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Variazioni Kafka

Annalena Benini

Lampioni o tranvia elettrica? Adriano Sofri si allea con le Metamorfosi, per una correzione in cerca di luce

Mia sorella si mise a parlare della rappresentazione o meglio io le feci le domande perché, anche se vado molto di rado al cinematografo, so per lo più a memoria quasi tutti i programmi settimanali di tutti i cinematografi. La mia distrazione, il mio bisogno di divertimenti si sazia, davanti ai manifesti, del mio solito intimo disagio; davanti ai manifesti il senso dell’eternamente provvisorio si placa: ogni qualvolta ritornavo in città dalla villeggiatura che infine era sempre insoddisfacente, ero avido di manifesti e dal tram col quale mi recavo a casa, leggevo di volo, con fatica, a frammenti i manifesti davanti ai quali passavamo. 

 

Franz Kafka, lettera a Felice Bauer, 13-14 marzo 1913, da “Una variazione di Kafka”, di Adriano Sofri (Sellerio)

 

Ho riletto da poco La metamorfosi, emozionandomi molto più della prima volta, perché a vent’anni si trova fantastico che un uomo si svegli un mattino trasformato in scarafaggio e susciti l’orrore di sua madre, che lo amava tanto, e del padre, che gli tira una mela sulla schiena, ma poi la vita ti stringe e l’accettazione mite di un destino feroce è struggente, ed è tutto quello che è un uomo. L’indagine avventurosa di Adriano Sofri su una parola sbagliata, o modificata, sulla variante di traduzione, all’inizio della seconda parte della Metamorfosi, è così accurata e viva, così comprensiva di tutto quello che è un uomo, e del suo bisogno di sollievo, che il cambiamento di due sillabe è diventato importante non solo per scoprire che il grandissimo Jorge Luis Borges si era lasciato attribuire una traduzione che non aveva fatto, e che aveva sempre cercato di deviare le risposte alle domande sulla Metamorfosi, fino ad ammettere che no, quel racconto non l’aveva tradotto lui: potrebbe bastare per rendere interessantissima la scoperta e la ricerca sui lampioni scambiati con la luce del tram elettrico, ma in questa storia c’è molto di più.

 

Le parole sono, appunto, “i lampioni elettrici”, sostituiti da “la tranvia elettrica”. “I riflessi lividi della tranvia elettrica chiazzavano qua e là il soffitto e le parti superiori dei mobili, ma in basso, dov’era Gregorio, faceva buio”. Gregorio è adesso uno scarafaggio, uno scarabeo stercorario per l’esattezza (Vladimir Nabokov bocciava gli studenti che non sapessero di che insetto si trattava, e pretendeva anche la planimetria a memoria dell’appartamento di Gregor). Perché il suo primo traduttore in assoluto (non Borges, ma una donna spagnola, Margarita Nelken, dalla vita avventurosa e sfortunata, non particolarmente impressionata da Kafka) e poi molti successivi traduttori avrebbero dovuto scambiare gli elektrischen Straßenlampen con le luci del tram elettrico? Adriano Sofri, dentro questa luce, ha cercato altra luce. Con Google, di cui va pazzo, con i filologi, con Praga, con il tram e l’imbocco della Niklasstrasse doveva viveva, al quarto piano, Franz Kafka, con i Diari e le lettere di Kafka, e anche con le lettere di Felice B. che gli scriveva dal tram. “Io, l’avrete capito, trovo che il bagliore mobile di un tram che passa sia più pregevole della – nient’affatto spregevole del resto – luce ferma dei lampioni”, scrive Sofri. E quindi ecco: la variazione di Kafka. Una riscrittura possibile della sua Metamorfosi, del racconto più bello del Novecento. Non ci sono prove scritte, ma che importa? Ci sono così tanti indizi e contaminazioni personali (anche l’idea di un omaggio a Felice, che saltava sul tram, si chinava sul foglio e gli scriveva una lettera), e c’è soprattutto quella possibilità di movimento, testimoniata, proiettata, appoggiata sul soffitto dalla luce di un tram che passa: che a vederla, per chi è chiuso dentro, deve sembrare una magnifica luce, una luce più bella. Solo due lettere separano, in tedesco, la luce dei lampioni dalla luce del tram, e dentro due lettere noi ci emozioniamo per la storia di un grande scrittore, e per quella degli esseri umani.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.