(foto Ansa)

Piccola posta

Effetti della riconciliazione, tra applausi e storia

Adriano Sofri

La commemorazione dei quattro antifascisti fucilati a Trieste ora può essere diversa

Domenica, come ogni anno il 6 settembre, si sono commemorati sul Carso di Basovizza i quattro giovani antifascisti triestini condannati a morte e fucilati nel 1930 dal Tribunale speciale per la difesa dello stato. I loro nomi: Ferdo Bidovec, Zvonimir Miloš, Franjo Marušic e Alojz Valencicč. Senza lo scorso 13 luglio, un simile svolgimento della giornata non sarebbe stato immaginabile. Il 13 luglio, a cento anni dall’incendio squadrista del Narodni Dom, la casa nazionale slovena e delle altre minoranze, i presidenti della repubblica italiana e slovena si incontrarono solennemente e sottoscrissero la restituzione simbolica dell’edificio alla comunità slovena. In preparazione di quella giornata furono proprio l’irriducibilità e la virulenza dei veti reciproci, incomprensibile a chi non conosca le ferite, gli accanimenti e le superstizioni di quel territorio di frontiere, a indurre i due capi di stato a un’agenda senza precedenti.

   

Per la prima volta il presidente sloveno, Borut Pahor, rese omaggio al memoriale della foiba cosiddetta di Basovizza, e per la prima volta il presidente italiano, Sergio Mattarella, rese omaggio al memoriale dei fucilati che gli sloveni chiamano “I quattro eroi di Basovizza”, e per una sentenza fascista erano “terroristi”. Lo fecero, i due presidenti, tenendosi per mano in ambedue i luoghi delle memorie contrapposte. Così, quello di domenica, a 90 anni dall’avvenimento, era un anniversario diverso. Il modo della partecipazione è stato limitato naturalmente dalle regole della pandemia, rispettate rigorosamente dalle mille persone convenute dai due lati del confine. Ma, in un’altra prima volta, il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, è intervenuto e ha nitidamente respinto la definizione dei Quattro come terroristi: le sue parole sono state ripetutamente applaudite, lasciando misurare insieme il paradosso della durata di contrapposizioni e tabù e l’impegno al suo scioglimento. E promettendo oltretutto di chiudere la questione tutt’altro che formale della sentenza, evocata appassionatamente dalla nipote di Ferdo Bidovec, Marija, e dall’avvocato Peter Mocčnik. A differenza che per il “Secondo processo di Trieste” del Tribunale speciale, tenuto nel 1941 e concluso con cinque condanne a morte, la cui sentenza è stata cancellata dalla Repubblica italiana quasi mezzo secolo fa, il processo del 1930 non ha ancora ricevuto una revisione ufficiale, che è ormai una vistosa contraddizione.

   

    

   

Sono intervenuti, dopo gli storici come Štefan ČČCok, il presidente del parlamento sloveno, Igor Zorcčicč, che ha tenuto un discorso impegnato sul contesto europeo del riconoscimento reciproco di antichi nemici, la signora ministro per gli sloveni all’estero Helena Jaklitsch, l’ambasciatore sloveno a Roma Tomaž Kunstelj, sindaci ed esponenti di società culturali. La scrittrice e rappresentante slovena nel Senato italiano Tatjana Rojc ha tenuto la commemorazione nella messa serale, celebrata dall’arcivescovo di Lubiana Stanislav Zore. Lo storico Milan Pahor, che ha dedicato la vita alla memoria di quei militanti, ha presentato il suo atteso libro sulla “Borba” (Lotta), l’associazione segreta che avevano costituito, affiliata alla più matura organizzazione clandestina Tigr (Trieste, Istria, Gorizia e Rijeka-Fiume) ma, documenta Pahor, fervidamente attaccata a una sua caratterizzazione triestina.

Di più su questi argomenti: