La cancellazione della cultura russa, ripudiata dal popolo ucraino, passa necessariamente per l'oblio della lingua di Tolstoj, radicata in un profondo bilinguismo.
Odessa, dal nostro inviato. Oggi ho comprato una splendida edizione rilegata delle “Dvenadtsat stulyev” (“Dodici sedie”, 1928) di Il’f e Petrov, la celebre coppia di scrittori di Odessa: pensate probabilmente di non conoscerli, ma avrete visto almeno uno dei tanti film che ne sono stati tratti, compresi Mel Brooks e Carlo Mazzacurati. Non leggo il russo e solo decifro il cirillico, ma un buon libro è sempre un affare. E mi chiedo che cosa succederà ora del mercato ucraino di libri in russo: una mecca, forse, per i veri affaristi. Sui social circolano notizie grottescamente forsennate sulla distruzione forzata di biblioteche e testi russi, e si procurano un’adesione così credula da lasciare increduli. Ma sulla cultura si gioca una partita che pesa quasi quanto quella sul campo di guerra, e che potrà essere decisiva per il mondo che ne verrà fuori. Alcuni giorni fa il Parlamento di Kyiv ha votato a larghissima maggioranza una legge che impone restrizioni drastiche su pubblicazione e importazione di libri in russo di autori successivi al 1991, e sull’uso pubblico di musica di autori russi dopo quella data.
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