Foto di Roberto Monaldo, via LaPresse 

Il bi e il ba

Consigli non richiesti a Schlein, per sottrarsi alla supercazzola dell'intersezionalità

Guido Vitiello

Il rischio è di dover assistere, anche in Italia, a una stanca replica delle guerre culturali americane. Ma alla fine anche negli Stati Uniti si sono rotti. La segretaria dovrebbe invece guardere avanti, un po' meno woke, e tornare all'universalismo. Con due libri pensati per lei

E ora, fiato al mansplaining! Già, perché la vittoria di Elly Schlein ha scatenato quella che ai miei orecchi di sempliciotto era sembrata la consueta valanga di commenti, moniti, allarmi, consigli non richiesti che accompagnano l’elezione di qualunque leader di un grande partito, ma era invece – l’ho appreso dal femsplaining di una femminista veterana – un’ondata di saccenteria di piccoli patriarchi in preda al panico.

 

Io ragioni di impanicarmi non ne ho – ho votato tutta la vita un partito, quello radicale, che aveva una donna per segretario già mezzo secolo fa – ma dalle prime avvisaglie ho fondatissimi motivi di sbadiglio. Temo infatti di dover assistere a una stracca differita transoceanica delle guerre culturali americane, con Meloni nella parte di Ron DeSantis e Schlein in quella di AOC o di chissà chi altra. Neanche una settimana è passata dalle primarie del Pd e già ne ho le scatole piene, sia di quelli che predicano l’intersezionalità come fosse l’orizzonte della sinistra futura sia di quegli altri che sono intellettualmente così pigri da non saper dire altro, se ascoltano una parola dal suono un po’ ostico, che è una “supercazzola”.

 

Lo conosco a memoria, il copione. E anche negli Stati Uniti, dopo anni di duelli all’ultimo tweet, si stanno stufando di questo gioco delle parti. Io dico che potremmo approfittare di questo jet lag culturale che ci rende sfasati rispetto all’America per accelerare la traversata e ritrovarci il prima possibile dall’altra parte del guado. Lì Elly Schlein, sbrigate le molte incombenze organizzative da neo segretaria, troverà ad attenderla due libri, annunciati entrambi da Polity Books per la fine di marzo. Il primo, scritto dalla filosofa Susan Neiman – che non si accontenta dell’etichetta liberal: si proclama fieramente socialista – è Left is not Woke (ma, dice lei, avrebbe potuto chiamarsi ugualmente Woke is not Left).

 

È un’esortazione a venir fuori dal vicolaccio in cui la sinistra si è infilata quando ha voltato le spalle alle idee illuministiche che l’avevano bene o male guidata per due secoli; su tutte l’universalismo, che è agli antipodi del tribalismo identitario. Il wokeism non è neppure un vicolo cieco, perché un’uscita ce l’ha; solo che, dopo aver dato ai militanti l’illusione di marciare nella direzione giusta, sbuca direttamente a destra. Il secondo libro s’intitola Cancelled: The Left Way Back from Woke ed è opera di uno studioso del nazionalismo, il turco Umut Özkirimli, lui pure saldamente piantato nel campo progressista.

 

Özkirimli è preoccupato dalla spirale reazionaria e autolesionistica innescata dalle guerre culturali, e dalle simmetrie sempre più vistose tra il populismo di destra e la identity politics radicale (del resto, lo sappiamo da René Girard, una rivalità prolungata e parossistica porta i contendenti a somigliarsi fin quasi all’indistinzione). “Non potevo rinnegare gli ideali che ho coltivato per tutta la vita e collaborare con quelli che erano determinati a sradicarli”, scrive Özkirimli, “così ho dovuto optare per l’opzione più impegnativa: trovare una via d’uscita dalla tana del coniglio e salvare la sinistra dalla sinistra woke”. E questa way back passa ancora, immancabilmente, per il recupero dell’universalismo. In effetti, dopo anni di letture e di colloqui con chi ne sa di più, ancora non riesco a vedere cosa offrirebbe l’intersezionalità che non si possa ottenere assai meglio nel quadro del vecchio universalismo. 

 

Riesco a vedere in compenso il ginepraio in cui ci si caccia quando a una nozione dal blando valore descrittivo e dalle applicazioni circoscritte com’è l’intersezionalità si affidano due compiti impropri ed esorbitanti: fornire uno schema generale del funzionamento del potere, dell’oppressione e del privilegio a un livello macrosociale (con risultati teorici che stanno tra l’aleatorio e il cospiratorio) e coordinare, sul piano della prassi, i diversi attivismi in un soggetto collettivo (con esiti che ricordano se va bene la loya jirga, il consiglio afghano dei capi tribali).

 

Il mio consiglio non richiesto di mansplainer a Elly Schlein è questo: mentre a destra si divertono a farsi spiegare l’intersezionalità dal Conte Mascetti e a sinistra giocano a incastrare i pezzi di questo buffo Meccano intellettuale dove il patriarcato si combina al capitalismo che si avvita al razzismo che è imbullonato all’eterocisnormatività, la nuova segretaria si porti avanti con il lavoro e guardi oltre. Se ha tempo, dedichi un pensiero alla storia di quel partitino che dava voce a tante vite ai margini, tenute in poco conto dal partitone classista, e che lo faceva in nome di un universalismo anti identitario (perché, ammoniva sempre il suo leader, guai se è l’ethnos a dettare l’ethos), senza bisogno di importare dall’America merce accademica già un po’ avariata. 

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