Matteo Salvini

IL BI E IL BA

Il peperone ripieno di Matteo Salvini

Guido Vitiello

Nel suo ideale pantheon sono ormai entrati tutti: Almirante, Berlinguer, Einaudi. Un caso di liberalcattofasciocomuleghismo

Non facciamola troppo lunga con questa storia di Berlinguer. Che sarà mai. Qualche mese fa, pensate, Salvini aveva messo nel suo pantheon non solo Berlinguer, ma anche Einaudi, Almirante e i grandi democristiani, inaugurando il liberalcattofasciocomuleghismo.

 

Lo aveva preceduto nel 2018 Di Maio, citando tra i venerati maestri del M5s Berlinguer, Almirante e la Dc. E qualche anno prima, agli inizi della sua carriera politica, il sindaco di Napoli, De Magistris, aveva detto di ispirarsi, lui pure, a Berlinguer e ad Almirante. A sinistra, invece, tutto era cominciato con gli album di figurine di Veltroni e con la grande chiesa di Jovanotti, per sfociare poi nel sincretismo selvaggio.

 

Ora, potremmo almanaccare per settimane su quale tratto dell’uno o dell’altro padre putativo si ritrovi nella fisionomia di questi figli scapestrati, ma ne varrebbe la pena? Piuttosto, prendiamola come un’occasione per tentare un’antropologia del culto degli antenati nella politica contemporanea.

 

Il Novecento ci ha lasciato i grandi modelli dei mausolei di Lenin e di Mao, i cui cadaveri furono riempiti dagli imbalsamatori di formaldeide e di altre sostanze utili a preservarli in forma incorruttibile. I nostri nuovi leader seguono un altro modello: quello, proceduralmente affine ma più prosaico, del peperone ripieno. Tagliano via la calotta ai vecchi padri, li svuotano con nonchalance della loro storia e delle loro idee e li farciscono con un trito di loro gusto, nel migliore dei casi insapore, più spesso indigesto o rivoltante. Poi se li mangiano, e se gli gira mettono pure la foto del piatto su Instagram.

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