(foto Ansa)

Piccola Posta

“Non si sa mai” è la premessa di ogni visione politica da non scordare

Adriano Sofri

Difesa europea e precedenti storici. Meglio non sottovalutare. L'appetito di Putin e l'invasamento utopico che rendono tutti gli scenari possibili

La sortita della Transnistria, gonfiata nell’allarme dei giorni precedenti perché tutto fa, corrisponde piuttosto alla concezione strategica che si può definire del “non si sa mai”. Non si sa mai che cosa può succedere. Il piano originario, occupare Kyiv e insediarvi un quisling, e dilagare oltre il Dnipro lungo la costa del Mar Nero ingoiando Odessa e riattaccando la striscia di Tiraspol (e, perché no? la Moldova) al territorio russo, fallì giusto due anni fa. Ma il mondo è imprevedibilmente cambiato e cambierà in modo altrettanto imprevedibile. Putin ha avuto il tempo di camuffare il suo smacco agli occhi dei suoi e di travestirlo poi nel progetto di fare della sua specializzazione militare la punta di lancia mercenaria del “resto del mondo” contro l’occidente. Sull’occidente incombono Trump e la diserzione universale e la “stanchezza” dei ceti medioalti – ieri alla suicida Radio3 uno dei disarmatori dell’Ucraina urlava al telefono che si era documentato e aveva appurato, “vivaddio!”, che in Ucraina “funziona ancora il campionato di calcio”, e lui dovrebbe mandarci i suoi figli a morire “per quelli che giocano a pallone!” Ho avuto una gran tenerezza per la giornalista che doveva rispondere, e per tutti noi. E incombe la santa barbara di sentimenti e polveri del medio oriente.

Dunque tutto è possibile. Lungo la striscia marinara che vuole passare per Odessa e arrivare dal Nistro, o addentrarsi a piedi, non si sa mai, a Tiraspol e poi a Chisinau, si apre lo sguardo su una sequenza di altre tappe promettenti. Dell’Ungheria non occorre dire, e del suo esemplare tenere il piede in due stivali. C’è la Repubblica serba di Bosnia, dove Milorad Dodik, il laudatore dei carnefici genocidi di Srebrenica, gioca da sempre al separatismo e si sbrigherebbe a farsi annettere alla madre russa. C’è la Serbia di Serbia, e poi il Montenegro per un terzo serbista (questo però membro della Nato e prossimo all’entrata nella Ue) pronti o disposti a stare da una parte o dall’altra, e intanto da tutte e due, perché non si sa mai. L’appetito di Putin e perfino una specie di invasamento utopico, dall’Adriatico agli Urali, diciamo, non sono del tutto irrealistici.

In Transnistria il migliaio e mezzo di militari russi in funzione di peacekeeping” – c’è dell’umorismo nelle tragedie – è secondo alcuni un’armata di anziani appesantiti dal disuso, secondo altri una succursale della Wagner, e comunque fa la guardia a un deposito di armi e munizioni capace di fare un gran botto. La richiesta di aiuto del congresso introvabile di Transnistria contro “il genocidio da parte di Chisinau” – cioè la riduzione di alcuni indebiti privilegi fiscali e doganali – e la dichiarazione modesta del ministero russo, “è fra le nostre priorità”, che non si nega a nessuno, ha questo significato sostanziale. E’ una bandierina, una caparra sul futuro, quando il mercato delle invasioni e delle annessioni dovesse farsi ancora più ghiotto. Al momento opportuno, la Russia di Putin, o chissà, del suo successore, non potrebbe che raccogliere il grido di dolore che gli armaioli di Transnistria, col passaporto russo in tasca, fecero pervenire. Non si sa mai. Non sono pazzi, né al Cremlino né a Tiraspol né a Banja Luka, né nelle cattedrali di Belgrado e di Podgorica. Pazzi sono gli europei democratici che non sanno riconoscere la premessa di ogni visione strategica della politica: non si sa mai. Nemmeno dopo che è successo. Il 23 febbraio 2022 ci fu una specie di unanimità nell’escludere che la Russia invadesse l’Ucraina. Molti non si accontentarono di escluderlo ma si compiacquero di deridere chi si mostrasse dubbioso e preoccupato. Bisognava almeno rispondere: non si sa mai. Ora si deride la questione della difesa europea: è bello sfottere chi prima di uscire di casa si attarda a prendere l’ombrello, quando il cielo era pieno di lampi e di tuoni, e dei primi goccioloni.

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