Pier Luigi Bersani (Foto LaPresse)

L'ascesa di Bersani

Adriano Sofri

Se solo fosse un po’ più donna sarebbe un ideale presidente della Repubblica. Mai dire mai 

Pier Luigi Bersani è avviato a diventare, con pieno merito, il più amato dagli italiani. Nel 2013 Giorgio Napolitano volle ostinatamente negargli la possibilità di cimentarsi con un suo governo: nessuno può dire come gli sarebbe andata, tutti sappiamo com’è andata. Da allora, Bersani ha attraversato una progressiva transustanziazione, uscendo dai panni stretti del dirigente politico per quelli di gran saggio. Il passaggio cruciale della trasformazione fu l’uscita dal Partito Democratico, quello che aveva tenacemente rivendicato come casa sua. La mucca si era ingrossata fino a ingombrare l’intero corridoio, lui la additava ansiosamente come Cassandra additava il cavallo, e altrettanto invano, ed ecco che, improvvisamente dimentico della storia e delle sue lezioni – del 1921, per esempio, si parva – se ne uscì dal partito in prossimità di elezioni. Col calcolo, infondatissimo, di recuperare così voti e fiducia di chi ne aveva avuto abbastanza. Dopo quel disastro, non ha fatto che migliorare.

 

Si è rasserenato del vecchio risentimento per lo streaming coi 5 stelle al culmine del delirio e per la misconoscenza di Napolitano, trova nelle rocambolesche vicende di oggi un postumo riconoscimento delle sue ragioni, vede addirittura le sue metafore incarnarsi, come nel grosso toro scozzese tirato per la cavezza da un Boris Johnson che ne uscirà, si spera, incornato. Floris gli chiede retoricamente chi gli ricorda l’arroganza che ha tradito Salvini, per fargli dire: Renzi, e lui dice: Boris Johnson. E di Renzi dice che bisogna che ciascuno vada dove lo porta il cuore. Se solo fosse un po’ più donna, Bersani sarebbe un ideale presidente della Repubblica. Mai dire mai, comunque.