome. La solidarietà mancata all’Ucraina – se non l’ostilità aperta – il rifiuto ad armarne la difesa, la generosa raccomandazione di arrendersi, si sono procurate dall’inizio la motivazione della necessità primaria di scongiurare una guerra nucleare. Si sarebbe detto, e a maggior ragione si direbbe ora, che una così appassionata messa in guardia e una così trepidante persuasione della possibilità e probabilità effettiva del conflitto nucleare dovesse condurre a interrogarsi sul che fare, una volta che gli scongiuri si mostrassero, il cielo (e soprattutto gli uomini) non voglia, impotenti. Che fare? Mi sono messo nei loro panni, e ho trovato, almeno questa volta, la risposta risolutrice: non andare mai più a visitare Odessa né Kyiv né qualunque località dell’Ucraina. Un giorno si potrà fare di nuovo, senza correre rischi né farli correre al mondo, basterà portare il passaporto all’ambasciata russa, e aspettare il visto.

Di più su questi argomenti: