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Lettere rubate

Vengono i brividi mentre si ride, in "James Brown si metteva i bigodini"

Annalena Benini

Grazie a Yasmina Reza per queste pagine sull’amore e sull’abisso. Nessun giudizio, ma storia e dialoghi

Io non vado piano, signor Hutner. Il punto non è la lentezza. Il punto è un altro. Io non freno, capisce?
Guido in modo da non dovere frenare. Frenare significa capitolare.

Yasmina Reza, “James Brown si metteva i bigodini” (Adelphi)
 

Chi ha visto James Brown si metteva i bigodini al Grand Théatre di Parigi, diretto da Yasmina Reza stessa, ha detto che è splendido e spaventoso, e che fa anche paura. A teatro ci sono i personaggi in scena, non serve immaginare, a teatro ci sono altre persone sedute accanto  che ridono, sobbalzano, ammutoliscono. Leggere è diverso, è un atto solitario, sono parole in fila  su carta (o dove vi pare), eppure Yasmina Reza in questa pièce riesce a far ridere e sobbalzare, riesce a straziare anche senza attori con l’hula hoop in mano.

E c’è più umanità (storta, sofferente, civilissima) in queste cento pagine che in molti libri esplicitamente “umani” e “sofferenti”. Come ha scritto Marco Archetti tre giorni fa su questo giornale, non si può ridurre la letteratura di Yasmina Reza al giudizio personale di Yasmina Reza sul cortile del mondo. Non c’è giudizio, c’è storia, ci sono dialoghi, ci sono i genitori di un ragazzo convinto di essere Céline Dion (è ricoverato in una costosa clinica psichiatrica dove pensa di stare riposando la voce e il corpo in attesa di una lunga tournéè). Sì, è lo stesso Céline Dion di Felici i felici, con i genitori affiatati e disperati che portano le gelatine di frutta in regalo alla psichiatra e si interrogano su come porgergliele senza risultare offensivi. Ogni giorno vanno a trovare Jacob, che parla con un leggero accento del Québec e ha sempre una sciarpa intorno al collo, ogni giorno resistono alla rassegnazione di chiamarlo anche loro Céline e cercano (la madre, almeno, cerca) i lati positivi: l’affaccio sul parco, la natura, e la grande notizia che il loro “cucciolotto” si è fatto un amico, un compagno di strada che ha un grosso problema con la sua identità nera (ma è un ragazzo bianco). I genitori non si fidano della psichiatra, che sfreccia per la struttura in monopattino e che non ha alcun problema ad assecondare Jacob trattandolo come se fosse davvero Céline Dion. Chi è impazzito? Chi è sano? Come si fa a non impazzire? Vengono i brividi mentre si ride, si ride mentre si va incontro all’abisso, quindi è un po’ come vivere. Non importa quale ossessione ci abiti, importa la serietà e la bellezza con cui la mettiamo in scena. I bigodini di Céline, le scarpe  di Philippe, il tormento di un padre che molti anni prima non è riuscito a chiedere due sdraio in piscina. L’eroico sforzo d’amore di mostrarsi allegri.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.