Il Narodni dom, che sarà restitutio alla comunità slovena di Trieste

Il 13 luglio non sarà affare triestino o “giuliano” o italo-sloveno. Riguarderà tutti

Adriano Sofri

Alla fine l’incontro a Trieste fra il presidente sloveno, Borut Pahor, e quello italiano, Sergio Mattarella, ci sarà e seguirà un itinerario che non era mai stato così aperto

La conferma ufficiale è venuta: l’incontro a Trieste fra il presidente sloveno, Borut Pahor, e quello italiano, Sergio Mattarella, avverrà il prossimo 13 luglio e seguirà un itinerario che non era mai stato così aperto. I due presidenti saranno a Basovizza/Basovica e renderanno omaggio sia al monumento ai “Quattro Martiri” triestini sloveni, militanti della “Borba”, la filiazione triestina del Tigr, fucilati nel settembre del 1930 per la sentenza del Tribunale speciale fascista, sia al monumento alle vittime della Foiba del 1945. Poi visiteranno in città il Narodni dom, a cento anni dal rogo fascista del palazzo. Infine, nella prefettura, in piazza Unità, firmeranno il protocollo di restituzione del Narodni dom alla comunità slovena. 

 

 

Il groviglio triestino di memorie storiche rivali fa coincidere, quest’anno, i cent’anni dall’assedio e dall’incendio squadrista del Narodni, la casa nazionale slovena e delle altre minoranze, coi novant’anni dalla fucilazione degli irredentisti antifascisti Ferdo Bidovec, Zvonimir Miloš, Fran Marušicč e Aloyz Valencicč, e con la commemorazione annuale delle vittime delle foibe. A complicare l’agenda, sia il poligono della fucilazione del 1930, sia la foiba divenuta, attraverso roventi controversie, la più simbolica, si trovano a Basovica/Basovizza, il piccolo centro del Carso sopra la città. Il presidente sloveno aveva chiesto che la visita comprendesse ambedue i monumenti, e il presidente italiano ha aderito. E’ un passo tanto più prezioso in un tempo di chiusure europee rivendicate e ostentate. Per i cittadini italiani, è un’occasione per conoscere o ricordare che il comportamento dello stato italiano, già prima del ’22 e poi fanaticamente col regime fascista, si ispirò, nei territori acquisiti dopo la Prima Guerra mondiale e abitati largamente da popolazioni chiamate “allogene”, a metodi da occupazione coloniale e a sentimenti compiaciuti di disprezzo razzista. Il cosiddetto “fascismo di confine” è l’ostacolo più insuperabile, benché certo non il solo, alla versione ostinata sui due fascismi, quello “buono” e quello “degli errori”, prima e dopo il completamento dell’occupazione della Libia e l’aggressione del 1935 all’Etiopia, o addirittura le leggi razziste del 1938 e l’ingresso in guerra del 1940. Ci saranno nei prossimi giorni accanimenti rinfocolati, ma potrà esserci, al contrario, una migliore comprensione e amicizia. Non la “memoria condivisa”, che non è di questo mondo: ma una reciproca leale conoscenza e riconoscenza. Proprio come avviene nelle traduzioni, che non si illudono di rendere intero l’originale, ma ne permettono la conoscenza alle altre lingue, e spingono alla simpatia e alla buona volontà. Dunque il 13 luglio non sarà affare triestino o “giuliano” o italo-sloveno, ma riguarderà tutti, per il passato e per il presente.