Postilla triestina

Adriano Sofri

Ho guardato i telegiornali e i giornali. Che il 13 luglio fosse l’anniversario – un secolo – del rogo fascista del Narodni dom, era pressoché universalmente trascurato

Postilla triestina. Non c’ero, non ho impressioni dirette. Ho letto una cronaca puntuale di Marinella Salvi sul manifesto. In cambio ho guardato i telegiornali e i giornali. Che il 13 luglio fosse l’anniversario – un secolo – del rogo fascista del Narodni dom, era pressoché universalmente trascurato. La giornata è stata pressoché universalmente presentata come dedicata alle vittime italiane delle foibe. Tuttavia esiste in Italia dal 2004 un “Giorno del ricordo” dedicato alle vittime delle foibe e all’esodo di istriani, fiumani e dalmati, il 10 febbraio. Quella ricorrenza fu varata con molte opposizioni, in particolare quella che vedeva nella data un ambiguo contraltare al Giorno della Memoria della Shoah, celebrato in Italia dal 2000 e in tutto il mondo dal 2005, il 27 gennaio, il giorno dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz.

 

Si capisce che la trasformazione del 13 luglio in un ulteriore giorno delle foibe, deliberata o frutto di ignoranza e superficialità, sia apparsa a chi aspettava da un secolo la “restituzione”, materiale e morale, del patrimonio civile di cui il fascismo aveva brutalmente espropriato le minoranze slave, come una offesa. E questo non ha niente a che fare con la disputa sulle foibe, sulla natura politica o razzista della persecuzione degli italiani alla fine della guerra, sul numero delle vittime. Ho una postilla pedante, diciamo, alla postilla (la pedanteria è l’ultima speme, quando le condizioni sono diventate di colpo condizionalità: una resa senza condizionalità). Il presidente sloveno, l’ospite d’onore, si chiama Borut Pahor. Pahor è un cognome molto diffuso in Slovenia e in Italia. Si chiama così il celebre scrittore italiano Boris Pahor, quello che aveva sette anni quando vide la tragedia dell’Hotel Balkan nel 1920, e ha saputo aspettare cento anni per vederla ricordare dal presidente della sua Repubblica. L’accento va sulla prima sillaba e la h di Pahor non è muta, è aspirata e pronunciarla piena come in Pacor è meglio che non pronunciarla affatto. Mediamente, in tv e alle radio il 13 luglio il nome è stato pronunciato: Paòr. Un francesismo, o un venezianismo, come le sarde in saòr. Eppure la circostanza era solenne, e la Slovenia vicina, e Trieste ancora più vicina.

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