(Foto LaPresse)

La maledizione del numero nove

Adriano Sofri

Forse, sulla scia del 1949 e del 1989, con quel fucilato in fin di vita Hong Kong ha trovato la figura solitaria di cui le rivoluzioni hanno bisogno per ricordarsi ed essere ricordate

Si può chiamare rivoluzione una ribellione popolare che si propone di salvare la propria libertà e il proprio modo di vita insidiato da un gigantesco potere insofferente di diversità e di libertà? La rivoluzione di Hong Kong è stata eccitata da una ottusa provocazione burocratica, e poi è diventata preventiva e universale e si è insinuata dentro una provvisoria terra di nessuno, in attesa della celebrazione dei 70 anni della Repubblica Popolare cinese. La celebrazione di una epica rivoluzione imbalsamata – c’era una fotografia panoramica del palco ieri, ho contato 28 uomini, 29 col faccione di Mao, e un viso di donna che sbucava in seconda fila – ha manescamente sopportato che una rivoluzione viva e giovane le avvenisse dentro. Una specie di maledizione del numero 9 si è ritorta contro il ricordo del 1949, il 1989 di Tiananmen e il 2019 di Hong Kong. Quest’ultimo, ieri, 1° ottobre, ha dispiegato ogni sua forza per sfidare lo spettacolo colossale di Pechino, in un sentimento da ultima ora. Un episodio che non peserebbe nemmeno come un battito d’ali di farfalla sulla scala della quotidiana repressione di ogni disobbedienza attraverso il pianeta, un manifestante contro il quale un poliziotto ha sparato quasi a bruciapelo un colpo d’arma da fuoco, è diventato la notizia fatidica di Hong Kong. Quel poliziotto ha sparato mentre a Pechino sfilava ancora la gran parata: una fretta, un eccesso di zelo, come di chi tradito dall’entusiasmo faccia saltare il tappo dello champagne due minuti prima della mezzanotte. Forse, con quel fucilato in fin di vita, Hong Kong ha trovato la figura solitaria di cui le rivoluzioni dei grandi numeri hanno bisogno per ricordarsi ed essere ricordate, come il giovane uomo che ballava coi carri armati. Forse, il Partito Comunista Cinese dichiarerà oggi che la festa è finita. Il mondo è pronto a capire.

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