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I colpevoli

Michele Neri

Perché tra lei e me hai scelto lei? La domanda rabbiosa, infinita e correa di un uomo a suo padre

Chi sono I colpevoli (titolo della nuova dolente e schietta cronaca autobiografica di Andrea Pomella, già autore dell’Uomo che trema, entrambi pubblicati da Einaudi)? Sul primo non ci sono dubbi, l’autore lo smaschera all’inizio del libro: il colpevole è suo padre, che lasciò la famiglia per un’altra donna quando il figlio aveva sette anni. E’ una cosa che succede; non è comune la reazione del figlio che, con quattro parole –“Non voglio più vederti”– sigillate in una lettera consegnata al padre, lo condanna all’estinzione, rinnegandolo “come padre, come radice, come principio di vita”. E non per un breve periodo: si rifiuterà d’incontrarlo o parlargli per i trentasette anni che trascorrono in un gelido vuoto stratosferico fino al presente della narrazione, quando il narratore ha ormai 44 anni e il padre, che, a differenza dell’ex moglie si è costruito una vita, ne ha 68.

 

E’ la stagione di un rapporto rinnovato, in cui il padre occupa uno spazio piccolo ma garantito – telefonate, cene, auguri, regali, attenzioni – nella famiglia del figlio, che si è intanto sposato e a sua volta ha avuto un figlio. Mesi in cui il silenzio non fa più paura e in cui, con l’eccezione della compagna del padre (la stessa che causò l’abbandono e che resterà off limits), il figlio scoprirà ciò che ha sempre e affannosamente cercato d’immaginare: chi era, come viveva, che cosa piacesse a quella persona che tanti anni prima aveva fatto una scelta, riassunta in un rapido dialogo che è la colonna sonora di molte separazioni: “Perché tra me e lei scegli lei? Quando sarai grande capirai”. Ma al figlio non sono bastati trentasette anni di vuoto, di ruminazione, per comprendere le ragioni di quella preferenza.

 

Così come, pur nella quiete ritrovata nella seconda, preziosa possibilità d’imbastire un rapporto fondamentale, nella scoperta confortante di affinità e distinguo più forti del grande buco temporale, il figlio non riesce a raggiungere la vera pace. Rivedersi e parlarsi non giustifica il perché dell’impazzimento della propria vita, la tristezza, quella rabbia, il perdurante senso d’inadeguatezza. Per riuscirci, entrare così nella vita adulta e smettere di essere l’eterno bambino accusatorio o pieno di sensi di colpa, dovrà a sua volta credersi colpevole.

 

“Noi siamo correi (...) ho appreso la lingua dei colpevoli e ho attraversato la terra dei traditori”. Sarà l’amore clandestino per una donna a far collimare meglio i bordi sfumati e sfuggenti della loro relazione; sarà la spietatezza con cui il figlio analizzerà la propria scelta di tradire, l’irresolutezza di fronte ai due suoi amori ad avvicinarlo al padre. E quando riuscirà a dichiararsi colpevole, estrarrà dal passato anche il grave delitto paterno, l’evento che, annichilendo la fiducia, lo portò, ancora bambino, a siglare il penoso e poi sempre rinnovato contratto con la cancellazione del padre.

 

C’è tutto ciò che si può aspettare dalla storia di un tradimento tra generazioni. Le parole pietà, rancore, risentimento, maledizione, sconfitta: ognuna è spolpata fino all’osso da chi ha dedicato decenni a trasformarle in qualcosa di duro, pesante, raramente salvifico, in una condanna, per il padre e per sé. E c’è di più e meglio espresso in ciò che l’autore non nomina ma fa emergere attraverso le domande senza risposta e l’acquiescenza priva di festa, quasi infelice con cui accoglie il grande ritorno. E’ l’incertezza che domina ogni esistenza e nella quale ogni relazione deve apprendere a specchiarsi. Quella terra futura, vaga e ossessionante e che nulla se non la volontà di superarsi, abbandonare il bisogno di confronti, di perdonare e perdonarsi, permette di affrontare con sufficiente desiderio e maturità di viverla. Benché sia il racconto di una riconciliazione, è una testimonianza del fallimento non più colpevole, perché è l’esito involontario di ogni aspirazione a una giustizia o verità assoluta, all’innocenza o a un altrui pentimento, tali da sanare la propria sofferenza. Pomella ama la buona musica. Qui rievoca il tragico destino di due cantanti, padre e figlio: Tim e Jeff Buckley. Anni Luce (ADD editore) era dedicato agli amati compagni di gioventù, i Pearl Jam. La colonna sonora de I colpevoli potrebbe essere una canzone folk di Kath Bloom, interpretata con genio da Bill Callahan: The Breeze/My Baby Cries. Tre righe. Traduco come posso: “Ieri ho parlato con mio padre/Mi ha detto che non vinceremo mai/E’ così difficile dire dove finisca io e inizi mio padre”.

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