Gabriele D'Annunzio

La statua di D'Annunzio a Trieste? Nel luogo e nel momento sbagliato

Adriano Sofri

La polemica sul monumento a Piazza della Borsa nel centenario di Fiume

C’è Trieste e poi ci sono i triestini, ciascuno dei quali la considera sua e lo scrive sui muri, ciascuno nella propria lingua. Qui si diventa matti, ognuno si inventa qualcosa di cui essere nostalgico, mi ha detto ieri uno studioso risorgimentale. Bisognerebbe depurare la nostalgia di ogni contenuto e lasciarla così, fine a se stessa, e dichiararne Trieste capitale internazionale. Ora si litiga per una statua a D’Annunzio, favorevole la destra, contraria l’opposizione.

 

Claudio Magris, misuratamente favorevole (tipo: perché no? peggio per lui), ha scritto un istruttivo ritratto del detestabile poeta e soprattutto l’ha chiuso con uno squisito ricordo di famiglia: il ristorante fiumano dei nonni della sua prima moglie, dove il vate e i suoi legionari mangiavano a credito, e contribuirono a farlo fallire, saldando con una fotografia firmata e una patacca. E senza perdere la considerazione dei falliti. Un po’ così il rapporto fra D’Annunzio e l’Italia, che lui ritenne debitrice.

 

Siccome avere un parere non costa, dirò due obiezioni minori alla statua, una spaziale e una temporale. La prima, perché vogliono collocarla in piazza della Borsa, siamo sempre agli affari. Piazza della Borsa è il salotto adiacente alla magnificenza marina di Piazza Unità, e già se ne fa un uso piuttosto licenzioso: la Casa Bartoli di Max Fabiani, la “casa verde”, giusto di fronte alla neoclassica vecchia Borsa, copre tutto il primo piano con un madornale “WELCOME TO THE FREE TERRITORY OF TRIESTE”, cui sottostà all’ammezzato l’invito a Stati Uniti e Regno Unito a tornare: COME BACK, che in tempi di isolazionismo americano e Brexit può avere un’involontaria ironia. Roba di un qualche Movimento di liberazione. Morale: lo metterei un po’ più in là, D’Annunzio, magari dalle parti del viale che gli s’intitola. Trieste ha statue di scrittori notevoli, loro e le statue, per il riserbo: Saba, Svevo, si capisce che sono lì controvoglia, e anche Joyce, nonostante i pantaloni stropicciati, forse per il vento di Ponte Rosso, ha una gran sobrietà. Andrebbe bene a Trieste anche Sciascia, che sta su un marciapiede di Racalmuto quasi scusandosene.

 

Quanto al tempo, il legame col centenario dell’impresa di Fiume, settembre 1919, riduce drasticamente la motivazione poetica dell’iniziativa. Poco dopo, a luglio del 2020, sarà il centenario dell’incendio del Narodni Dom, la Casa della Cultura slovena di Trieste, data alle fiamme dagli squadristi del caporione Giunta. Anche quello era un edificio disegnato da Max Fabiani per l’Hotel Balkan, oggi ricostruito e adibito a facoltà di Lingue per interpreti e traduttori, con un po’ di spazio laterale assegnato a libri e giochi d’infanzia della comunità slovena. La quale chiede da sempre la restituzione del palazzo, il monumento simbolicamente decisivo della loro storia di minoranza, come sa chi abbia letto Boris Pahor, che da quella scena infantile in Piazza Oberdan fa partire la propria vocazione. Le autorità italiane, anche i vigenti leghisti, non fanno che assicurare ai colleghi sloveni che la restituzione avverrà: un po’ di pazienza. Il ministro sloveno Cerar l’ha appena ripetuto al collega Moavero mercoledì al vertice triestino dei 17 paesi dell’Iniziativa Centro Europea. Cento anni sono una cifra adeguata alla pazienza di un bue. Io darei due o tre statue di D’Annunzio in cambio del Narodni Dom ai suoi legittimi proprietari. Dico per dire, naturalmente. Sono contro il voto di scambio.

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